“Swim against the current”, in questo caso “il coraggio di andare contro corrente”. Rubiamo questa frase a Shakespeare per definire il comportamento ordinario di Oriana Fallaci, giornalista, scrittrice, intellettuale di alto livello la cui vita avventurosa, coronata da tanti successi, è stata una continua sfida al conformismo in nome di quei principi di libertà che avevano segnato la sua formazione giovanile in una famiglia fiera delle proprie idee libertarie. Ribelle per natura, Oriana ha affrontato i grandi temi del nostro tempo a viso aperto, senza mai arretrare per compiacere il potente di turno. Una donna orgogliosa delle proprie idee, capace di rischiare per l’affermazione delle stesse, per nulla intimidita dal suo essere donna in un mondo connotato da forti tratti maschilisti. Una grande scrittrice, le cui opere hanno saputo cogliere e comunicare, con la profondità che richiedevano, le ansie, le speranze, i drammi personali di una generazione sopravvissuta ad una guerra. Basta scorrere le pagine dense del suo capolavoro, parlo di “Lettera ad un bambino mai nato”, per rendersi conto della qualità letteraria e del livello espressivo della nostra autrice. Una grande giornalista che, fin da ragazza, aveva elaborato un suo stile, che poi, nella maturità, avrebbe sviluppato e arricchito di originali contributi. La sue interviste, interviste ai grandi della terra, costituiscono tutt’ora un punto fermo sul modo di far giornalismo in presa diretta. Un’intellettuale capace di grandi riflessioni, che ha affrontato temi anche delicati scremandoli dalle passioni per dare spazio al ragionamento. Individualità forte, pur nella sua fragilità, che non si è negata mai la prima linea per avere contezza diretta delle vicende che avrebbe dovuto raccontare. Non per nulla la troviamo sui fronti di guerra del Vietnam, come del Libano incurante dei pericoli cui andava incontro. Una combattente per l’affermazione dei diritti delle donne ma, in questo caso, con posizioni mature ed equilibrate e, per questo, concludenti, non il solito femminismo salottiero e alla moda. Donna orgogliosa della propria dignità e della propria cultura, esemplare il gesto con cui si tolse il velo, “lo stupido cencio del Medioevo”, di fronte all’ayatollah Rohullah Khomeini, il grande vecchio della rivoluzione iraniana. Una personalità, si potrebbe dire, inquieta e una autentica testimone dei grandi valori di cui è portatrice la cultura occidentale. E proprio per quei valori, che avrebbero dovuto essere patrimonio non negoziabile di una sinistra democratica e moderna e che invece, in nome di un confuso e generico pseudo-umanitarismo o solidarismo la stessa ha finito per emarginare, avviene la grande rottura con certa sinistra. Si potrebbe dire che, a quel punto, Oriana “non ci sta”. Non ci sta ad accettare che la modernità, conquistata con lotte secolari, che la grande storia della cultura occidentale, possa essere abiurata accettando, in nome di una tolleranza a senso unico, che l’oscurantismo antilluministico prevalga. “Vi sono momenti, nella Vita – scrive da New York dove vive da alcuni anni – in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre.” E quel momento arriva dopo l’attentato alle Torri Gemelle. Un momento topico, uno schock che va al di là delle migliaia di vite umane immolate alla follia del fondamentalismo islamico. Oriana, parla, scrive di getto il suo “La Rabbia e l’orgoglio”. Una requisitoria contro l’assedio che la cultura islamica, che il mondo islamico porta nei confronti di un Occidente che non riesce a rendersi realmente conto di quanto accade. “lo scontro tra noi e loro non è militare. È culturale, religioso, e le nostre vittorie militari non risolvono l’offensiva del terrorismo. Anzi la incoraggiano, la inaspriscono, la moltiplicano.” Scontro di civiltà, dunque, del quale Oriana invita a prendere atto. Una provocazione, la sua, un rompere da un pulpito autorevole come il suo, le uova nel paniere alle rilassante vacuità del politically correct. Da qui la reazione, il tentativo di emarginazione, la messa all’indice da parte di chi, soprattutto nell’area degli intellettuali della sinistra radical chic, aveva l’arroganza di pensare che le proprie tesi non potevano essere messe in discussione. Oriana diveniva così una Cassandra, le si affibbiava la medaglietta di “islamofoba”, si tentava di chiuderla nel ghetto della isteria senile. Ma la Fallaci, per la sua storia, per le sue battaglie, per quella caratura intellettuale che la contraddistingueva, per le centinaia di migliaia di lettori che la seguivano con passione, difficilmente poteva essere messa a tacere. A quel libro provocatorio e radicale, faceva seguire altri interventi, anche più ragionati seppure non vigorosi come il primo. La sua, utilizzando il titolo di uno di quei libri, era l’affermazione della “forza della ragione”, quella forza della ragione che, da un altro pulpito, invocava un intellettuale come Joseph Ratzinger nella tanto famosa che contestata lezione di Ratisbona. Purtroppo, direi, purtroppo per noi, però quella battaglia Oriana non l’ha potuta condurre fino in fondo come lei avrebbe desiderato. Il mostro che si le si era annidato dentro e contro il quale da tempo combatteva la sua battaglia di vita, infatti la uccideva il 15 settembre del 2006 spegnendo quella voce che aveva osato rompere la pesante cappa silenziosa del conformismo di un Occidente avviato alla negazione di se stesso. Pasquale Hamel