Scritto da Salvatore Bonura - Cuba ha tanti problemi, da quello della casa – particolarmente avvertito nel vecchio centro dell’Avana, dove una parte considerevole del patrimonio immobiliare è diroccato e pericolante – a quello del parco veicolare che è molto vecchio: gran parte delle autovetture e delle moto hanno più di quarant’anni.

Di questi problemi mi parla senza infingimenti Raúl, un redattore dell’ Organo ufficiale del Partito comunista cubano. Altro problema riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro, che in alcuni settori economici come l’edilizia è quasi inesistente. Vedere degli operai lavorare sui cornicioni del Museo nazionale, vicinissimo al Parco Centrale e al Capitolio – non in periferia, ma nel cuore della città e del potere – legati a una cordicella e senza nessun ponte, è impressionante. Non so se a Cuba ci sia stato un regime militare, un regime di croce e spada, alla antica usanza ispanica: la croce del sacerdote evangelizzatore che predica ed esige fedeltà alla religione del regime; la spada che impone unanimità e disciplina, pena il duro castigo che tocca agli eretici. Quello che so, per esperienza diretta, è che adesso non mi pare che ci sia niente di simile. Anzi, benché vi siano tanti corpi di polizia – da quelli per la prevenzione e la repressione dei reati, a quelli per la difesa della rivoluzione a cui si aggiungono le polizie nazionali e regionali – nonostante tutto questo, di giorno e di notte, in centro e in periferia, la loro presenza è assolutamente discreta, quasi non si avverte. La gente parla liberamente e critica il Governo senza nessuna remora. Nei luoghi che ho visitato – Aavana, Viñales, Varadero, Santa Clara) non ho incontrato mendicanti o donne che offrivano prestazioni sessuali a pagamento, l’unica vera e propria rottura di scatole è la presenza ossessiva dei tassisti. C’è ne per tutti gusti e per tutte le tasche: “risciò” con tre ruote di biciclette che si muovono con la sola forza delle gambe, moto ape a tre posti con un aspetto futuristico, carrozze trainati da cavalli, vecchie Cadillac, Chevrolet, Dodge, Lada, oltre naturalmente a quelli che utilizzano macchine di più recente costruzione. Tutti, a ogni passo e in ogni luogo, offrono i loro servigi: una ossessione, appunto. Certo non è stato facile per il Governo operare in un Paese che non dispone delle risorse di cui dispongono gli altri Paesi latino-americani, e con un embargo che non ha precedenti nella storia recente dell’umanità; che oltre a limitare enormemente le sue capacità di esportazione e di importazione, ha impedito di attuare liberamente le riforme di politica economica. In presenza di queste difficoltà, non so se il governo marxista avrebbe potuto fare di più. Quello che so è che i cubani non sono certamente contenti delle lunghe file a cui debbono sottoporsi per accedere nelle pochissime sedi dell’Etecsa (Empresa de Telecomunicaciones de Cuba) per acquistare una tarjeta de navegacion che permetta loro la connessione – al costo di due euro l’ora – a internet, né sono contenti di viaggiare all’interno di autovetture che con il caldo e l’umidità che c’è da queste parti si trasformano in una sorta di bagno turco, nè credo siano soddisfatti del timido incoraggiamento alle piccole attività imprenditoriali private. Da questo punto di vista “l’uomo novo” socialista che sognava Che Guevara è rimasto un’utopia. È vero, Cuba ha un sistema sanitario e scolastico eccellenti per le prestazioni professionali di medici e insegnanti, non però per le sedi dove si svolgono queste attività. È vero anche che l’Isola caraibica è l’unico Paese al mondo – lo afferma l’Unicef – ad aver eliminato la denutrizione infantile. È vero, infine, che Cuba per gli aiuti e il sostegno che ha dato ai Paesi dell’Africa – Angola, Namibia, Sud Africa (per non parlare dei 70 mila medici formati, istruiti e inviati nell’arco di 50 anni nelle nazioni più povere) – si è conquistato un notevole prestigio internazionale che quasi tutti gli riconoscono, lo stesso Obama quando era capo della Casa Bianca. Chi è aduso a viaggiare sa bene che non si possono giudicare i Paesi e le loro popolazioni in una settimana o in un mese di permanenza: per dare un giudizio compiuto di una qualsiasi realtà bisogna viverla e girarla in lungo e in largo, immergersi totalmente nella cultura locale ed estraniarsi per un po’ dal mondo da cui si proviene. In questo senso in dieci giorni di permanenza, oltre a trascorrere quattro giorni all’Avana ed a visitare Viñales – come ho ricordato nella prima parte di questo reportage – mi sono limitato a due escursioni, una a Varadero (località turistica piena di alberghi, ma finta perché la sabbia l’hanno portata prendendola da altre parti e le stesse piante sono state piantate appositamente, l’unica cosa vera è il mare che è cristallino); l’altra a Santa Clara, a 300 chilometri dalla capitale. Quest’ultima è una città non molto bella, ma dove si respira una atmosfera di campagna e dove in ogni strada o vicolo, ed a qualsiasi ora del giorno e della notte, si odono le note della canzone Hasta siempre comandante, composta dal cantautore cubano Carlos Puebla, famosa per l’interpretazione di Campay Segundo. Un luogo simbolo che fu teatro di grandi azioni di guerriglia condotte da Che Guevara e Camilo Cienfuegos che inflissero pesanti perdite all’esercito di Fulgencio Batista e determinarono la vittoria della rivoluzione. Dopo il cambio al vertice di Cuba mi ero proposto di capire se questo mutamento, oltre a rappresentare la fine di un’epoca quella dominata da Fidel e Raúl Castro), rappresentasse anche la fine della rivoluzione cubana e dei suoi propositi. Mi sembra di aver capito che della rivoluzione castrista restano le conquiste nel campo della medicina, nello sport, nella scienza, nella cultura, tanto nel cinema come nella musica e nelle arti. Resta una realtà liberata da un regime di oppressione, dove l’egualitarismo socialista ha certamente eliminato lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, la fame, le malattie, la corruzione, ma ha anche contribuito a generare non poche diseguaglianze. Eduardo Galeano, giornalista e grande scrittore uraguaiano, una delle personalità più stimate della letteratura latinoamericana, autore de Las Venas abiertas de América Latina e Memoria del Fuego, considerato la coscienza critica dell’America Latina, un giorno disse: “Il comunismo è morto, il capitalismo ha fatto la stessa fine, mentre la rivoluzione cubana è ancora lì, povera edignitosa con i suoi limiti ma con un prestigio continentale, ma potrei dire anche internazionale, indiscutibile“. Fine del reportage