GIUSEPPE GULOTTA… E IL SUO CALVARIO DI ALCAMO Arriva il primo risarcimento di 6 milioni e mezzo ma niente e nessuno potrà mai cancellare il più eclatante caso di malagiustizia della storia del Novecento
 

Veniva chiamata la casermetta “Alkamar”, sita nelle spiagge del comune di Alcamo in provincia di Trapani, ed è tristemente nota per la tragica uccisione a colpi di revolver dei carabinieri Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. E’ accaduto quarant’anni fa, era il 27 gennaio del 1976, quando, qualcuno (ancora non si sa chi), è entrato di notte, verso le ore 02:30 e, forzando la porta con una fiamma ossidrica ha crivellato di colpi i due militari della Benemerita. Per puro caso, è la scorta della P.S. di Almirante, di passaggio proprio di fronte alla stazione, ad accorgersi dello scasso ed avvertire prontamente i colleghi della stazione di Alcamo centro. La dinamica omicida di questa storia è chiara, le indagini un po’ discutibili, la notizia di poche ore fa del risarcimento milionario lascia attoniti e tutto il resto (dai mandanti ai veri esecutori) è ancora avvolto nel buio più totale. La strage di Alcamo Marina è anche uno dei casi più eclatanti (uno dei tanti) di malagiustizia della nostra Prima Repubblica. Sembra di rivivere l’incredibile vicenda accaduta agli anarchici emigrati Sacco e Vanzetti nella lontana terra d’America. Servivano dei capri espiatori anche in Sicilia e a quanto pare, i colleghi dei due carabinieri sembrano averli trovati grazie a Giuseppe Vesco di Partinico, il carrozziere vent’enne che venne obbligato a confessare qualcosa che non aveva commesso. Vesco, indotto con la forza e le torture a fornire una versione creata ad hoc coinvolse - loro malgrado - 4 ragazzini alcamesi. Si trattava di Giuseppe Gulotta, Giovanni Mandalà, Gaetano Santangelo e Vincenzo Ferrantelli. Questi ultimi due (all’epoca dei fatti minorenni), tra un grado e l’altro di giudizio, riuscirono a rifugiarsi in Brasile onde evitare l’estradizione e quindi ottenere lo status di rifugiati, mentre il principale accusatore fu trovato impiccato in cella benché privo di una mano. Mandalà è deceduto in carcere nel 1998 mentre Gulotta, dopo 22 anni di sbarre è l’unico che ha scontato un pena cosi lunga e che oggi, potremmo finalmente dire, è tornato in libertà in braccio alla sua famiglia. Difficile credere alla teoria dei cinque giovani, due dei quali neanche maggiorenni, che mettono in atto un piano stragista ben premeditato e d’inaudita violenza. Entrano di notte in una caserma sapendo che è presidiata dai militari e senza un perché trucidano nel sonno Apuzzo e Falcetta. Un coraggio, una spietatezza e una freddezza che non crediamo sia da attribuire a qualche fanciullo in erba. Per dei giovani è plausibile il colpo in un supermercato, una gioielleria o un istituto di credito e trovarsi in mezzo a un conflitto a fuoco con la guardia giurata ma l’intrusione all’ “Alkamar” è probabilmente opera di un commando di professionisti ben addestrati. Ma la cosa più inquietante di quella nottata è la sparizione delle divise e delle armi in dotazione ai due carabinieri compreso di documenti e tutto ciò che era in loro possesso. Perché e soprattutto a chi giovava quel duplice omicidio seguito da un incomprensibile furto di effetti personali? Si è parlato di Mafia, di Brigate Rosse, di stragismo e persino di strutture segrete paramilitari tipo Gladio. Le stranezze e le casualità sono tante. Sempre nella cittadina trapanese l’anno precedente furono uccisi l’ex Sindaco Francesco Guarrasi e il consigliere comunale Antonio Piscitello, l’anno dopo, (1977) muore colui che aveva iniziato le indagini sulla piccola stazione marittima, il Capitano CC Giuseppe Russo e addirittura entra nella vicenda anche l’attivista Peppino Impastato che verrà fatto tacere dal Boss di Cinisi Gaetano Badalamenti. Tra le varie ipotesi ci fu anche la singolare versione di Walter Veltroni, membro della Commissione Parlamentare Antimafia, il quale sostenne che i due ragazzi, il giorno prima, fermarono in un posto di blocco un furgoncino sospetto con all’interno un arsenale di armi. Alla guida e a bordo si disse che ci fossero uomini dell’organizzazione appartenuta ai nostri secret service. Naturalmente il tutto è poi caduto nell’oblio. Erano i difficili anni Settanta, il momento forse più critico per la Guerra Fredda, un contesto di braccio di ferro tra le due superpotenze che prevaleva su tutto e tutti. La ragion di Stato in certi casi aveva la meglio e i danni collaterali erano da considerarsi all’ordine del giorno. Teorie, sospetti, illazioni e ipotesi. Nient’altro di concreto tra le mani degli inquirenti. Ma la svolta per gli accusati avviene nel 2008 grazie all’ex brigadiere Renato Olino. E’ Olino che alla stampa e ovviamente agli organi giudiziari rilascia dichiarazioni sconvolgenti. “Quei ragazzini furono torturati, vessati e indotti alla menzogna dai miei colleghi”. Fa i nomi dei quattro carabinieri che – secondo il brigadiere – all’epoca avevano usato violenze per estorcere le confessioni fasulle a Vesco e Gulotta e quindi a chiudere il caso nel peggiore dei modi. Il tutto passa al Tribunale di Reggio Calabria, dove la Corte d’Appello chiede il 26 gennaio 2012 il proscioglimenti per Giuseppe che sopraggiunge in via definitiva il 13 febbraio. L’assoluzione a catena arriva posto-mortem anche per Mandalà, riabilitandone il nome. In queste ultime ore l’annuncio shock dai media di tutta Italia: Gulotta deve essere risarcito con sei milioni e mezzo di euro per un errore giudiziario durato quasi quarant’anni. Il dubbio è… basteranno per riscattare un’intera vita letteralmente rubata dallo Stato? E’ allora dov’è la verità? Chi è l’artefice della strage di Alcamo Marina? Questa è una delle tante domande a cui difficilmente qualcuno ci potrà mai rispondere. C’è un pezzo di nostra storia recente che è e rimarrà (per volontà di qualcuno) mistero assoluto per molti anni ancora. Meglio metterci l’anima in pace. (Mirko Crocoli)