L’esperienza dell’indipendentismo siciliano, secondo la versione di Massimo Ganci, inizierebbe già alla fine del 1941 con l’esaurirsi dell’offensiva tedesca nei confronti dell’Unione sovietica, una tesi che enfatizza oltremisura taluni malumori rispetto al fascismo che, in ambienti giovanili o intellettuali siciliani, erano emersi da tempo. In realtà, ancora per tutto quell’anno, nonostante il clamoroso fallimento dell’offensiva nei confronti della Grecia, in Sicilia non si registrano insofferenze di sorta nei confronti del regime fascista e la gente attende fiduciosa l’esito di una guerra che il regime annuncia vittoriosa. A supporto di una, a suo dire, evidente crescita di una posizione che avrebbe puntato al distacco della Sicilia dall’Italia, lo storico porta l’opuscolo Elogio del latifondo, autore il barone Lucio Tasca, che sarebbe stato scritto proprio nel 1941. Di questa datazione, non si ha tuttavia alcuna certezza, e forse, come qualcuno suppone, fu lo stesso Tasca a retrodatarlo perché in realtà pare fosse stato scritto fra la fine del 1942 e il primo semestre del 1943. In quest’opuscolo, partendo da una impostazione fortemente conservatrice, l’agrario Tasca parla della ineluttabilità del regime latifondistico, e propone il distacco della Sicilia dal resto del Paese. Altro scritto, di natura ben diversa ma anch’esso mirato a diffondere l’idea di una Sicilia separata dall’Italia, sempre citato da Ganci, è La Sicilia ai siciliani redatto, più o meno nello stesso periodo del primo, da Antonio Canepa, giovane e irrequieto professore universitario di tendenze socialiste, annoverabile fra i gli utopisti o cosiddetti sognatori senza i piedi per terra. A parte questi due scritti che, pur nella esilità delle argomentazioni svolte, costituiscono documenti di un certo rilievo, non risultano altri testi che, in qualche maniera, ne eguaglino il valore e confortino la tesi dello storico. In realtà, per parlare di avvio dell’indipendentismo siciliano, bisogna aspettare il 1943 anno in cui, tra il luglio e l’agosto, la Sicilia esce fuori dal conflitto e viene occupata dagli angloamericani. Lord Rennel che, nel suo rapporto agli alleati, conferma che non aveva trovato nessuna notizia su movimenti separatisti in Sicilia prima dello sbarco. A cavalcare la tigre dell’indipendentismo, dal ’43, si pone un personaggio di grande esperienza ma, anche, di dubbia moralità politica. Si tratta di Andrea Finocchiaro Aprile, già sottosegretario nei governi Nitti, in un primo tempo antifascista e, successivamente attendista, che dagli anni trenta, per sfuggire all’emarginazione, aveva avviato un cauto, ma infruttuoso, avvicinamento al fascismo al punto da inviare una lettera a Mussolini nella quale denunciava il direttore generale del Banco di Sicilia come ebreo nella speranza di prenderne il posto. Finocchiaro Aprile, facendosi portavoce degli agrari che temevano dei mutamenti sociali con l’avvento di un eventuale sistema democratico, divenne il leader riconosciuto degli indipendentisti e avviò una serie di incontri per strutturare il movimento certo di potere sfruttare la situazione precaria nella quale si trovava l’isola. Per queste relazioni puntava, soprattutto, sulle personali relazioni favorite dalla sua militanza massonica. Dalla sua c’era l’estrema debolezza dei partiti antifascisti privi di collegamenti nazionali. Già il 12 giugno 1943, in occasione della caduta di Pantelleria, venne diffuso un proclama separatista da parte del sedicente Comitato d’azione provvisorio che nelle settimane successive diventava Comitato per l’indipendenza Siciliana. L’appoggio dei notabili, a cominciare dal citato Lucio Tasca e dall’avvocato Antonio Varvaro, dava forza al movimento a cui aderì il gotha mafioso siciliano, a partire da don Calogero Vizzini, Michele Navarra, Giuseppe Genco Russo, Paolino Bontate, per citare i più famosi. Questo per quanto riguardava la parte occidentale, ma anche nella parte orientale della Sicilia il separatismo trovava i suoi leader, fra essi il citato Antonio Canepa, ma anche Francesco Paternò Castello, duca di Carcaci, il barone Stefano La Motta e, soprattutto, l’avvocato Attilio Castrogiovanni e nonché l’equivoco possidente Concetto Gallo, in odore di mafia. Il programma degli indipendentisti era abbastanza semplice e si sintetizzava nel dare vita ad una repubblica siciliana separata dall’Italia. Proprio per mettere gli Alleati di fronte al fatto compiuto, al loro arrivo vennero diffusi volantini e manifesti incitanti alla indipendenza siciliana. Quando il generale Patton, al comando delle truppe alleate, entrò a Palermo, trovò, infatti, i muri della città tappezzati di manifesti nei quali si chiedeva un plebiscito per l’erezione della Sicilia a stato indipendente repubblicano proclamando, nel contempo, la decadenza di Vittorio Emanuele e della dinastia Savoja. Bisogna riconoscere che Finocchiaro Aprile fosse molto bravo nel giocare su un presunto appoggio degli alleati alla richiesta separatista. Lo stesso lord Rennel nella sua relazione scriveva infatti :”Non sorprende che l’arrivo degli eserciti alleati, accompagnato da una massiccia propaganda che annunciava l’imminente liberazione del popolo di Sicilia, abbia dato impulso all’idea separatista che pretende ora l’appoggio degli alleati.” In realtà, come è stato confermato successivamente dal colonnello Poletti, a capo dell’A.M.G.O.T, non ci fu nessuna legittimazione del Movimento indipendentista ma solo una attenzione in attesa di verificarne la consistenza al di là delle millantate cifre che Finocchiaro Aprile rilanciava, con radunate pubbliche per dimostrare un radicamento molto più vasto rispetto alla consistenza reale del movimento. Infatti, incurante dei divieti che il governo alleato aveva posto, il leader indipendentista alimentò e promosse i grandi manifestazioni di piazza pensando che avrebbe convinto gli Alleati a schierarsi dalla sua parte ed ad accettare l’idea del plebiscito. Nella realtà dei fatti, gli alleati, e segnatamente Poletti, avevano già deciso, con il sostegno sovietico di riconsegnare la Sicilia all’Italia ed ai Savoja, ciò che in effetti avvenne nel febbraio del 1944. Il MIS fu spiazzato da quella mossa e non gli restò che l’opposizione, uno spazio di difficile praticabilità considerata la contraddittorietà delle componenti che ne costituivano il corpo. Canepa e Gallo, con i Carcaci e i La Motta, fondavano nel 1945 addirittura un esercito di liberazione, l’EVIS che cercò contatti con il banditismo siciliano trovando ambigua accoglienza. Non si dimentichi la partecipazioni di personaggi come Salvatore Giuliano o dei fratelli Avila, che per anni terrorizzarono vaste aree del territorio isolano. L’Evis, fra l’altro avversato da alcune parti dell’indipendentismo di sinistra, chiuse la sua storia con la morte di Antonio Canepa, ucciso in uno scontro a fuoco con i carabinieri presso Randazzo, anche se, sotto il comando di Concetto Gallo, ebbe una coda il 29 dicembre del 1945 di una sorta di battaglia con le divisioni dell’esercito italiano nella zona di San Mauro di Caltagirone. Intanto, lo stesso Finocchiaro Aprile tentava, in qualche modo, di salvare il suo movimento, celebre è il suo memorandum alle Nazioni unite del 31 marzo 1945, anniversario della rivolta del Vespro, nel quale pateticamente affermava che “nell’enorme maggioranza, il popolo siciliano è per l’indipendenza.” Ma non era più il tempo delle grandi radunate, lo dimostreranno le elezioni del ’46 che regalavano percentuali ridicole al MIS e le successive elezioni regionali del 1947 dove, nonostante il massimo sforzo, non arrivavano al 9%. Svuotato dei suoi contenuti, abbandonato da quei poteri forti, ivi compresa la componente mafiosa che l’avevano in un primo tempo sostenuto, dopo le elezioni del 1951, nel corso delle quali non raggiungeva nemmeno l’1%, il Movimento Indipendentista Siciliano, sopravvalutato da molti storici al punto da attribuirgli il merito dello Statuto autonomista, si scioglieva, chiudendo definitivamente una parentesi drammatica e, per quel qualche aspetto, perfino patetica della storia siciliana. by Pasquale Hamel (contiua/6)