Leonardo Sciascia nasce l'8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento , primo di tre fratelli da un impiegato, Pasquale Sciascia, e da una casalinga, Genoveffa Martorelli. La madre proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre è impiegato presso una delle miniere di zolfo locali e la storia dello scrittore ha le sue radici nella zolfara dove hanno lavorato il nonno e il padre.

GLI STUDI: IL PERIODO NISSENO A sette anni Sciascia inizia la scuola elementare a Racalmuto. Nel 1935 si trasferisce con la famiglia a Caltanissetta dove si iscrive all'Istituto Magistrale "IX Maggio" nel quale insegna Vitaliano Brancati, che diventerà il suo modello e che lo guida nella lettura degli autori francesi, mentre l'incontro con un giovane insegnante, Giuseppe Granata (che fu in seguito senatore comunista), gli fa conoscere gli illuministi e la letteratura. Nel capoluogo nisseno trascorrerà gli anni più indimenticabili della sua vita, come lui stesso confessa nella sua autobiografia, fatti delle prime esperienze e delle prime scoperte della vita oltre a imprimersi la sua formazione culturale. Richiamato alla visita di leva viene considerato per due volte non idoneo, ma alla terza viene finalmente accettato e assegnato ai servizi sedentari. Nel 1941 consegue il diploma magistrale e nello stesso anno si impiega al Consorzio Agrario, occupandosi dell'ammasso del grano a Racalmuto, dove rimane fino al 1948. Ebbe così modo di avere un rapporto intenso con la piccola realtà contadina. Nel 1944 si unisce in matrimonio con Maria Andronico, maestra nella scuola elementare di Racalmuto. Maria Andronico e Sciascia avranno due figlie, di nome Laura e Anna Maria.

L'ATTIVITÀ GIORNALISTICA DI SCIASCIA Oltre all'attività letteraria, Sciascia ebbe anche un'intensa esperienza giornalistica, scrivendo per numerosi giornali e riviste italiane. In particolare Sciascia collaborò sin dal 1955 con il quotidiano palermitano L'Ora - il primo articolo, del 23 febbraio 1955, è dedicato al poeta dialettale catanese Domenico Tempio[1] - scrivendo sulle pagine culturali e tenendovi una rubrica fissa, il Quaderno, tra 1964 e il 1968[2][3]. « L'Ora sarà magari un giornale comunista, ma è certo che mi dà modo d'esprimere quello che penso con una libertà che difficilmente troverei in altri giornali italiani. In quanto al mio essere di sinistra, indubbiamente lo sono: e senza sfumature. » (Leonardo Sciascia, 3 aprile 1965[2]) Su Il Corriere della Sera la sua collaborazione è alterna: dal 1969 al 1972. Se ne allontana “simbolicamente” il 10 gennaio 1987, giorno della pubblicazione dell’articolo sui professionisti dell’antimafia[3]. Su La Stampa suoi articoli compaiono già dal 1972, ma collabora col quotidiano torinese più assiduamente dopo aver rotto con Il Corriere della Sera[3]. Collabora anche con Malgrado Tutto, piccolo periodico di Racalmuto, a cui Sciascia collabora fin dalla nascita[3]. Intanto nel 1967 ha pubblicato l'antologia (curata con Salvatore Guglielmino) Narratori di Sicilia dove ha scritto nell'introduzione che "il carattere essenziale della letteratura narrativa siciliana è il realismo" e, nel 1971 gli Atti relativi alla morte di Raymond Roussel che ricostruiscono gli ultimi giorni a Palermo dello scrittore francese, dove il suo convincimento che la letteratura non sia un oggetto esterno rispetto alla realtà va aumentando, per poi insistere sullo stesso tema soprattutto tramite La scomparsa di Majorana (1975), L'affaire Moro (1978) e Nero su nero (1979).

LA POLEMICA SULL'ANTIMAFIA Sul Corriere della Sera il 10 gennaio 1987, Sciascia pubblicò l'articolo "I professionisti dell'antimafia"[4], nel quale stigmatizzava fortemente il comportamento di alcuni magistrati palermitani del pool antimafia, definendoli "eroi della sesta", i quali a suo parere si erano macchiati di carrierismo, usando la battaglia per la rinascita morale della Sicilia come titolo di merito all'interno del sistema delle promozioni in magistratura. Dopo la pubblicazione dell'articolo Sciascia fu bersagliato dagli attacchi di molte personalità della cultura e della politica e venne isolato dalle maggiori forze politiche, eccezion fatta per i Radicali ed i Socialisti. L'associazione Coordinamento Antimafia, che dallo scrittore venne definita «una frangia fanatica e stupida», lo tacciò d'essere un quaquaraquà «ai margini della società civile» e Marcelle Padovani, sulle colonne del Nouvel Observateur, accusò Sciascia di avanzare «misere polemiche» a causa del suo «incoercibile esibizionismo». (1/ continua)