luglio 1929. La sera sta calando sull’isoletta siciliana divenuta la principale colonia di confino del regime fascista. All’imboccatura del porto alcuni carabinieri di guardia notano un motoscafo. Non danno tuttavia l’allarme: si tratta di certo di uno dei mezzi del servizio di sorveglianza,

magari preso in prestito da qualche papavero dell’isola per un giretto serale in dolce compagnia. Il motoscafo ha il motore spento. A bordo, però, nessun gerarca, niente militi o carabinieri. Tre antifascisti: il capitano Italo Oxilia, già responsabile della fuga di Filippo Turati in Francia nel 1926 al timone, ai motori Paul Vonin e a prua, a scrutare l’orizzonte, Gioacchino Dolci, ex confinato proprio a Lipari. I minuti passano. Interminabili. Finalmente un uomo procede a nuoto. Si tratta di Paolo Fabbri, classe 1889, socialista e dirigente del Movimento contadino in provincia di Ravenna. Si avvicina, saluta. Poi torna indietro. Va ad avvisare i compagni che stavolta è quella buona. Pochi minuti e un altro uomo a nuoto raggiunge l’imbarcazione. È Francesco Fausto Nitti, nipote dell’ex Presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti. Dieci anni più giovane di Fabbri, impiegato di banca, repubblicano. Sale a bordo. Sono quasi le 21.30: tra pochi minuti passerà la ronda di controllo per il paese e darà di certo l’allarme. L’attesa è febbrile. Finalmente due sagome si notano in acqua. I motori partono. I due in mare sono issati a bordo: uno è il professor Carlo Rosselli, anche lui implicato nella fuga di Turati, l’altro è l’ex deputato ed eroe di guerra sardo Emilio Lussu. Fabbri, trattenuto, non potrà invece raggiungerli. Il tempo di uno sguardo e il motoscafo, che porta il nome evocatore di Dream V, sfreccia a tutta velocità verso la Tunisia. I tre ce l’hanno fatta: sono sulla strada della libertà. E sono euforici. Forse lo immaginano, la loro fuga resterà uno dei colpi più audaci dell’antifascismo. 27 luglio 1929. Novant’anni fa. In questa Italia tumultuosa e distratta da problemi reali e fake news è giunto in sordina questo anniversario. E sembra, in apparenza, l’anniversario di un fatto minore nell’economia della grande storia, trascurabile. Non è così, non lo era allora e non lo è oggi. Scriveva a tal proposito Lussu nell’aprile 1945: Di fronte a quanto d’azione si è fatto nell’Europa occupata in questi anni di guerra, di fronte a quanto fanno i nostri partigiani, il raid di Lipari appare come un misero granello di sabbia nell’immensità del deserto. Ma, allora, la situazione italiana era silenzio. Con le leggi eccezionali e con un regime di polizia, con le frontiere chiuse, tutto era immobile. Il raid di Lipari fu come un sasso gettato al centro di un lago calmo in una giornata di sole. Attorno al punto toccato dal sasso, i cerchi si formano, si moltiplicano, si estendono, e ridanno animazione all’immobilità, vita improvvisa alla morte apparente (Lussu 1997, pp. 8-9). Oggi quel 27 luglio 1929 ci riporta ad un’Italia che è stata. È la storia di un periodo oscuro, di quel fascismo che troppi, per ignoranza o per malizia, evocano sui social o marciando in maglia nera come periodo glorioso, dimenticando ciò che realmente è stato, ma è anche la storia di chi al fascismo si oppose, con le idee e con l’azione. Come hanno scritto Luca Di Vito e Michele Gialdroni, autori di Lipari 1929. Fuga dal confino, ad oggi il più completo contributo critico alla ricostruzione storica di questo avvenimento, «anche nei momenti di più cupa oppressione, ci furono donne e uomini che non chinarono il capo e continuarono a lottare nel nome degli ideali di libertà e giustizia» (Di Vito, Gialdroni 2009, p. 4). Ma chi furono i protagonisti di questa incredibile vicenda? Lussu e Rosselli sono nomi noti, anche se forse più per altre vicende, altri aspetti della loro vita che per quanto accadde quella notte a Lipari: Carlo Rosselli, autore di quel Socialismo liberale che vide la propria stesura proprio durante il confino, avrebbe concluso tragicamente la propria vita di esule e di antifascista militante assieme al fratello Nello nel 1937 a Bagnoles-de-l’Orne, ucciso da sicari francesi armati da Roma; del capitano Lussu, ufficiale della “Sassari”, deputato sardista, futuro ministro sotto il governo Parri, generazioni di studenti hanno letto lo straordinario Un anno sull’altipiano. Altri protagonisti della fuga, come Dolci e Nitti, sono passati in secondo piano e risultano per lo più sconosciuti a chi non abbia approfondito la questione. Per chi volesse approfondire, tutti e tre i fuggiaschi hanno lasciato degli scritti in merito alla loro esperienza di confinati prima e di evasi ed esuli poi. Si tratta di fonti di grande interesse, che vanno però contestualizzate e studiate con attenzione. Furono infatti scritte tutte a ridosso degli eventi, nel pieno della lotta al fascismo che dalla Francia i tre proseguirono instancabilmente, con l’ansia di far conoscere la propria esperienza ma, al contempo, con la preoccupazione di tutelare chi, come Fabbri, aveva contribuito in modo determinante alla fuga ma si trovava ancora in Italia, prigioniero del fascismo. Il primo a scrivere fu Lussu, in quella stessa estate del 1929. Sollecitato, come poi sarà per Un anno sull’altipiano, da Gaetano Salvemini, il capitano scrisse La catena, che uscì all’inizio dell’anno successivo e fu presto tradotto in francese, inglese e tedesco. Narra le vicende che condussero Lussu, dopo l’aggressione subita a Cagliari il 31 ottobre 1926 durante la quale egli, difendendosi armi alla mano, aveva ucciso un giovane squadrista, all’arresto e alla deportazione. È un testo agile per mole, di lotta, in cui la parte autobiografica serve all’autore per ampliare il discorso e aprirsi alla riflessione storica e politica, con analisi acuta e, dal punto di vista stilistico, con l’ironia che caratterizzerà anche i libri successivi. Il testo, a lungo dimenticato, è stato ripubblicato nel 1997 da Baldini & Castoldi con un’ampia postfazione corredata di cronologia, profili biografici dei personaggi citati e bibliografia aggiornata a cura di Mimmo Franzinelli. Il secondo ad uscire, pochi mesi dopo, fu il libro di Nitti, che fu pubblicato in inglese col titolo di Escape e in francese con quello di Nos prisons et notre évasion. Il testo, disponibile in italiano solo nel 1946 (Le nostre prigioni e la nostra evasione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli) da allora non è più stato ripubblicato. È un libro autobiografico, di memoria personale e di riflessione politica, e ripercorre le tappe significative della maturazione dell’autore, dall’infanzia in una famiglia di tradizioni repubblicane e di fede protestante, all’arresto e al confino. L’ultimo dei tre a scrivere fu, nel 1931, Carlo Rosselli, con Fuga in quattro tempi, articolo esile per numero di pagine ma denso per contenuti e capacità narrativa. Pubblicato sull’“Almanacco socialista”, fu poi riedito in Italia nel 1944, assieme ad altri scritti. Con uno stile rapido, talora rapidissimo, Rosselli ci trasporta nell’ansia di quei mesi dipingendo i ritratti dei fuggitivi e dei collaboratori con pochi tratti da maestro. Tre uomini, dunque, tre diverse personalità politiche che a Lipari si incontreranno. Sull’isola avranno modo di stringere un rapporto intellettuale e umano che dopo la fuga li porterà a lottare a lungo insieme contro il fascismo. Il primo dei tre ad essere deportato è Nitti. Arrestato il 2 dicembre 1926, alla fine del mese è condotto ad Agrigento e da qui a Lampedusa. Vi resterà fino ai primi di marzo, quando l’isola verrà sgomberata dei deportati politici. La nuova meta del giovane repubblicano è quindi Lipari. Rispetto alla precedente, la nuova destinazione offre condizioni in parte migliori: maggiori spazi e un clima più salubre la fanno inizialmente apparire al giovane deportato come un paradiso. Ma è pur sempre un carcere a cielo aperto con tutte le sue regole. Qui, come altrove, affluiscono antifascisti da ogni parte d’Italia, di ogni classe sociale e di ogni orientamento politico. Chi può permetterselo alloggia in case private affittate dagli isolani, per gli altri non c’è che il castello e i suoi cameroni grigi e freddi. Pochi giorni dopo l’arrivo di Nitti, a Lipari giungono altri antifascisti: Jaurès Busoni, pure autore di un libro autobiografico sul confino, e i già nominati Paolo Fabbri e Gioacchino Dolci. Di Fabbri e Dolci lascerà uno stupendo ritratto Carlo Rosselli: Dolci è il più intelligente di tutti. Tutto lo interessa, tutto comprende. Silvestri (che ha pure altre virtù) fa la ginnastica sistema Muller. Dolci fa la ginnastica con le idee. Tutti gli attrezzi sono buoni. Passa dalla radio alla filosofia, dalla musica alla biologia. Gran signore, deve tutto a se stesso. C’è in lui un distacco costituzionale da tutto ciò che forma l’ambizione dell’uomo normale. Anche nella lotta, lotta per ginnastica morale, per guardarsi dal filisteismo borghese. Naviga e vola con la stessa indifferenza con cui prepara uno schema radio. […] Fabbri è l’opposto di Dolci. Figlio della terra, ne conserva la concretezza e la fruttuosità. Terra bolognese: grassa e generosa. Colono, poi organizzatore di contadini, infine capo della resistenza molinellese. Fabbri è la riprova della vitalità del socialismo. […] A Lipari si accontentava di fare il lavandaio. […] Terminato il bucato, Fabbri studiava il francese e leggeva con la stessa energia con cui per tanti anni aveva maneggiato la vanga (Rosselli 1944, pp. 40-41). Sull’isola si formano gruppi di discussione, nascono amicizie, sempre ovviamente di nascosto dalle guardie e con estrema attenzione: anche Lipari pullula di spie e di gente disposta, per un premio o per carriera, a vendere la vita dei confinati. Fra discussioni, studio e idee un pensiero si fa però strada in Nitti: la fuga. Quando era sorto in me quel pensiero la prima volta? Forse quando la sera del 2 dicembre 1926 la porta della cella di Roma si chiuse alle mie spalle? O forse durante le notti insonni dei viaggi in catene? O a Lampedusa? Non avrei saputo dirlo. Sapevo solo che il pensiero che io dovevo tentare tutto per riconquistare la libertà, si faceva sempre più padrone di me, diveniva il motivo di “vivere”, l’ancora di salvezza per me, e insieme l’incubo (Nitti 1946, p. 219). Passano i mesi e fra novembre, con l’arrivo di Lussu, e dicembre, con quello di Rosselli, il progetto diventa oggetto fisso di conversazione: nasce il “club dell’evasione”, come ama ripetere il capitano. Dopo un primo piano, fallito sul nascere nel dicembre 1927, il progetto comincia a prendere corpo. Del gruppo fanno parte Rosselli, la moglie Marion, che lo raggiunge a Lipari e che, una volta ripartita, permetterà la comunicazione con l’estero, Emilio Lussu, Gioacchino Dolci, Francesco Fausto Nitti. Grazie ai fondi di Rosselli e al sostegno degli antifascisti all’estero, in Francia si attiva un gruppo che procurerà il motoscafo. Lo animano Alberto Tarchiani, redattore capo del “Corriere della sera” dal 1919 al 1925, Alberto Cianca e Gaetano Salvemini. Tarchiani trova il mezzo e il comandante: un nome di eccezione, Raffaele Rossetti, medaglia d’oro al valor militare, affondatore della corazzata “Viribus unitis” nel porto di Pola il 1° novembre 1918. Inizia il primo grande piano. Procederà però molto lentamente, per problemi tecnici e per attriti fra gli organizzatori esterni, e culminerà con gli insuccessi dell’autunno 1928. Il 17 novembre i quattro si calano in acqua. Ci restano venti minuti, invano. A causa del maltempo il Sigma IV, motoscafo acquistato per l’impresa, non arriverà. La sera successiva Nitti e Dolci ritentano: nulla di fatto, si dovrà aspettare il 1929. Nel frattempo si riorganizzano le forze. Il 4 dicembre Dolci termina il confino. Rientrato in Italia fa perdere le proprie tracce ed espatria in Francia: il suo contributo sarà fondamentale nei mesi successivi. Entra poi nel gruppo Paolo Fabbri. Anche il club esterno si riorganizza. Il Sigma IV viene ritenuto inaffidabile e sostituito con un altro natante, il Dream V, mentre anche il capitano Rossetti esce dal “club”, pur continuando a sostenerlo idealmente. Il suo posto viene preso da Italo Oxilia, l’uomo che tre anni prima ha condotto in Corsica Filippo Turati. Nuovi piani dunque: sarà per luglio 1929, fra il 5 e il 28, data limite. E così accade: dopo due altri tentativi andati a vuoto, giunge infine la sera del 27. È sabato. Scrive Rosselli: Com’è vero che Dio paga il sabato. Stasera fuggiremo. Nella notte ho sognato un leone che mi insegue su un “tapis roulant”. Sogno a conclusione lieta. Lussu interpreta fulmineo: tapis roulant - fuga. Leone - Africa. Finalmente ci siamo (Rosselli 1944, p. 49). E comincia la «notte degli equivoci», come l’hanno ben definita Di Vito e Gialdroni nel loro saggio. All’orario convenuto i quattro sono a riva. Ma il Dream V non si vede. Lussu e Rosselli tornano indietro mentre Fabbri e Nitti aspettano ancora. Scrive Nitti: Il mio orologio segnava le 21.15 quando un rumore di motore cominciò a farsi sentire al largo. Però non vedevo nulla. Il rumore si avvicinava sempre di più. Ad un certo punto mi accorsi che il rumore, pure avvicinandosi, diminuiva. Avevano messo certamente il “silenziatore”. Poco dopo un’ombra nera, allungata apparve innanzi a me, a circa venti metri. […] Nessun lume a bordo. Non potevano essere che loro! (Nitti 1946, pp. 279-280). Fabbri torna indietro per chiamare Rosselli e Lussu ma sulla via del ritorno a riva è fermato da una pattuglia. Si finge ubriaco e copre i compagni. Sarà condannato per complicità nella fuga e si farà per questo tre anni di carcere. Ma ormai i tre ce l’hanno fatta. Il Dream V esce dal porto facendo rotta verso occidente. Raggiunge le Egadi e poi punta verso la Tunisia. Il resto è storia. Dalla Tunisia i tre partiranno per la Francia. Là incontreranno i molti italiani esuli per le loro idee, per il loro antifascismo. Epico l’incontro con Salvemini come descritto da Lussu: Alla Gare de Lyon ci attendevano, seduti fuori in un caffè, Turati, Treves, Modigliani, e Salvemini e Cianca. Al nostro apparire, Salvemini ci corse incontro e abbracciò Rosselli gridando “Figlio d’un cane!”, poi me, più semplicemente: “Cane!”. Col nostro arrivo sembrava che il fascismo fosse crollato (Lussu 1997, p. 10). Solo il 7 agosto, undici giorni dopo l’evasione, mentre già i giornali esteri non parlano d’altro, viene comunicata ai giornali italiani la notizia della fuga. “Il popolo d’Italia”, quotidiano fondato da Mussolini, ne darà notizia solo l’8 settembre 1929 con un esile trafiletto. Per il regime è uno smacco totale. I tre evasi e i loro compagni esuli in agosto daranno vita a “Giustizia e Libertà”, fra le più attive organizzazioni antifasciste all’estero e in Italia, pochi anni dopo si ritroveranno a combattere in Spagna al motto “Oggi in Spagna. Domani in Italia”. Rosselli, destinato a morire a pochi mesi da quest’ultima esperienza di lotta, così conclude i propri ricordi in merito all’evasione: Eccoci infine, salvi. I cuori scoppiano, le labbra sorridono involontarie. Come avessimo cambiato pelle. Diciotto ore fa eravamo a Lipari, eppure sembra già tanto lontana nel tempo. Nuovi interessi, nuove speranze urgono. Il confino è fulmineamente entrato nel reparto ricordi. Siamo tutti protesi verso l’avvenire. Vogliamo lavorare, combattere, riprendere il nostro posto. Un solo pensiero ci guiderà nella terra ospitale: fare di questa libertà personale faticosamente conquistata uno strumento per la riconquista della libertà di tutto un popolo. Solo così ci par lecito barattare una prigionia in patria con una libertà in esilio (Rosselli 1944, p. 54).

 

Bibliografia

Busoni J., Confinati a Lipari, Vangelista, Milano 1980.

Capogreco C. S., I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943), Einaudi, Torino 2004.

Di Vito L., Gialdroni M., Lipari 1929. Fuga dal confino, Laterza, Roma-Bari 2009.

Lussu E., La catena, Baldini & Castoldi, Milano 1997.

Id., Marcia su Roma e dintorni, Einaudi, Torino 2014.

Nitti F. F., Le nostre prigioni e la nostra evasione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1946.

Rosselli C., Scritti politici e autobiografici, Polis Editrice, Napoli 1944.