Un ricordo, visto che siamo nel centocinquantesimo anniversario della nascita di un illustre empedoclino, quale fu in realtà Luigi Pirandello. Quella imponente torre posta a difesa del porto era, per noi giovani che coltivavamo qualche interesse culturale, un’attrazione irresistibile. Quando, infatti, fu finalmente sottratta alla sua funzione di casa di reclusione mandamentale a cui era stata destinata fin dal periodo borbonico, senza più gli annoiati custodi che ne impedivano l’accesso, divenne infatti luogo delle nostre esplorazioni, spesso perfino ardite, nelle sue più recondite segrete. Prima che, per il casuale ritrovamento di un vecchio e malandato registro di atti di stato di morte, assurgesse a riferimento letterario eravamo in pochi ad interessarci a quell’edificio e alle sue storie, e solo chi aveva avuto curiosità e pazienza di leggere il libro di un erudito del luogo, il podestà cittadino professor Baldassare Marullo, era a conoscenza di quanto fra le sue mura in un tempo lontano purtroppo avvenne. Andrea Camilleri, ha avuto il merito di riesumare la memoria di quella storia pubblicando “La strage dimenticata”. Non era, infatti, rimasto niente nella memoria collettiva della comunità di quei tragici eventi del 1848 , tanto è vero che mai nessuno ebbe a parlare di voci, lamenti e rumori vari che accompagnano normalmente le leggende sui luoghi dove sono avvenuti fatti di sangue o stragi. Quegli oltre 100 morti, 114 secondo Camilleri, gente reclusa nel massiccio maniero – frutto del rifacimento e ampliamento di una preesistente torre medievale, voluto dal viceré Juan de La Vega – e tragicamente deceduta, erano stati “dimenticati”, cancellati irrimediabilmente e con essi l’orrendo crimine di cui si era macchiato, l’incapace comandante Sarzana, “alcade” della stessa torre-prigione. Riportare quel ricordo è stato importante, anche per smentire certe idee scorrette, e con ciò mi guardo dal sostenere che il dopo sia stato tutto rose e fiori, sulla bontà del governo borbonico e dei suoi sgherri rispetto alla crudeltà dei savoiardi. Ma torniamo ai ricordi. Quell’interesse, negli anni, si consolidò in attività che, a riguardare la storia di questi ultimi cinquant’anni di vita paesana, possiamo orgogliosamente dire che furono vere avanguardie di come si anima un ambiente culturale. Non eravamo solo noi ragazzi a muoverci, farei un torto alla storia locale se dimenticassi in particolare la passione e l’opera di un erudito locale, che per inciso avrebbe meritato molto di più e che la sua città, come normalmente accade, ha ignorato, parlo dell’avvocato Alfonso Gaglio, che fu il fondatore e l’animatore del “centro culturale Torre di Carlo V”. Dentro quell’edificio, recuperando un vecchio proiettore, forse appartenuto allo storico Cinema Mezzano, il nostro sodalizio allestì infatti un artigianale cineclub. Ricordo, dopo le proiezioni di film come “Il posto delle fragole” di Bergman, i dibattiti animati che videro protagonisti molta gente colta non solo del paese ma dell’intera provincia. Fra questi, non dimentico le intelligenti riflessioni di Angelo Bonfiglio, ancora non presidente della Regione siciliana, raffinato intellettuale noto soprattutto per essere stato uno dei più famosi avvocati siciliani. Ricordo ancora un bravo regista, parlo di Accursio Di Leo, anche lui dimenticato che ci aiutò ad allestire, in un’altro locale della Torre (per la cronaca uno dei più angusti, con un’unica via di fuga), un piccolo teatro che fu inaugurato con un mio lavoro, messo in scena dalla piccola filodrammatica che avevamo promosso. Ed ancora la pinacoteca, che avevamo allocata in un altro ambiente intonacato alla meglio da noi stessi, che vide, come primo evento, il vernissage di Ibrahim Kodra, un pittore d’origine albanese che si sarebbe nel tempo affermato. Quello che, dilettantisticamente avevamo realizzato come luogo di incontro, divenne bene presto un punto di riferimento importante per la cultura locale. Ce ne accorgemmo quando, in occasione dell’anniversario dei Fasci siciliani, fu scelta proprio la Torre come sede per una serie di incontri, molto affollati, che videro protagonisti del calibro di Massimo Ganci e Francesco Renda. E intanto, le nostre attività crescevano e vedevano la partecipazione di personaggi che sarebbero diventati famosi, parlo dello stesso Andrea Camilleri e del regista televisivo Michele Guardì. Un fermento culturale ed un attivismo senza precedenti in una cittadina di provincia che, fino ad allora, aveva orgogliosamente rifiutato di considerarsi tale e che rivendicava la sua vivacità borghese senza però esserne conseguente. Porto Empedocle, era infatti una cittadina aperta, luogo di incrocio culturale come lo dimostravano, cosa inusuale in quel tempo, i tanti cognomi stranieri dei suoi abitanti. Di quella storia, che si consumò nel giro di pochi anni – e cioè fino a quando molti di noi giovani d’allora lasciammo la “Marina”, come si intendeva Porto Empedocle prima che gli si affibbiasse il nome di Vigata, per stabilirci dove lo studio prima e il lavoro dopo ci costringeva ad andare – resta a memoria quella torre massiccia di forma quadrangolare, oggi restaurata, posta dai suoi costruttori a difesa della costa contro le terribili incursioni saracene, un edificio che, almeno per me, ha perduto gran parte di quel fascino che aveva allora suscitato le nostre giovanili e impudiche curiosità. by Pasquale Hamel 29 giugno 2017