I fatti dell’Università di Messina, denunciati dalla locale federazione del PdCI, si collocano nell’ampio quadro di destrutturazione etica nel quale vive il Paese.

 Concorsopoli è sintomo di un potere distorto, utilizzato per interessi famigliari e di clan, che vanifica, di fatto, sia il principio di eguaglianza sul quale poggia la Repubblica, sia il principio di buona amministrazione che legittima i pubblici poteri. La gestione baronale dell’università perpetra quello che un eminente docente di diritto penale, ha definito doloso furto di futuro. La corruzione diffusa è come un fiume carsico che erode le fondamenta della convivenza civile e accumula micidiali detriti che portano all’asfissia della democrazia. Certa politica, anziché dare sponda alla giusta protesta, alle denunce, alla indignazione; invece di agevolare il processo di formazione di una opinione pubblica correttamente informata e consapevole, è interessata a sbarrare ogni possibile forza di dissenso, a richiudersi a riccio soprattutto verso quelle forze politiche che intendono la questione morale, già sollevata da Enrico Berlinguer, come questione strutturale per le libertà e la democrazia. Il PdCI siciliano auspica che, nell’interesse generale, si possa scavare a fondo per accertare ogni tipo di illecito: impegna tutti i suoi organismi nella lotta contro un neofeudalesimo che penalizza i saperi e la ricerca, compromettendo l’avvenire delle giovani generazioni. (Salvatore Petrucci)