Giovanni Meli (foto accanto),  nasce a Palermo il 6 marzo 1740 da Antonio, di professione orefice, e da Vincenza Torriquas, durante la monarchia riformista di Carlo III di Borbone. n questo periodo, il buon governo del Viceré Caracciolo favorìsce, grazie ad una serie di riforme, la rinascita della vita culturale e civile, specie a Palermo.

Giovanni Meli viene educato presso le scuole dei padri Gesuiti e si appassiona, giovanissimo, agli studi letterali e filosofici, coltivando anche, da autodidatta, i classici italiani e latini e, fra i contemporanei, gli Enciclopedisti francesi da Montesquieu a Voltaire, trovando ispirazione per un poemetto giovanile rimasto incompiuto, Il Trionfo della ragione.

Il suo esordio poetico, che avvenne a soli quindici anni con versi d'occasione, lo fece talmente apprezzare nella ristretta ed esigente cerchia dei letterati palermitani da farlo nominare socio dell'“Accademia del Buon Gusto”, una delle tante che caratterizzavano il costume letterario del tempo, dove ci si riuniva a declamare versi e a disputare di questioni culturali. Passò via via a più importanti circoli esclusivi della nobiltà e più alla moda; nel '61 come socio dell'Accademia della Galante Conversazione e nel '66 a quella degli Ereini nelle quali declamava con crescente successo le sue composizioni in dialetto e in lingua.

Giovanni Meli raggiunse notorietà in tutt'Italia aderendo ai modi e allo stile dell'Arcadia ( fondata a Roma nel 1690 da Gian Vincenzo Gravina e da Giovanni Mario Crescimbeni coadiuvati nell'impresa anche dal torinese Paolo Coardi, in occasione dell'incontro nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio di quattordici letterati appartenenti al circolo letterario della regina Cristina di Svezia), con una dimensione tutta sua e con l'uso della lingua siciliana.                     

La celebrità arriva nel 1762 col poemetto La Fata galante, in cui il Meli immagina d'incontrare una fata, figura allegorica della fantasia, che gli propone sotto forma di fiabe mitologiche, tematiche filosofico- sociali, in cui egli trasferisce in forma poetica la sua filosofia, non certo omogenea ed ordinata secondo un organico disegno e modellata sui cosiddetti romanzi filosofici francesi o sui più antichi modelli allegorici della letteratura europea.

« Dunca ascuta a lu patri, e teni accura a sti pochi e sinceri avvirtimenti »

                                                                                        (Giovanni Meli da La Fata Galante)

Estratto da La Fata Galante (i primi dieci versi):

 

CAPITULU 

A LA GALANTI CONVERSAZIONI

 Figghiu miu, libriceddu rispittusu,

Chi spunti, e nesci a la mala vintura,

Privu d'un vistiteddu fattu all'usu;

 

Cu sa, cu sa, sta sira unni ti scura;

Cu sa s'annu a scanciariti pri mulu;

Cu sa si si jittatu a la malura.

 

Senti cca, figgiu miu, sai chi 'un t'adulu;

Tu intornu a robbi sì scumituliddu;

E nun si cosa di nesciri sulu;

 

Nè poi trattari cu chistu, e cu chiddu;

Anzi li Varvasapii, e li Saccenti

Dirannu: gioja mia, sì picciriddu.

 Diu ti scansi di Critici impurdenti,

Di chiddi, ch'annu impegnu di passari

Pri Saputi, ma poi nun sannu nenti.

 Cu sa si chisti t'annu a capitari;

Cu sa si t'annu a dari un sgranfugnuni;

Cu sa si t'annu a scùsiri, e tagghiari.

 Cu sapi, s'annu a serviri a taluni

Li toi fogghi pri spezii e zafarana,

O pri ammugghiari li Fruaridduni.

 

Ma 'un ti pigghiari, tu, di mala gana

Pri chisti cosi, cho'ora t'aju dittu,

Ca forsi 'un ai a passari sta carvana;

 

Anzi sta allegru, e sempri tira drittu;

O beni, o mali, chi ti senti diri,

Nun ti picari, nè ti stari afflittu.

 

Sciala, quannu ti senti cuntradiri,

Chi censura a li corvi nun li tocca,

Ma soli a li palummi proseguiri.

 Intanto, per poter vivere, il Meli  intraprende gli studi di medicina, conseguendo nel 1764 il titolo professionale presso l'Accademia degli Studi di Palermo. Esercita la professione di medico soprattutto a partire dal '67, trasferendosi come condotto nel quieto borgo di Cinisi presso Palermo, dove viene chiamato " l'abate Meli", poiché vestiva come un prete anche senza aver ricevuto gli ordini sacerdotali minori.

A Cinisi egli si forma, fissando il mondo intimo della sua poesia, tra le bellezze e la pace della natura e a Cinisi compone le Elegie, parte del poema la Bucolica e scritti vari d'argomento scientifico.

 La Bucolica  (La Buccolica) è il capolavoro della raccolta delle "Poesie siciliane", che comprende vari componimenti scritti in tempi diversi, tutti in dialetto siciliano.

Alla Bucolica il  Meli si dedicò a lungo, tra il 1762 e il 1772.

La struttura è tipicamente arcadica: 2 sonetti introduttivi, 5 egloghe e 10 idilli divisi in quattro parti, ognuna intitolata a una stagione, secondo uno schema diffuso in Europa da Pope e Saint-Lambert. L'amore per la natura e la nostalgia rousseauiana per la vita primitiva hanno una immediatezza senza equivalenti nella poesia pastorale del tempo. Vi sono atteggiamenti e modi convenzionali, ma, nel complesso, il  Meli si mostra partecipe di una ispirazione idillica settecentesca, intrisa di spirito preromantico.

La raccolta delle "Poesie siciliane" è comprosta di poemetti satirici e giocosi come La Fata galante (La Fata galanti, 1762), di cui abbiamo detto, L'Origine del mondo (L'origini di lu munnu, 1768). o poemi eroico-comici come il Don Qijote e Sancho Panza (Don Chisciotti e Sanciu Panza, 1785-1787) e, al tempo stesso, di satira e esaltazione delle riforme illuministiche. Vi sono, poi, le Favole morali (Favuli murali, 1810-1814), che spiccano, nell’abbondante favolistica settecentesca, per la sintesi di fantasia e moralismo, la vivacità di un bestiario ricco e estroso, la forza ariosa di alcuni racconti. Nelle "Favole" il Meli affida al mondo sapiente e discreto degli animali l'espressione del suo ideale "d'onoratezza e di probità". Fra gli altri componimenti più noti si possono ricordare l'idillio Polemuni, l'egloga Piscatoria, e il Ditirammu: in cui il protagonista, rimpiangendo il passato, di fronte alla triste realtà presente, cerca nel vino l'oblio. Meli si serve del dialetto come d'una lingua letteraria illustre, anzi la più illustre, perché la prima ad affermarsi fra le lingue letterarie d'Italia.