L’approvazione dello Statuto, come si è già scritto, a nostro avviso fu affrettata per ragioni politico-elettorali. Umberto II voleva, con questo gesto “munifico”, ingraziarsi l’’elettorato siciliano in vista del referendum del 2 giugno 1946. Anche gli autonomisti avevano pure loro fretta paventando un ripensamento come, per altri motivi, non avevano meno fretta gli indipendentisti moderati, visto che immaginavano l’Autonomia conquistata come tappa intermedia raggiunta la quale speravano di avanzare ben più sostanziose richieste. Ad essere insoddisfatti furono, sicuramente, gli indipendentisti duri e puri, i quali tentarono gesti eclatanti che, tuttavia, non trovarono nella comunità regionale quel consenso che avevano sperato. Di questi gesti parleremo in una successiva puntata, qui invece ci soffermeremo sul percorso a cui fu sottoposto lo Statuto, approvato con Regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, prima di essere convertito in legge costituzionale. Infatti, prima che il progetto di Statuto divenisse legge dello Stato, bisogna ricordare un passaggio non indifferente, il “via libera” avuto dalla Consulta nazionale. La Consulta nazionale era un organo straordinario, potremmo definirlo, un Parlamento di “non eletti” del quale facevano parte i rappresentanti delle forze politiche e sociali del tempo e sessanta ex parlamentari che si erano opposti al fascismo; il suo primo presidente fu il repubblicano conte Carlo Sforza. Alla Consulta, in assenza di un Parlamento elettivo erano demandati tutti i provvedimenti generali emanati dal Governo e i decreti legislativi per il relativo parere. Anche la legge elettorale con la quale si elesse la Costituente, passò al vaglio della Consulta. Era dunque naturale che la Consulta fosse investita di un provvedimento così importante come quello dell’approvazione dello Statuto autonomistico siciliano che modificava l’architettura costituzionale del Regno. La Consulta affrontò l’argomento il 7 maggio del 1946 con una significativa relazione di Annibale Gilardoni, un parlamentare prefascista eletto nel 1924, aventiniano e, per questo motivo, dichiarato decaduto dal regime. Gilardoni, nella sua relazione, rilevò che “l’istituto della Regione era ormai accolto da quasi tutti i partiti e dagli scrittori e pubblicisti di ogni scuola”, ma non entrò nel merito, proprio per evitare contestazioni o prolungamento di discussioni, piuttosto aggiunse due emendamenti, emersi in sede di esame, il primo relativo all’estensione della stessa autonomia alla Sardegna, il secondo, sostanziale, che prevedeva l’obbligo di sottoporre lo Statuto stesso“all’Assemblea costituente, per attuare il coordinamento di esso nella riforma generale costituzionale dello Stato, riforma attribuita alla Assemblea Costituente medesima”. Una breve riflessione sul primo emendamento, l’estensione alla Sardegna, ci fa capire che a livello centrale non si voleva dare quel valore di eccezionalità al testo autonomistico siciliano, il secondo emendamento, più importante, rinviava alla Costituente quel dibattito relativo soprattutto all’autonomia finanziaria che, il lucido e previdente Luigi Einaudi, aveva aperto già in sede di Consulta. Pubblicato il decreto legislativo, in Sicilia venivano accelerati le fasi di costituzione dell’ente Regione, a cominciare dal suo organo di rappresentanza, l’Assemblea regionale siciliana, alla cui elezione si provvide con la consultazione elettorale del 20 aprile 1947. Una consultazione significativa perché, fra l’altro, rivelò l’impostura indipendentista con un misero 8,8% di consensi al Movimento del bellicoso Finocchiaro Aprile. Anche in questo caso, cioè la costituzione degli organi della Regione, un affrettarsi che poteva essere letto come un mettere anche la Costituente davanti al fatto compiuto. Forse la fretta era anche dettata dal richiamo di precedenti storici, soprattutto un ricordo doloroso, parlo di quanto era avvenuto nel lontano 1860 allorchè i comizi elettorali, convocati per eleggere il successivo 21 ottobre l’assemblea che avrebbe dovuto pronunciarsi sull’annessione al Regno d’Italia, furono trasformati in un plebiscito sul semplice quesito qui di seguito riportato. Nel decreto modificato si chiedeva se :”Il popolo siciliano vuole l’Italia Una e indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e i suoi legittimi discendenti “. Con quel decreto fu, affossata definitivamente l’idea di una autonomia dell’isola affermando un centralismo che si sarebbe prolungato fino al 1946. D’altra parte, il timore che si ripetesse la stessa storia,aveva un qualche fondamento basta dare un’occhiata ai lavori della Costituente che, allo Statuto, dedicò soprattutto la seduta del 31 gennaio 1948, per rendersene conto. In quell’occasione, infatti, si tentò di mettere in forse lo stesso impianto statutario. Il relatore Cevolotto, personaggio di primo livello come la gran parte dei costituenti, non ebbe allora remore a ribadire che il decreto legislativo di approvazione dello Statuto “non aveva ormai che un valore indicativo, ma non vincolante per l’Assemblea Costituente”. Il che significava che lo si sarebbe potuto rivisitare senza problema alcuno. Su questa interpretazione si sviluppò una dotta e animata discussione che vide soprattutto l’intervento di alto profilo difesa dello Statuto del professore Gaspare Ambrosini a e del professore Luigi Einaudi, allora vicepresidente del consiglio, il quale pur vincolato alla presa di posizione del Governo (De Gasperi si era dichiarato in linea di massima favorevole alla costituzionalizzazione sic et simpliciter dello Statuto) avanzò sul tema finanziario forti perplessità : “Dio salvi la Sicilia dal dono infausto che oggi le si vorrebbe fare !” fu il suo finale profetico avvertimento. Lo Statuto, nonostante queste perplessità, alla fine, fu, con la votazione dello stesso 31 gennaio, costituzionalizzato con la legge costituzionale 26 febbraio 1948, n° 2 ; quella legge, tuttavia, accolse un emendamento di grande rilievo politico che prevedeva, “Ferme restando la procedura di revisione preveduta dalla Costituzione”che “ nei due anni dalla entrata in vigore della legge, potessero essere approvate dal Parlamento nazionale” le modifiche ritenute necessarie dallo Stato o dalla Regione “con legge ordinaria, udita l’Assemblea regionale siciliana.” Un vulnus all’impianto statutario al suo rango costituzionale, così come l’avevano immaginato i consultori regionali, che determinò momenti di tensioni e crisi dei quali parleremo successivamente. Resta tuttavia il fatto che la fretta, anche se dettata da giuste ragioni, impedì il reale coordinamento con la carta costituzionale indebolendo l’impianto statutario e aprendo la possibilità a conflitti che avrebbero inciso sulla storia della stessa autonomia siciliana.(by Pasquale Hamel- CONTINUA/5)