IMPASTATO – MORO TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO CASUALITA’ O DISEGNO PREMEDITATO?  
Bene ha fatto Mirko Crocoli a dedicare la sua rubrica di oggi a due personaggi che hanno certamente segnato la storia della nostra Repubblica, in due diverse sfaccettature della stessa.

Il fatto che casualmente (o forse no), le due morti avvengono lo stesso giorno ha certamente un significato importante, perché segna la data in cui due eroi della nostra Repubblica, venivano sacrificati su due altari ugualmente importanti, segnando l’inizio della battaglia contro due mali concomitanti: le brigate rosse Aldo Moro e la mafia Peppino Impastato.

Nel primo caso, le sedicenti brigate rosse, fermavano un progetto politico che per la prima volta vedeva assieme la DC ed il PCI, pronti a sacrificare interessi di partito pur di porre fine alla grande instabilità politica che dopo la fine del centro sinistra, aveva caratterizzato la politica italiana. Con il sequestro prima – agguato di via Fani del 16 marzo 1978 – e con l’uccisione di Aldo Moro dopo, venne messa la parola fine sia alla politica delle così dette astensioni, sia al nascituro compromesso storico per il quale il PCI,  in seguito pagò  a caro prezzo in termini di consenso elettorale.

Nel secondo caso, la uccisione di Peppino Impastato, instancabile attivista politico ed ideatore della trasmissione di Radio Aut, inizia e porta avanti una serrata lotta contro la mafia di Cinisi, rompendo anche con la propria famiglia, che aveva una lunga tradizione mafiosa. La sua uccisione per ordine del capomafia di Cinisi Tano Badalamenti, come poi la magistratura ha appurato, diede origine alla creazione di un movimento di opinione pubblica, che avrebbe fatto passi da gigante verso una  lotta contro la mafia e contro la politica stragista che essa portava avanti, fino a  smuovere le stesse Istituzioni che hanno in seguito inferto colpi durissima alla mafia.

Certo il fenomeno non è debellato, ma non è certo più quello di una volta e lo Stato sta dimostrando sempre più che c’è e che può vincere, continuando intanto a fare crescere la cultura antimafiosa.

Due morti  pesanti, che hanno determinato l’inizio di una nuova pagina della storia di questa nostra travagliata repubblica. (SA)

Il giovane attivista siciliano (di Cinisi), Peppino Impastato, muore all’alba, il Presidente Aldo Moro viene ritrovato esanime dopo le 13:00 a Via Caetani. Giorno e anno sono identici: 9 maggio 1978. Uno (il primo) è vittima della mafia, l’altro (il secondo) del braccio armato comunista che si faceva chiamare “Brigate Rosse”. Il caso vuole che entrambi verranno giustiziati lo stesso giorno, a poche ore l’uno dall’altro. Tutta la scena mediatica ovviamente si concentrò a Roma, poiché l’evento di Moro era di gran lunga più sentito dall’opinione pubblica, ed è per questo che la morte di Impastato, a livello nazionale, passò praticamente inosservata. Allora la domanda sorge spontanea. Casualità o destino premeditato? C’è una qualche probabilità che “Zio” Tano Badalamenti sapesse preventivamente le mosse di Roma? E che dunque Cosa nostra fosse implicata anche nell’affare Moro? Ci risulta strano ma il dubbio è lecito. Non v’è dato certo dei rapporti tra la Cupola palermitana e l’organizzazione capitanato da Moretti ma che la capitale, proprio in quegli anni, fosse nella mani della banda di “Renatino” De Pedis è ormai appurato. Il capo mandamento di Villa Grazia, il potente Pippo Calo’, già cassiere della commissione, riforniva di eroina i ragazzi della Magliana e a Roma, in quel preciso anno, non si muoveva foglia senza il benestare della triade composta da Abbatino-Giuseppucci-DePedis. Anche Raffaele Cutolo, supremo leader della NCO (Nuova Camorra Organizzata) in affari con i romani, si interessò al sequestro, chiedendo proprio alla banda di localizzare il covo delle Br. Quando fu trovato gli uomini di “O’ professore” di Ottaviano risposero laconicamente; “no grazie, non serve più”. Visti i consistenti e oscuri legami tra l’isola del mediterraneo, la baia di Napoli e la città di Roma, consolidati alla fine degli anni Settanta, è molto probabile, anzi plausibile che anche il boia di Peppino, il Boss di Cinisi e l’ideatore di Pizza Connection, Don Gaetano Badalamenti, poteva benissimo sapere e quindi agire di conseguenza. 

Sono passati quasi 40 anni dall’esecuzione dello statista democristiano e – ovviamente - i depistaggi non sono mancati. Che sia stato tutto un bluff ce lo dimostra la recente e sconcertante rivelazione, o potremmo dire verità, di due ex militari che anticipano di ben due ore il ritrovamento della R4. Vitantonio Raso e Giovanni Chirchetta, all’epoca giovani esperti artificieri, confermano la loro presenza in via Caetani prima delle ore 11:00 del mattino. Erano li per bonificare l’auto. Poco dopo – secondo Raso – arrivò anche Cossiga, il quale non apparve, tra l’altro, particolarmente provato dalla visione di quel cadavere, come se già sapesse tutto. Ma ufficialmente la telefonata delle Br arrivò alle 12:30 e l’allora Ministro dell’Interno si recò pubblicamente sul luogo soltanto verso le 13:00. La notizia fu diffusa a livello nazionale attorno alle 14:00. Bel dilemma. Considerato quanto emerso ultimamente, anche grazie a queste informazioni, è lecito supporre che la condanna a morte per Moro sia stata decisa addirittura il giorno prima. Alla luce di ciò, non ci stupisce né ci sorprende l’azzardata ipotesi che anche gli assassini di Peppino Impastato sapessero dalla lontana Sicilia anticipatamente le manovre della vicenda Romana. Tutto o quasi in quella disgraziata epoca, che a livello giornalistico fu soprannominata “anni di piombo” sembra non collimare; date, ore, fatti e soggetti implicati. L’unica cosa certa è che una strana casualità, in quel lontano 9 maggio di 38 anni fa, pare vi sia stata, una “stravaganza” che ancora oggi non ci appare tanto chiara, sotto troppi punti di vista. La tragica fine del politico pugliese surclassò mediaticamente l’orrenda esecuzione del siciliano ma entrambi – loro malgrado – furono travolti da un “insolito” comune destino.                              (Mirko Crocoli)