VITA NEI BOSCHI

Provengo da una famiglia di mezzadri, originaria di Combai, in provincia di Treviso. A Combai rimanemmo fin quando avevo quindici anni. Poi, avendo dei parenti nel bellunese, a Farra di Mel, ci trasferimmo a Casteldardo.

 Eravamo una famiglia molto numerosa. Io sono il settimo di undici fratelli, ed ero sempre quello che rimaneva a casa, mentre gli altri andavano all’estero. A vent’anni, quindi, decisi di andare via anch’io, perché chi rimaneva doveva lavorare sempre, anche la domenica. Nell’aprile del ‘62 feci i bagagli. Avevo la valigia di un fratello già emigrato in Australia. Era tornato dopo tre anni, si era sposato e di lì a qualche giorno sarebbe dovuto ripartire. Tutto era pronto, ma ebbe un incidente. Allora presi io la sua valigia. Partii da Trichiana. Non sapevo niente. Sapevo solo di avere un fratello più vecchio a Saarbrücken, in Germania, che mi aspettava alla stazione. Eravamo in otto, in un sottotetto dove si entrava a malapena. Ci consegnò un sacco di juta, ci indicò dove era situato il fienile e così dormimmo in questa soffitta. Durante il viaggio, per tutta la notte non chiusi occhio. Non sapevo qual era la mia stazione, dove potevo arrivare, comunque nella carrozza cercai di farmi capire e mi avvisarono al momento che dovetti scendere. Mio fratello, con la vespa, mi portò dal padrone nella segheria dove lavorava, a Dudweiler, e mi presentò. Il padrone ci mandò in una specie di dormitorio in cui alloggiavano altri italiani. Eravamo in otto, in un sottotetto dove si entrava a malapena. Ci consegnò un sacco di juta, ci indicò dove era situato il fienile e così dormimmo in questa soffitta. Il primo periodo lo passai in segheria. Poi ci misero su una sorta di baracca mobile, su quattro ruote, che all’interno aveva l’attrezzatura da lavoro. Il lavoro consisteva nell’addentrarsi nei boschi della Foresta Nera a sbucciare i tronchi col coltello. Eravamo pagati a cottimo. Ci portavano all’interno delle foreste, a cinque o sei chilometri dal paese, ci preparavano la legna lungo la strada e noi dovevamo asportare la corteccia e riaccatastare i tronchi. Si guadagnavano quattro marchi al metro cubo. Le foreste sembravano senza fine, ma di acqua nemmeno l’ombra. Ce la portavano con i camion quando venivano a caricare la legna. Tre o quattro taniche, che dovevano bastare per tutto. Appena svegli al mattino si iniziava a lavorare e si andava avanti fin che le forze ci sostenevano. I più vecchi erano più furbi e individuavano subito la catasta dove sarebbero riusciti a fare più lavoro. In questa situazione, il principale problema era rappresentato dalla mancanza d’acqua. Le foreste sembravano senza fine, ma di acqua nemmeno l’ombra. Ce la portavano con i camion quando venivano a caricare la legna. Tre o quattro taniche, che dovevano bastare per tutto. In sostanza, non si poteva quasi mai lavarsi e d’estate era davvero un grosso problema. Le dita dei piedi mi sanguinavano a causa del sudore e della polvere. Anche bere era difficile. Ci portavano la birra e la grappa, altra seccatura. Non scorderò mai il mal di denti che fui costretto a soffrire in Germania. Per cercare di dormire alla sera l’unica soluzione era mettere dei grani di sale grosso tra un dente e l’altro e così riuscivo a riposare un po’. Talvolta i camion con l’acqua non arrivavano, e ci capitò di rimanere senza una goccia anche per tre giorni interi. Feci questa vita per due anni, tra il ‘62 e il ‘63. Dal punto di vista economico ne valeva la pena, mandavo a casa un bel gruzzolo di soldi, ma il lavoro era estremamente duro. Si lavorava fino a Natale, poi si faceva una pausa di un paio di mesi e si ricominciava da capo. Camillo Moro