(SA) - IL GATTO LA PIPA IL NONNO ED IL FULMINE

Lu Zi Vicinzu era un anziano pensionato, che non disdegnava di fare qualche lavoretto adatto alla sua età, per arrotondare la sua magra pensione. Contadino fin dalla nascita, non si allontanò mai dalla terra e dalle occupazioni che essa forniva a chi voleva lavorare.

Egli abitava in Corso Garibaldi, in un pian terreno con la moglie, la Za Caluzza. In fondo al piano terra di pochi metri quadri, si apriva una porta che immetteva in un angusto locale dove era ricavata la cucina ed dove vi era una scala di pochi gradini, che superava il dislivello tra il Corso Garibaldi e il campo libero che si trovava dietro la casa, dove pochi metri quadri erano di pertinenza della casa e dove lu Zi Vicinzu riusciva a coltivare alcune verdure che tornavano utili alla famiglia. Era stata una grande famiglia quella di lu Zi Vicinzu e la Za Caluzza. Quattro figlie femmine e tre figli maschi, più due Vincenzi morti dopo pochi mesi dalla nascita. Per sfamare la numerosa prole, il capo famiglia provò anche a lavorare in miniera, come facevano altre centinaia dei sui concittadini che ogni mattina si recavano a piedi ad Apaforte, a Stincone, a Rabbione ed anche a Bosco. Ma dopo pochi mesi lasciò la miniera pe tornare all’aria libera, alla campagna dove era abituato a lavorare. Giunto in età avanzata, riscuoteva la fiducia della famiglia X che aveva un terreno in contrada lago Cuba o soprano, nella parte alta dell’altura che saliva dalla grande “saia” piazzata al centro della pianura percorrendo tutto la costa alberata dove vi era poco terreno seminativo, ma molto terreno alberato. In quell’appezzamento di terreno, la cui proprietà era di un membro della famiglia X, una insegnante del paese, aveva messo parecchi alberi di pistacchio, oltre a qualche albero di mandorle, di fichi e di altra frutta. Nella parte alta del terreno, era costruita e vi è ancora, una grande casa composta dal pianterreno adibito a magazzini, a ricovero attrezzi ed in parte ad abitazione e da un primo piano dove era quella che oggi si chiamerebbe la zona notte, che in più aveva una locale cucina. Quella proprietà agni anno era affidata a lu Zi Vicinzu, che da luglio a settembre si trasferiva in quella grande casa e spesso dalla finestra del primo piano, teneva sott’occhio tutta la proprietà. Erano mesi di relax totale pere l’anziano guardiano e di svago e apprendimento vaio per il nipote preferito, che gli faceva compagnia tutti gli anni non appena aveva sette anni compiti e fino all’undicesimo anno, che fu anche l’ultimo per tutti e due. In un di quei bei giorni passati in quella campagna dal nipotino, che abbiamo detto che anche apprendeva ed osservava, successo un fatto che spaventò molto il ragazzino e divertì il nonno, che aveva finto di non vedere. Il nonno, fumava la pipa e ne aveva una di radica bella con il bocchino ritorto quasi a richiamare una “S”, con la parte dove veniva inserito il “trinciato” sempre pulita che terminava con una specie di bottone nella parte inferiore esterna. Preso da curiosità, il ragazzino un giorno, mentre il nonno faceva il suo riposino pomeridiano, prese la pipa che era appoggiata sul comodino e provò a fumare, imitando i gesti che aveva visto fare al nonno. Sfortunatamente, la pipa gli cadde dalle mani e si ruppe in due pezzi un o composto dal serbatoio del tabacco e l’altro dal bocchino che si era rotto lasciando all’interno il pezzo incastrava il bocchino alla pipa, rendendola funzionale. All’immancabile scoramento ed alla paura del primo momento, subentrò la calma in quel ragazzino che si mise a riflettere su come superare quella situazione incresciosa che avrebbe mandato in bestia il nonno. È a questo punto della storia, che entra in scena un grosso gatto, che era sempre tra i piedi dei due in cerca di carezze. Il ragazzino si armò di pazienza ed aspettò che si svegliasse il nonno, intanto aveva ricomposto la pipa sulla sedia posta al capezzale del letto e si mise ad attendere che il nonno si svegliasse, cosa che avvenne qualche tempo dopo. Non appena il nonno aprì gli occhi, il ragazzino pigliò il gatto che teneva già sulle gambe e lo buttò sulla sedia. Nel piano che aveva ideato lui, il gatto saltellando sulla sedia per scendere, avrebbe dovuto sbattere nella pipa facendola cadere a terra davanti al letto alla presenza del nonno che sarebbe stato in questo modo testimone oculare del disastro provocato dall’animale, che avrebbe provocato, la rottura dell’oggetto. Il piano non riuscì, perché il gatto, scansando la pipa saltò a terra senza provocare danni. Il ragazzino lo riprese e ripeté l’operazione ancora una volta ed ancora una volta il gatto saltò a terra senza toccare quella benedetta pipa che restava sempre sulla sedia, mentre il gatto saltava per terra senza nemmeno sfiorarla. Il ragazzino sempre più disperato, per la terza volta lanciò il gatto sulla sedia e per la terza volta quello saltò giù senza nemmeno toccare la pipa. Il ragazzino si preparava per la quarta volta a ripetere l’operazione quando si fece sentire la voce del nonno: “lascia perdere, ho visto il guaio che hai combinato. Ho visto che la pipa è rotta, è inutile che cerchi di incolpare il gatto, continuando a ripetere la scena del gatto che rompe la pipa”. Il ragazzino rimase meravigliato e nello stesso tempo, raggomitolato su sé stesso sul pavimento in attesa della punizione che sarebbe sicuramente arrivata. Il nonno però, voleva bene a quale suo compagno che popolava la sua solitudine in quella campagna e che fungeva di collegamento con la famiglia in paese. Il fatto quindi passò senza conseguenze e la vita riprese con la solita monotonia di sempre. Il giro in mezzo agli alberi pere vedere i pistacchi come maturavano, la raccolta dì qualche fico per mangiarla con il pane, la raccolta di verdura di campagna per la minestra. Ai cavoli ci pensava il vicino, un sordo muto che aveva la terra a limitare con quella che guardava mio nonno e che ogni tanto ci portava un poco di verdura del suo orto fornito di tutto. Quella guardiani ogni anno cominciava a luglio, come precedentemente ho ricordato e finiva a settembre dopo la festa dell’Addolorata che a Serradifalco si celebra la terza domenica di quel mese. Dopo la raccolta lu zi Viciunzu e il nipote tornavano in paese a ripigliare la vita di sempre, il ragazzino a scuola ed il nonno in casa o seduto davanti la porta a vedere passare le persone, scambiando qualche parola con qualche conoscente. Nel tardo pomeriggio la solita uscita. L’incontro all’incrocio tra corso Garibaldi e vicolo Lomonaco, dove aspettava l’amico Salvatore e via piano piano, ognuno appoggiato al proprio bastone, fino a raggiungere la bottega del vino posta a metà di via Crucillà, dove ogni giorno erano ormai attesi dal padrone, che serviva il solito mezzo litro dit vino di Vittoria con la solita gazzosa, che a seconda della giornata, serviva ad accompagnare una patata lessa o un piatto di fave e qualche volta un poco di formaggio che i due portavano da casa. Quell’anno però, le cose dovevano andare diversamente. I primi giorni di settembre, arrivò un forte temporale e veniva giù a secchiate, a catenelle. Era ora di pranzo ed al primo piano era tutto pronto per il pranzo. La minestra era già cotta al punto giusto ed il ragazzo stava cercando di preparare la tavola, quando il nonno lo fermò. No, oggi mangiamo alla finestra. Con questo tempo, qualche male intenzionato può cercare di rubare i pistacchi che sono pronti per essere raccolti. Presero i piatti pieni di , raggiunse l’altra riva controllo tutto il terreno. Non erano ancora arrivati a metà del piatto, che un fulmine illuminò tutta la finestra e colpì il nonno bruciandogli tutto il lato destro dalla spalla al piede dove anche la scapa si aprì come un carciofo. Il nonno, rimasto vigile disse al ragazzino di andare in paese ad avvisare la famiglia. Prima di andare, con l’aiuto del nipote lu Zi Vicinzu si trascinò fino al letto dove si lasciò cadere e raccomandò al ragazzino di prendere la “sacchina” per portarla a casa senza fermarsi da nessuna parte. Il ragazzino, pur in mezzo alla tempesta che imperversava si precipitò giù per la discesa, raggiunge subito il grande ed profondo canale che tagliava in due il piano e che già cominciava a riempirsi d’acqua. Si buttò in mezzo all’acqua che scorreva veloce e rischio di essere travolto, raggiunse l’altro lato del canale e risalì sul terreno, raggiungendo subito la strada che passava davanti al mulino ed al pastificio San Giuseppe. Sempre correndo raggiunse la strada che portava in paese e si avvio, sempre sotto l’acqua battente per la via che portava al vicino paese. Attraversò correndo il largo San Giuseppe, senza rispondere ad un parente che lo chiamava, liggio all’ordine di non fernarsi e di non fare vedere quello che c’era nella “sacchina”. Imboccò la via Palmeri, attraverso la piazza Umberto Primo e attraversando il vicolo Volpe, si immise in via Roma, raggiungendo sempre di corsa la Piazza Vittorio Emanuele ed il Corso Garibaldi fino a raggiungere la casa del nonno, dove si trovano oltre alla nonna anche due delle figlie e qualche nipote. A loro si unì la mamma del ragazzo che vedendolo passare di corsa, perché abitava poco distante, corse per vedere cosa era successo. Arrivato in casa, il ragazzino cadde sulla prima sedia che trovo stremato dalla lunga corsa e alla domanda di cosa era successo, lui con molta semplicità, ignorando una prudenza che non poteva certo capire disse: “nenti, s’allampà la papà Vicì”. Non aveva finito di dare la notizia, che la casa già risonava di pianti e di grida di dolore e di disperazione. Venne subito chiamata la carrozza di lu Zi Sariddu Fina che si incammino di corsa verso il lago. Nel frattempo il temporale, come era venuto se ne era anche andato smettendo di piovere, lasciando il posto ad un sole settembrino. La carrozza trovò la strada per raggiungere la casa dove giaceva lu Zi Vicinzu. Per raggiungere la casa, era obbligato a passare davanti la casa di campagna del dottore Butera che saputo di cosa si trattava, raggiunse la casa e fece la prima visita dell’infortunato. Caricato con tutte le precauzioni sulla carrozza, lu Zi Vicinzu venne avviato verso il paese dove giunse poco dopo. Assieme a lui correndo dietro la carrozza, giunse anche il Dottore Salvatore Fasciana che abitava a pochi metri di distanza. Diede subito una prima occhiata al malato facendo una ricognizione del danno prodotto dal fulmine. La pelle era stata bruciata anche in profondità ed il medico, dopo avere prescritto pomate e medicine varie, diagnosticò una lunga permanenza a letto. Pazientemente ogni giorno passava a vedere il malato ed a rinnovare la medicazione con garze e pomate. La degenza durò oltre quaranta giorni, prima che il malato potesse alzarsi dal letto e sedere su una sedia. Cominciò a mangiare seduto a casa ed a muove i primi passi aiutandosi con il fido bastone. Una quindicina di giorni dopo, essendo in condizione di camminare anche se piano, decise di fare la prima uscita pomeridiana, aspettato dal fedele amico Salvatore e di raggiungere come d’abitudine l’osteria di via Crucillà, che era di proprietà di un parente della proprietaria del terreno. Festa grande per accogliere i due nuove arrivati ma principalmente per accogliere il redivivo amico e cliente. Per l’occasione, offrì tutto la casa per festeggiare la guarigione di lu Zi Vicinzu, che comunque non tornò più a fare la guardia ai pistacchi. Quella appena superata era stata l’ultima volta e non vi fu più altro impegno estivo per il resto dei suoi giorni. (Salvatore Augello 26 gennaio 2022)