Per 3 anni soldati di Eretz Israel gestirono una casa per bambini nel Nord Italia, vicino al villaggio di Selvino; fu la casa per 800 bambini ed adolescenti Ebrei sopravvissuti alla guerra. Arrivarono da tutta l’Europa: dai campi, dalle foreste, dai monasteri e da altri luoghi dove erano stati nascosti. La costruzione, chiamata Sciesopoli, era stata una “colonia” per ragazzi fascisti durante la guerra. Shmuel Shilo, che era un maturo e serio sedicenne quando arrivò a Selvino, ricorda i suoi primi giorni: “Dopo due settimane anche io cominciai a tirare i cuscini, a ballare con le ragazze, a giocare a pallone..ci sono volute due settimane, non di più, ed eravamo ritornati alla nostra vera età. Penso che una delle cose più importanti di Selvino fu che quella casa, per il periodo in cui ci fermammo lì, circa un anno, ci ridiede la nostra giovinezza. Era una colonia di Eretz Israel. Davvero, noi parlavamo Polacco, Yiddish o Ungherese ma la vita culturale avveniva in Ebraico.” La casa era guidata da Moshe Zeiri, un membro del gruppo Shiller; soldato nell’ Esercito Britannico, aveva servito nella compagnia 745 genieri militari, soprannominata Solel Boneh ( pavimentazione e costruzione)..I ragazzi avevano dai 4 ai 17 anni, molti erano orfani, i più grandi si occupavano dei più piccoli. Nei primi mesi ci fu carenza di cibo e i rifornimenti arrivavano dall’UNRRA e dalle razioni dei soldati delle unità di Eretz Israel. Alla fine del 1945 un gruppo di 30 ragazzi arrivò a Selvino; era una “Achva”, una confraternita di Lodz, un gruppo disciplinato che parlava Ebraico che era diventato molto unito nei mesi passati insieme. Rina Radocki ( Nacht) arrivò con questo gruppo e descrisse il posto: “Lui ( Moshe Zeiri) ci accolse gentilmente, cominciò ad organizzare un coro per noi e mi insegnò dei brani da solista. Cantavo “Notte in Galilea”..C’era una vera atmosfera da Eretz Israel , cominciammo a sentirci bene..La casa era molto bella, come un palazzo per noi, piccoli letti blu puliti e c’era una piscina. Dopo quello che avevamo passato arrivammo in questa casa lussuosa..” A Selvino i bambini cominciarono a studiare e i più grandi lavoravano per la manutenzione del luogo. Ai bambini veniva data la possibilità di connettersi con le loro radici Ebraiche, osservavano lo Shabbat, celebravano le feste Ebraiche, studiavano Ebraico e venivano preparati alla loro futura vita in Eretz Israel. Quando arrivarono i ragazzi di Selvino vennero inseriti nei gruppi giovanili delle Aliyah ed nei differenti Kibbutzim
 
MIGRAZIONI
 
Due terzi dei rifugiati Ebrei e dei profughi che vivevano sul suolo Italiano dopo la guerra, circa 50 000 persone, presero la strada per Israele, gli altri emigrarono negli USA, Australia e America Latina. Solo poche migliaia rimasero in Italia. Dopo la guerra l’Italia fu messa sotto il controllo dell’Esercito alleato, soprattutto l’Armata Britannica, le autorità Britanniche fecero pressione sul governo Italiano perché non permettesse a masse di rifugiati di entrare in Italia e a quelli già presenti di emigrare in Eretz Israel. Fu necessario prendere molti contatti con le autorità Italiane , senza coinvolgere gli Inglesi, per facilitare l’entrata illegale di migliaia di rifugiati, organizzare la loro accoglienza e preparare la loro emigrazione illegale. Raffaele Cantoni, nominato presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, aiutò moltissimo da questo punto di vista e fu in stretto contatto con Yehuda Arazi e Ada Sereni, due dei capi della Mossad Le Aliyah Bet ( responsabile dell’immigrazione illegale dei sopravvissuti alla Shoah) che giunsero in Italia. Le autorità italiane chiusero un occhio su queste attività . L’organizzazione per l’emigrazione illegale si espanse rapidamente, Ebrei rifugiati arrivarono in Italia da tutta Europa, a piedi o con mezzi di fortuna, a tutte le ore del giorno e della notte, con tutti i climi. Il “centro Diaspora” si mise in contatto con i centri Ebraici nei paesi Europei dove venivano raccolti gruppi di rifugiati, organizzati orari di espatrio per ogni centro e organizzati trasferimenti nei kibbutzim e nei campi profughi in Italia, fino al momento di imbarcarsi su una nave per la loro migrazione verso Eretz Israel. Mordehai Braun ricorda l’industria della preparazione di passaporti per i viaggiatori: “Avevo bisogno di fare timbri e le foto andavano cambiate..le foto erano parzialmente timbrate così dovevo posizionare il timbro esattamente..c’erano passaporti della Palestina, dei Polacchi, Inglesi e Olandesi … facevamo questa operazione come se fossimo in un consolato. Tutti quelli che arrivavano riempivano un modulo..chiedevamo aiuto a studenti di arte per aiutare a compilare i moduli e imitare la scrittura da impiegati … C’era un solo problema quando ricevevamo un passaporto Polacco perché gli studenti non conoscevano la lingua così succedeva che sbagliavano una riga e lui (il rifugiato che riceveva il documento)risultava con occhi biondi e capelli blu..” Itzhak Klein, uno dei bambini di Selvino, ricorda il viaggio verso Eertz Israel : “L’obiettivo era emigrare in Israele. Fondare un kibbutz, costruire il paese. Alla fine stavamo vivendo il sogno..Loro ci portarono sulla spiaggia, una nave “Ma’apilim” ci avrebbe dovuto raccogliere ma poi penso che tutta la faccenda fu scoperta dagli Inglesi e ci portarono via da li.. a Metaponto e poi Bari. C’erano molti sopravvissuti alla Shoah che volevano andare in Israele.. noi eravamo circa 70 ragazzi di Selvino con il nostro responsabile Yeshayahu Flamholz, che era più grande di 2-3 anni del più grande di noi … Un po’ dopo la nave Haim Arlozorov arrivò; la notte fecero salire a bordo gli emigranti ed ancora una volta noi rimanemmo indietro.. Luba Eliav ufficiale della nave decise di portarci sul ponte. Noi ci imbarcammo quando la nave aveva quasi salpato. Il viaggio fu duro, c’era un affollamento terribile..alla fine non raggiungemmo Eretz Israel; ci portarono ( in un campo di detenzione Inglese) a Cipro”.