ROSARIO INSALACO, UN CONTADINO CHE DIVENTA METALMECCANICO

Prima di passare alla vicenda descritta da Rosario Insalaco, ritengo di dover fare una breve introduzione. Rosario Insalaco nasce a Serradifalco da Salvatore e Pera Lucia, il 12 febbraio del 1900. Apparteneva ad una famiglia numerosa, come si usava a quei tempi.

Infatti Rosario era uno dei sette figli quattro maschi e tre femmine e come mestiere non ebbe grandi possibilità davanti a sé, perché la scelta era limitata allora a Serradifalco e non solo: o contadino o minatore. Lui venne avviato dal padre ai lavori in campagna. Nacque proprio in tempo per fare parte dell’ultima classe chiamata a difendere i confini d’Italia durante il primo conflitto mondiale del 1915 – 18. Al rientro dalla guerra tornò al suo lavoro di contadino, trovando impiego presso la famiglia dei baroni Piazza, a cui la mamma di Rosario, la nonna Lucia Pera, aveva allattato un figlio, che quindi aveva diviso il latte con Rosario. Quel lavoro andò avanti fino all’autunno del 1948, ed esattamente fino a settembre, quando decise di spostarsi in Francia dove già si trovavano i due figli maggiori. Partì lasciando la moglie e gli altri tre figli a Serradifalco ed assieme ad altri si diresse a Saint Dizier, dove giunse dopo parecchie peripezie, che ha deciso di mettere su carta e che ogni tanto, a richiesta, leggeva alla famiglia ed agli amici che conoscendone l’esistenza esprimevano il desiderio di sentire quella storia. Avuta la storia dal nipote Rosario, mi sono limitato solo a riportarla così come era senza niente togliere o aggiungere e senza modificarne né la struttura, né la scrittura che ho cercato di riportare integralmente. Niente di più e niente di meno, della via crucis di un gruppo di emigrati, come ce ne furono tanti a quel tempo, che cercarono di attraversare clandestinamente il confine a piedi attraverso le montagne. Un modo di affrontare allora l’ignoto, correndo un doppio rischio: cadere in un dirupo e rompersi l’osso del collo o essere intercettati dalla polizia di frontiera ed essere respinti indietro. Mi permetta il lettore di fare qui un’amara riflessione. È proprio vera la vecchia massima “nulla di nuovo sotto il sole”. Infatti, quello che succedeva parecchio tempo fa ai nostri emigrati, oggi accade alle folle di disperati che fuggono da guerre e miseria. Poveracci che cadono nelle mani di gente senza scrupoli. Mercenari che guardano solo al denaro e poco importa se migliaia di uomini, donne, bambini che affrontano i pericoli di un mare spesso inclemente, trovano nel liquido elemento la fine del loro sogno di salvezza e di libertà, assieme alla tragica fine della loro travagliata vita. ù

PICCOLA STORIA DELL’OPERAIO INSALACO ROSARIO DEL TEMPO DOPO GUERRA

Ero un assiduo mezzadro della famiglia Piazza di Serradifalco, dal ‘33 al ‘48 quando alla fine della guerra io ero là nel suo feudo Grottarossa voluto bene ed amato di quella nobile famiglia, ma venuto il ‟44 dopo guerra, incominciano i dissidi non ero più un buon mezzadro cominciano le angherie insopportabile. Pregavo il padrone di darmi la terra buona ed invece mi era concessa la terra cattiva dove meno produceva e maggiore lavoravo. Io ed i miei figli lavoravamo tutti i giorni ma nulla era il nostro ricavo all’estate. Se compravo le scarpe ad uno, altri sei restavano senza, se compravo la veste di mia moglie che anche lei lavorava più di noi le altre restavano senza camicia. Allora non potendo andare avanti così fine luglio del ‘48, sdegnato dei maltrattamenti che sanno fare i padroni, spinsi ai miei figli a varcare la frontiera ed andare in Francia ed io restai là nell’agonia. Ho fatto la raccolta ed arrivo giusto al mese di settembre quando ci abbiamo riuniti in 8 compagni e decisi anche noi varcare la frontiera grandestini. Il giorno 22 del mese di settembre siamo partiti e lasciati i nostri cari per andare a cercare lavoro in terra straniera. Quale dolore lasciare la famiglia per andare così lontano a cercare il pane per i nostri figli fuori della nostra patria. Siamo arrivati a Torino dove attendevamo la guida per bene otto giorni ad attendere una guida quando il penultimo giorno si presentò uno avanti a me alla stazione di Torino invitandomi a farmi varcare la frontiera a me e i miei compagni per mezzo di un suo amico. Il cuore mi palpitava a sentire quel discorso e bene riunii i miei compagni e a loro dissi quello che mi aveva detto quell’uomo i quali acconsentirono e siamo stati due giorni in attesa di questa guida. Dopo due giorni nella piazza del mercato di Torino mi sento chiamare dell’uomo che mi aveva invitato. Credevo perduta ogni speranza invece era là quello che doveva trascinare fuori dall’Italia. Radunai i miei otto compagni e dissi a loro che si tenessero pronti che io dovevo andare a cercare le vetture per arrivare all’alpi. Allora verso le ore otto siamo partiti io e le due guide di piazza del mercato con il tram e andammo alla stazione a trovare due macchine ma due belle macchine che filavano come il vento. Ni siamo messi in macchina e siamo andati di nuovo in piazza del mercato dove tutti in fretta ci siamo riuniti. Di tanto è stato lo sbarattamento e la fretta che nessuno pensammo di comprare qualche cosa di mangiare o qualche cordiale per riavere le forze a qualcuno che ci finivano ma in macchina partiti da Torino le macchine filavano dopo qualche ora arrivammo a Tura ed altri piccoli villaggi piemontesi e su, via, si comincia la salita per arrivare al monte lines allora ancora un’ora e mezzo di viaggio con quelle macchine su, sempre su finalmente non potendo più andare avanti le macchine, ci toccò di scendere e camminare a piedi che orrore! Trovatici là in quelle fitti boschi dentro una stradetta stretta che saliva il monte a zich zachi Ci siamo messi in cammino tutti carichi con le nostre valige la cima del monte si comincia a vedere, che fatica quella notte! Che angoscia! Si sale fino a mezzanotte, le guide ci confortano, ci aiutano le valigie, ma ancora troppe salita ni mancava la forza, ci riposavamo ma ancora quella cima non si prendeva mai nessuno di noi credeva di resistere finalmente siamo arrivati a 4.600 metri di altezza la notte serena non si sentiva nulla solo qualche gridi di scoiattoli e di burroni pieni di acqua che scendeva. Finalmente arrivati sulla cima del monte esce la luna il cielo è stellato la luna ben chiara ma ci toccò partire subito perché eramo seduti sopra il ghiaccio si camminava un pò sul costone fino a che siamo passati dalle ghiacciaie e trovati da un punto con buche nel ghiaccio che ci andava mezza scarpa sola e ci aggrappammo con le mani e coi piedi per attraversare quel costone. Invocavamo la Madonna che ci aiutasse a non scivolare da quella altezza. Che orrore! Trovarmi in quel pericolo e a quell‟altezza. Quella notte fu una brutta notte per noi.

2^ PARTE DELLA STORIA

Dopo passata la ghiacciaia siamo scesi da una valanga di pietre che tutte si muovevano, che spavento! Quando al mio compagno ci scivolava la valigia è stato un miracolo che subito l’afferrò, se no andava giù assieme alla valigia e scendi giù ancora al pericolo, mi tremano le polpacce delle gambe di quanto erano brutte quelle valanghe. Arrivando a più di mille metri perpendicolare abbiamo trovato un lago che usciva dal costone di ghiaccio. Quale spavento, se qualcuno scivolava dal costone, andava dentro il lago che nessuno poteva trovarlo. Poi andando ancora giù, abbiamo avuto un altro pericolo siamo passati da un punto che c’era un piccolo viottolo attorno ad una pietra semirotonda che ne abbiamo uniti tutti le mani per non avere il pericolo di cascare, che quando siamo arrivati giù nel piano, ed abbiamo guardato su, c’era più di trecento metri di altezza insomma abbiamo passato un’infinità di pericoli. Allora finito il monte, camminando alla riva di un grande burrone e in mezzo a folti boschi di pini abbiamo trovato una fattoria, cioè una farma francese il quale erano amici con le guide e domandarono un pò di ristoro per noi e che subito ci hanno fatto una bella tazza di latte caldo per uno. Bevuto il latte ne abbiamo messo di nuovo in cammino e siamo arrivati verso le due alla strada maestra che portava in un villaggio francese che era circa a due chilometri di quella distanza e dietro una chiesetta che si trovava all’altra sponda dello stradale. Ci siamo riposati un pò ed assicurarmi se veniva qualche polizia francese. La strada era tutta a la vista di noi nessuna persona si vedeva allora abbiamo pensato di ritirarci nel bosco e uno di noi andava a Modana con le guide e andare a procurare due macchine per trasportarci al sicuro. Allora il nostro compagno Brocchieri che si sentiva un pò più forte di noi andato lui a fare le vetture. Ma per la strada trovò dei inconvenienti, trovò la dogana francese che ci domandò dove andassero e di dove venivano. Allora li perquisì e alla guida ci sequestrò i soldi che ci avevamo dato noi e dopo un breve scambio di parole li lasciò liberi ed hanno ripreso il cammino per Modana. Erano appena 1 chilometro lontani da Modana e mentre la guida e il nostro compagno andava per Modana noi siamo restati in attesa di loro. Il giorno era bello c’era il sole e restiamo dentro il bosco straiati sopra l’erba che mi pareva un giaciglio di lana all’ombra dei pini. Intanto la guida e il nostro compagno arrivano a Modana e girando da per tutto per trovare macchine, non ne hanno potuto trovare, ma verso sera hanno trovato un autocarro che veniva di lavoro e accettò l’invito di venire a prendere noi ma noi quando noi abbiamo visto che era già tardi e nessuno ci veniva a prendere abbiamo ripreso noi il cammino perché non si poteva più stare tra la fame e il freddo che a tutti ci battevano i denti e nel mentre che noi ci incamminammo verso il piccolo villaggio abbiamo inteso il rumore di quell’auto allora noi siamo arrivati dietro le porte di quel villaggio e ci siamo incontrati con i nostri compagni che subito ci riconobbero. Il cuore ci palpitava di gioia quando ad un tratto si ferma la macchina che era quella nostra a un colpo scende il nostro compagno e dice su salite in silenzio che siamo davanti la polizia figuratevi come ci tremava il cuore ma un momento siamo saliti e giù tutti uno sopra un altro dentro la carrozzeria senza fiatare siamo arrivati a Modana in casa della guida che lui aveva una donna che subito ci prepara di mangiare. La fame non si vedeva dagli occhi mi pareva cent’anni che le patate si bollissero ma ogni cosa ci vuole il suo tempo. Avevamo una fame di lupi tanto che le patate le abbiamo mangiate più crude che cotte. Abbiamo mangiato anche la carne e il vino abbiamo bevuto dopo mangiato. Allora siamo andati un po’ a riposare in un tetto morto per passare la notte anzi la guida ci ha rispettato aveva due materassi ove tutti ni abbiamo straiati un po‟ e riposati.

3^ PARTE DELLA STORIA

Passata la notte la mattina siamo andati con la guida a cercare di nuovo le macchine ci gira di qua ci gira di la non si ne potevano trovare. Finalmente le abbiamo trovate, ni hanno dato l’appuntamento all’una di partire da Modana allora figuratevi ni pareva cent’anni non potevamo camminare che si temeva che la polizia ci fermasse. Giunta l’ora siamo partiti da Modana- Io e tre dei miei compagni siamo saliti sulla prima macchina e salutata la guida siamo partiti per Sciamberì che si trovava circa 280 chilometri (Km. 103) dalla frontiera. Subito dopo partì l’altra macchina con i miei compagni. Le macchine erano buone e filavano come il vento alle quattro siamo arrivati a Sciamberì dove la macchina ci lasciò. Ma il ciaffer della seconda macchina non ha voluto arrivare a quel punto dicendo che non avevamo restato fino la invece ci diceva ai miei compagni che avevano stabilita là che era tre stazione prima. I miei compagni non lo volevano pagare (seguono parole illeggibili). Lottato per ricercare a noi sono ritornati indietro poi il ciaffer pieno di sdegno lo voleva dichiarare alla polizia allora si anno messo d’accordo e ci toccò darci la moneta e in quel punto ci siamo sperduti ora figuratevi che eravamo in terra straniera nessuno sapeva dire mezza parola non sapevamo a chi rivolgerci io che ero coi miei compagni a Sciamberì entrammo in un caffè per attendere entrammo in un caffè a sederci subito dopo venne una signorina a domandare cosa volevamo che porti abbiamo detto una bottiglia di birra che subito ce la portò. Credo che quella donna ce la mandò la Madonna era della stessa terra allora vedendomi sussurrare l’italiano domandò se eravamo italiani che noi abbiamo preso respiro ci siamo incoraggiati e ci abbiamo fatto molte domande che quella signorina acconsentiva tutto quello che noi ci domandavamo ci domandiamo come poteva farci dei biglietti. È venuta con noi ha fatto lei stessa i biglietti ma i nostri compagni ancora non vengono e si stava molto pensierosi intanto si arriva alla stazione si deve partire ora come fare per entrare la stazione aveva paura per la polizia allora quella signorina ci consiglia per primo di levarmi la barba che parevamo animali scesi dai boschi. Poi s’informò l’orario di partenza l’orario di arrivi e il costo dei biglietti. Giunti l’orario ci toccò partire confusi per l‟attesa dei nostri compagni siamo andati alla stazione anche ci abbiamo lasciato la moneta per fare un telegramma a un nostro paesano per annunziare il nostro arrivo a St Dizier. Di fatti l‟indomani ha fatto il telegramma nelle prime ore del mattino non vi potete immaginare del bene che ci ha fatto quella signorina. Ci accompagna alla stazione fino sopra il treno quando a un tratto vidi i miei compagni ecco dietro di me che mi salutavo con quella donna un signore afferrarmi per il collo e buttarmi subito sopra il treno ove trovai i miei compagni e più di altre 50 persone come me varcati clandestini (parole illeggibili). I nostri documenti ma noi eravamo tutti sforniti solo che ci avevamo li stati di famiglia e insomma un mio compagno che sapeva dire qualche cosa ci fece capire che ni mancava il lavoro e che eramo carichi di famiglie il quale quel signore ci intenerì il cuore ci ridette i documenti e ci lasciò andare e siamo passati tutta la notte e fino a mezzogiorno l’indomani non abbiamo nessun ostacolo. Arrivati a San Dizier ove siamo residenti siamo stati accolti dai miei migliori amici Aronica Giuseppe e Catalogna Luigi il quale quest’ultimo dobbiamo ringraziarlo che ni ha fatto tutto il bene che ni ha potuto fare tutte le carte che ni hanno bisognato è stato tutto lui a fare intanto ni portano qui a Marnaval un villaggio pittoresco girato da molte lusine e percorso di un grande fiume che si chiama la marne siamo dimorante nella cantina Baratto che ci fa da mangiare. Baratto nome della nostra terra ci accolto e ci ha ospitato alla meglio che è stato possibile noi in quei tristi giorni ci avevamo mangiato tutta la carne che avevamo addosso e siamo arrivati otto scheletri che ni a rimasto solo la pelle e le ossa eppure ci toccò fare ancora molto lavoro per la carta che finito il nostro turno di lavoro dovevamo andare a St Dizier parte per una cosa parte per un’altra insomma ancora non erano finite le nostre sofferenze allora per bene quattro mesi sono stato ospitato io e i miei compagni da questo signore Baratto. Questo è un italiano ma l’ultimo modello degli strozzini italiani che descriverò la sua persona. Uomo alto e robusto e ben panciuto per aversi mangiato tutti gli italiani che arrivavano alla sua cantina. Per ben quattro mesi io sono resistito a quelli maltrattamenti ma i miei compagni resistono ancora con mezzo chilo di patate e 50 grammi di pane da pagare £ 110 al giorno ancora con tutte le cose (parola illeggibile) ce la portava una volta la settimana. Ora figuriamoci quale tipo di strozzino questo signore. Io mi tirai fuori dalla sua cantina il mese di gennaio e con me c’è mio nipote che viviamo insieme. Noi ci cuciniamo la pasta tutti i giorni e stiamo per conto nostro nella solitudine siamo felici ma non posso descrivere quello che ha fatto per noi per rabbia che non si può mangiare il nostro. Parecchie volte è andato a reclamare al buro e anche alle guardie cioè nei gentarmi. Ma noi siamo siciliani niente paura ci abbiamo fatto le corne e ce le faremo sempre come ce le fanno i figli tutti i giorni sono qui a Marnavalle da ben sette mesi ed ho costatato i costumi francesi qui è un orribile scandalo che non si verifica nelle nostre parti. Le donne vivono la vita libera come gli animali lasciati nei prati hanno lo sposo e di fronte a lui si bacia con l’amico in piazza pubblica si baciano in pieno giorno senza timore di nessuno. Non hanno pudore se il gallo tiene le sue galline alle sue dipendenze e l’uomo non è capace io credo che se condurrò la mia famiglia in Francia nessuno farà simili fatti come fanno tanti e tanti italiani e se questo farà qualcuna della mia famiglia subito rimpatri e mi ritiro la nel mio paese natio e faccio come la tortora quando perde il suo compagno ritorna al suo giaciglio e lo contempla. Qui non esiste educazione non esistono cristiani esistono divertimenti di qualunque natura la donna nel suo campo libero e senza pudore i cibi non hanno sapore le acque sono pochi buone gli alberi molti non fanno frutti i fiori non fanno nessun odore. La Francia un paese ricco per le sue industrie ci sono molte miniere di qualsiasi sorte ci sono migliaia di fabbriche di qualsiasi specie c’è abbondanza di lavoro insomma un paese pittoresco i villaggi tutti attorno ai fiumi e in mezzo alle fabbriche scarso di agricoltura ma è ricco per le sue industrie potenti ed è questo quello che ho potuto costatare a sette mesi di distanza nessun paese ho visto come i nostri riuniti puliti e ben educati come siamo gli italiani.