di Marco Consolo - Negli anni ’70 e ’80 il “Plan Condor” fu il coordinamento delle dittature civico-militari dell’America Latina, con la supervisione di Washington e della CIA, per eliminare gli oppositori politici, tramite il sequestro, la tortura e l’omicidio di migliaia di dirigenti e militanti delle organizzazioni popolari. Con la contro-offensiva statunitense nel suo “cortile di casa”, all’inizio del XXI° secolo assistiamo ad una riedizione “moderna” del Plan Condor attraverso la nuova modalità dei golpe istituzionali. Dopo i tentativi golpisti in Venezuela (2002), Bolivia (2008), Honduras (2009), Ecuador (2010), Paraguay (2012), oggi è la volta del gigante Brasile, tra i più ghiotti bocconi dell’ultimo attacco. Con il pretesto della lotta alla corruzione, lo scorso 12 maggio in Brasile è andata in scena la farsa grottesca del giudizio politico contro la Presidente della Repubblica Dilma Roussef, sotto accusa per aver cambiato destinazione ad alcune voci del bilancio federale. Si è trattato di una farsa giuridica, con l’obiettivo di criminalizzare decisioni amministrative e non certo di colpire reati di corruzione. L’opposizione non è stata in grado di presentare uno straccio di prova, né alla Camera, né al Senato, ma ciò non è bastato a fermare l’impeachment. In mancanza di prove di reato, siamo testimoni di un vero e proprio colpo di Stato parlamentare, realizzato grazie a decine di parlamentari corrotti, contro la volontà di più di 54 milioni di brasiliani che hanno eletto Dilma. Ed è così che, nonostante la sconfitta alle urne, la destra torna al governo con un golpe.
 
I PROTAGONISTI DEL GOLPE
 
Insieme ai principali mass-media, ed ai parlamentari militari ed evangelici, alla testa del golpe istituzionale, ci sono le forze politiche che hanno tradito il governo (Partito del Movimento Democratico Brasiliano-PMDB) insieme a quelle sconfitte alle ultime elezioni (Partito della Social Democrazia Brasiliana – PSDB). Le stesse che hanno dato vita a un pasticciato governo interino composto da personaggi totalmente screditati. Le figure visibili sono quelle del traditore e golpista Michel Temer (PMDB), ex-vice di Dilma e burattino di Washington. Peccato che sulla testa di Temer pende oggi una richiesta di “giudizio politico”, in quanto Vice di Dilma, e altrettanto responsabile degli atti di governo. Insieme a Temer, lo screditato Eduardo Cunha, ex-presidente della Camera indagato per corruzione insieme a ben sette nuovi ministri del nuovo governo interino. La destra ha fatto piazza pulita dei ministeri della Cultura, del Lavoro, dello Sviluppo Agrario (che si occupava di agricoltura familiare), e ha incorporato i ministeri della Donna, dell’Eguaglianza Razziale, dei Diritti Umani all’interno del ministero della Giustizia. Quest’ultimo è affidato a Alexandre de Moraes (tristemente famoso per la repressione omicida nello Stato di Sao Paulo), che ha paragonato le manifestazioni di massa che si susseguono ad azioni di guerriglia, sostenendo che come tali devono essere trattate. Il neo-ministro dell’agricoltura è il boss della soia, Blairo Maggi, un oligarca di origini italiane indagato per corruzione, mentre quello dell’Economia è Heinrique Meirelles, già presidente del Banco di Boston e della Banca Centrale con Lula. I ministeri dell’Educazione e della Sanità sono invece sotto l’attacco oscurantista del fondamentalismo evangelico e neo-pentecostale. Il Ministro delle Finanze ha già annunciato le contro-riforme delle pensioni e del lavoro, in piena sintonia con la Confindustria che gioca le sue carte per recuperare i margini di profitto (erosi dalla re-distribuzione dei governi Lula e Dilma) e far pagare la crisi ai lavoratori. In definitiva, il governo Temer annuncia tagli della spesa pubblica e dei programmi sociali, aumento della tassazione, paralizzazione dei lavori di infrastruttura, de-regolamentazione dei rapporti di lavoro, privatizzazioni, etc. Sul versante della politica estera, in mano a Josè Serra (nuovo Ministro, ma vecchia volpe), è facile fare previsioni: riavvicinamento a Washington, raffreddamento dei rapporti di integrazione in Sud America e presa di distanza dalle strutture di questa integrazione (Unasur, Celac, etc.), indebolimento dell’alleanza dei BRICS (Brasile, Russia, Cina, India e Sud-Africa) che da oggi ha una gamba zoppa. Dai tempi della dittatura civico-militare (1964-1985), non si vedeva un governo con l’assenza totale di donne e di afro-discendenti ed un programma così rigorosamente neo-liberista.
 
LE REAZIONI DEL CONTINENTE
 
Tra le molte reazioni dei governi progressisti della regione, spicca quella di El Salvador che ha dichiarato di non riconoscere il governo golpista e ha richiamato il suo ambasciatore a Brasilia. In generale il resto dei Paesi si è schierato contro l’assalto alla democrazia. Il Segretario Generale di UNASUR ha detto che la situazione “pone a rischio la stabilità democratica della regione”; quello della OEA che genera “insicurezza giuridica”; i Paesi dell’ALBA (Venezuela, Cuba, Nicaragua, Ecuador, Bolivia, etc.) hanno parlato di un “golpe”; mentre Cile ed Uruguay hanno manifestato la loro “preoccupazione”. Sul fronte opposto il governo Macri in Argentina è stato il primo a riconoscere il golpe e a chiedere che si rispetti il “processo istituzionale”. Macri, che aspira a un ruolo di protagonista della nuova destra continentale, è in piena sintonia con l’amministrazione Obama che ha dichiarato di “avere fiducia nelle istituzioni brasiliane”. È così che, con la regia dell’Amministrazione Obama e della sua dottrina dello “smart power”, la destra latino-americana cerca di riconquistare i governi mediante il contagio del “virus golpista”. Tra gli obiettivi di Washington c’è quello di rompere i processi di integrazione continentale non subordinata (Alba, CELAC, Unasur), oltre ad indebolire il blocco dei BRICS.
 
ALCUNI PERCHÈ DELLA ROTTURA
 
In realtà, nel gigante brasiliano la destra non ritorna, semplicemente perché non se n’era mai andata. Si era solo riaccomodata ed aveva tollerato i governi di Lula e Dilma, grazie all’aumento del consumo interno e ad una congiuntura internazionale favorevole che ha ricollocato nello scacchiere mondiale il “Brasile Potenza”, caro al regime militare. Ma la fragile tregua, dettata in primis dalla Confindustria di Sao Paulo (FIESP), si è interrotta con la rottura del patto tacito con il governo. Proviamo ad indagare alcuni dei perché. La crisi globale iniziata nel 2008 è stata schivata all’inizio del secondo governo Lula. Ma dal 2012 (un anno dopo la partenza del primo governo Dilma) gli effetti sull’economia nazionale si sono iniziati a sentire e sono aumentate esponenzialmente le pressioni sul governo. Quelle interne esigevano tagli alla spesa pubblica, aumento della tassazione, mantenimento del superavit fiscale, aumento del tasso di interesse, priorità alla banca e al capitale finanziario, privatizzazioni, etc. Le misure neo-liberiste dell’ex- Ministro delle Finanze, Joaquim Levy, hanno avuto un effetto negativo sui settori popolari che avevano votato a favore di Dilma. Ed anche il nuovo ceto medio ha sofferto l’aumento dell’inflazione con la perdita del potere d’acquisto del salario reale, nonostante il suo riaggiustamento ciclico. L’alleanza di governo, a guida PT (Partito dei Lavoratori), non ha potuto modificare la struttura della società, i partiti e i movimenti non hanno formato coscienza sufficiente, ed il governo si è paralizzato davanti alle sirene neo-liberiste. E dal 2014 vi è stato un taglio ai programmi sociali, cardine della proposta di inclusione dei governi a guida PT. Anche se Dilma aveva preso l’impegno di proteggere tre dei programmi più importanti (“Mi casa, mi vida”, “Bolsa Familia” ed il finanziamento all’educazione “Fies”), ciò non è servito a riguadagnare la fiducia persa. E nella sua seconda elezione, Dilma ha vinto di stretta misura. L’artiglieria dei mezzi di comunicazione, con alla testa il gruppo Globo, ha saputo mettere i bastoni tra le ruote ai governi a guida PT. I casi di inefficienza e corruzione (male endemico nel Paese) sono stati imputati al governo ed al PT, dimenticando o mettendo in secondo piano la partecipazione dell’opposizione, e gettando benzina sul fuoco della critica a Dilma. I grandi media hanno consolidato l’alleanza con il settore dell’agro–business, con parte del potere giudiziario e con i partiti dell’opposizione: in particolare con Aécio Neves (leader del PSDB, senatore ed ex-candidato sconfitto alla Presidenza), e con Eduardo Cunha (PMDB). I media hanno avuto un ruolo chiave nella crescente polarizzazione della società. Pesa come un macigno la mancata riforma del settore dei mezzi di comunicazione. Da parte del PT, della sinistra in generale ed anche di alcuni movimenti c’è stata una sotto-valutazione dell’opposizione e della sua capacità di reazione. Nelle ultime elezioni circa 51 milioni di brasiliani non hanno votato per Dilma, ma è da poco che si è aperta una riflessione all’interno del campo progressista. E solo nelle ultime settimane c’è stata una vera mobilitazione dei partiti della sinistra (in primo luogo il -PT e il Partito Comunista del Brasile-PCdoB al governo con Dilma), delle centrali sindacali, dei movimenti sociali e di altre forze progressiste che hanno riempito le piazze e che si rifiutano di riconoscere il nuovo governo. D’altra parte, non bisogna nascondersi che il golpe istituzionale ha goduto anche di appoggi importanti nella popolazione e sui perché ci si dovrà interrogare a fondo. A pochi mesi dalle Olimpiadi, il caotico scenario politico ed economico del Brasile rappresenta una vera incognita, anche per “i mercati” che hanno scommesso sul cambio di governo. L’unica certezza è che non sarà caratterizzato dalla pace sociale, ma da una grande turbolenza. FONTE: http://marcoconsolo.altervista.org/brasile-avanza-moderno-plan-condor/#sthash.Ug3MUmLz.dpuf