(SA) - Si è tenuta il 10 dicembre la serata conclusiva del progetto “LUCI AL SUD” iniziata il 22 settembre scorso. 14 film, 14 iniziative che hanno coinvolto i comuni di Milazzo (capofila), di San Pier Niceto e Monforte San Giorgio più una serie di partner tra cui l’USEF. Il 10 dicembre, il segretario generale dell’USEF si è portato a Milazzo, per prendere parte alla manifestazione di chiusura. In quell’occasione ha avuto modo di intervenire , pronunciando il seguente discorso: Ritengo lodevole che “LUCI AL SUD” su impulso dei comuni di Milazzo, San Pier Pwerniceto e Monforte San Giorgio, attiri l’attenzione su un problema come quello delle migrazioni e dell’accoglienza. Purtroppo viviamo tempi di grandi sconvolgimenti, di guerre, di terrorismo, che generano grandi flussi migratori verso l’Europa. La Sicilia, per la sua posizione geografica, che da swempre l’ha fatto definire piattaforma d’Europa e ponte tra l’Europa e l’Africa, è diventgata meta agognata per quanti attraversano il mare di Sicilia per cercare una nuova vita in Europa. Il popolo siciliano ha saputo rispondere con una notevole politica di accoglienza che ha coinvolto Lampedusa, ma anche Catania, Palermo, Messina, Siracusa Pozzallo, oltre alle coste della Calabria e di altre regioni. Questo esodo, purtroppo non è indolore ed a migliaia si contano i morti annegati nel mare di Sicilia. Quello su cui posare la nostra attenzione, però, è la speculazione che si innesta in questa tragedia. Mercanti di carne umana si fanno pagare a peso d’oro un passaggio su battelli inadeguati stracarichi di sventurati che spesso sono sottoposti a torture, sevizie stupri. Per questi mercanti, non esiste l’uomo, ma esiste la merce. Altro calvario viene affrontato da queste persone, dopo che hanno raggiunto la “salvezza”, un calvario che si vive nei centri di identificazione dove sono costretti per un tempo troppo lungo in attesa di ricevere un permesso di soggiorno o l’espulsione. Molti sono quelli che espulsi entrano in clandestinità. Un altro aspetto che spesso viene sottovalutato, è quello dei minori non accompagnati che vengono accolti in apposite strutture o spesso scompaiono cadendo nelle mani del racket del traffico di organi o della prostituzione e della pedofilia. Al 1° gennaio 2016, in Sicilia erano presenti 183.192 immigrati di cui circa 30.000 minori non accompagnati. Questo deve farci riflettere. Io arrivo alla conclusione che queste popolazioni costrette a fuggire guerre e terrorismo, è viva la speranza di un futuro diverso per la loro patria e questo futuro affidano all’Europa, mandando i loro ragazzi. Motivo di riflessione deve essere il modello di accoglienza, tema su cui si dilunga l’iniziativa che il progetto “LUCI AL SUD” ha brillantemente affrontato. Accoglienza ed integrazione, sono due aspetti delle migrazioni che vanno a braccetto. Il poplo siciliano che sperimenta ancora oggi l’emigrazione sulla propria pelle, ha dimostrato di avere spiccata tendenza all’accoglienza. Un esempio per tutti Lampedusa che accoglie a migliaia qyuesti sventurati in attesa di essere smistati nei vari centri di accoglienza. Non tutti sono aperti a tale accoglienza, specialmente nelle regioni del Nord, dove spesso si assste a scontri con gli immigrati, o a sindaci che si rifiutano di ricevere gli immigrati. Alcune forze politiche e movimenti, cavalcano la tigre dell’immigrazione per alimentare un razzismo ed una xenofobia che piglia sempre più piede e su cui viene canalizzata la protesta di gente che ancora oggi paga il conto di una lunga e grave crisi economica che ha investito tutta l’Europa. Questo deve essere motivo di riflessione, mentre il comportamento della Sicilia deve essere additato quale esempio positivo da seguire, anche se questo sforzo meriterebbe maggiore attenzione da parte delle Istituzioni e delle forze politiche. Ad esempio la Sicilia non ha una sua legge sull’immigrazione e tutto quanto si fa è frutto di leggi nazionali e/o fondi comunitari. Non esiste ancora, purtroppo, una legge regionale che incentivi l’accoglienza e l’integrazione. Quando parliamo di integrazione, va tenuto conto che essa è un processo lungo che si sviluppa con almeno due attori: l’immigrati ed il cittadino ospitante. Qualsiasi altro metodo che non tenga conto di questo dualismo, spinge solo verso l’isolamento o la ghettizzazione. L’integrazione è un processo complicato e lungo all’interno del quale si da e si riceve da ambo le parti, sviluppando la società multiculturale che diventa anche sempre più colorata per la sua composita multietinicità. Credo proprio sia arrivato il momento di tirare in ballo la famosa massima: “NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE” che può facilmente essere cambiata in “NIENTE DI NUOVO IN E,IGRAZIONE”. Infatti Quello a cui oggi stiamo assistendo, sfugge a chi ha poca memoria storica, ma ha tutta l’aria di essere un “DE GIA VU”. Dal 1876 al 1915, 14 milioni di italiani armati solo di una valigia di cartone e da tanta speranza, affrontano l’ignoto scegliendo di raggiungere terre lontane. Nel primo ventennio del periodo cui si riferisce il flusso migratorio preso in esame, gli italiani si rivolsero verso l’Europa mentre dal 1886 al 1915, circa 7.600.000 italiani attraversano l’oceano atlantico navigando verso gli USA, il Brasile e l’Argentina. Solo nel 1901, l’Italia con un regio decreto definì la figura giuridica dell’emigrato. Parecchie furono anche per gli italiani le tragedie consumate in mare; il 17 marzo del 1891, ad esempio, 576 morti in un naufragio al largo della Libia, tingevano a lutto quella rotta, mentre il 4 luglio del 1889, 549 furono i morti annegati nel mare antistante le coste della Nuova Scozia a Bourgogne. Il 4 agosto del 1906 fu la volta di 550 morti in un naufragio nel mare della Spagna. Nel mare al largo del Brasile, il 25 ottobre del 1927 dati ufficiali parlano di 314 annegati, mentre una fonte ufficiosa ne conta circa 600 aggiungendovi anche i clandestini a bordo. Questo solo a titolo esemplificativo, perché tanti altri eventi luttuosi in mare si potrebbero ancora citare. ‘aumento dei flussi migratori verso l’Europa, spinge il governo italiano a stipulare accordi bilaterali con alcuni stati europei. Data al 1922 il primo accordo italo belga stipulato per accogliere i lavoratori italiani, accordo che venne replicato nel 1936 per poi arrivare all’accordo del 23 giugno del 1946 che passò sotto il nome di accordo del carbone. In quell’accordo l’Italia si impegnava a mandare nelle miniere del Belgio 50.000 lavoratori, mentre il Belgio si impegnava a mandare in Italia 2.500 T di carbone al mese, per ogni 1000 operai italiani che andavano a lavorate all’interno delle miniere di carbone con un impegno contrattuale valido almeno per i primi 5 anni di permanenza in Belgio. Come avviene in tutte le vicende migratorie, i primi tempi le nostre comunità si chiusero a riccio, tagliando fuori la società che li ospitava. Questo ha ritardato il necessario processo di integrazione, anche se fece nascere le associazioni, che all’inizio vennero utilizzati come arma di difesa. Misero in moto il mutuo soccorso all’interno della comunità, associazioni all’interno delle quali si parlava del paese, dei ricordi , degli affetti lasciati e così via. Tutto ciò, se li faceva sentire vicini al paese d’origine ed alla loro patria, li allontanava dalla società circostante e dalla vita sociale dove erano chiamati a vivere. In una seconda fase, le associazioni divennero, “strumento di assalto”, avviarono il processo di integrazione, spinsero i nostri emigrati ad interessarsi dei problemi che li riguardavano, ad entrare in politica, a fare parte dei sindacati divenendone anche dirigenti. Nacquero le associazioni regionali di riferimento, che pur aderendo alle federazioni nazionali, strinsero legami che i loro corregionali emigrati. Nel 1970, quando cominciava a profilarsi quella che sarebbe stata la grande crisi energetica del 1973, nasce l’USEF come strumento unitario all’interno della quale erano presenti tutte le varie sensibilità politiche e vi rimasero fino no a quando ogni partito politico di riferimento diede vita a proprie associazioni. Questo associazioni spinsero la regione ad approvare strumenti legislativi in favore degli emigrati. Nacque la legge 25 del 1975 che non ebbe grande fortuna, ma che lanciò le basi per l’ideazione di uno strumento più aderente alle esigenze del settore. Si arrivò così alla legge 55 del 1980 ed alla legge 36 del 1984. La grande crisi venne affrontata,, molti rientrarono, ma scontrandosi con la burocrazia regionale, ritornarono all’estero dove maggiori errano gli ammortizzatori sociali. Parecchi altri restarono all’estero ed accettarono riduzione della paga ed altri mezzi messi in opera dai padroni per superare la crisi. Si intensificarono le battaglie per ottenere diritti irrinunciabili, si allargò la rwete associativa. Solo l’USEF oggi può contare su oltre associazioni sparse per il mondo e si è riusciti a fare entgrare nella logica politica che l’emigrazione è un a grande risorsa. Si avviò il processo di integrazione europea, si cominciarono a vedere i primi risultati. Il sette febbraio 1992 viene firmato il trattato di Maastricht che è entrato in vigore il primo novembre del 1993. In esso si stabilivano le regole per l’entrata di altri Paesi nell’Unione Europeo, ma, cosa importante, si sanciva il diritto di voto attivo e passivo per i cittadini comunitari. In virtù di questo accordo, oggi l’USEF ha consiglieri comunali in diversi comuni del Belgio e della Francia, dove abbiamo anche amministratori comunali. Lunga è stata la strada dell’integrazione, si è passati dalla quarantena di Illis island alla caserma di Milano dove l’emigrato veniva sottoposto a visite ed accertamenti medici, ma anche a colloqui; dall’hotel dell’emigrante di Buenos Aires alla caserma di Frosinone che avevano la stessa funzione solo per fare alcuni esempi. Oggi abbiamo raggiunto livelli altri dell’integrazione, anche se esistono ancora sacche di razzismo e xenofobia. In Italia, in Sicilia siamo ancora agli al bori, per andare avanti nella giusta direzione, passando dall’accoglienza all’integrazione, bisogna fare tesoro del passato, del nostro passato e spingere l’acceleratore. Bisogna sollecitare la nascita di associazioni anche miste, affermare il principio della multiculturalità, evitare la ghettizzazione, ma sopratutto bisogna parlare liberamente dei problemi connessi alle migrazioni. Restituire alla memoria la storia della nostra emigrazione, magari in un museo regionale, dobbiamo avere la capacità di aggiungere all’articolata storia della Sicilia, ilo capòitolo di storia scritta dai nostri emigrati all’estero che fa a pieno titolo parte della storia del nostro popolo, così come ne fa parte il capitolo dell’accoglienza che la Sicilia sta sperimentando con successo nei confronti degli immigrati e che va ulteriormente approfondito, arricchito e corredato da adeguati strumenti legislativi. (Salvatore Augello)