(di Pasquale Hamel foto accanto assieme a Camilleri) - Per segno del destino ci siamo sempre fronteggiati, la casa dei Fragapane, la famiglia della mamma di Nenè Camilleri dov’egli è nato ed ha trascorso la sua infanzia, era proprio di fronte a casa dei miei nonni, dove abitavamo, e la campagna di proprietà dei Fragapane confinava praticamente con quella dei miei genitori. Una vicinanza rafforzata dall’antica amicizia che legava i miei genitori a quelli dello scrittore. I Fragapane erano una famiglia di tutto rispetto, che poteva vantare qualche quarto di nobiltà e che, pur non in floridissime condizioni, tuttavia manteneva l’antico decoro. Soprattutto don Massimo, il fratello grande che fungeva da capofamiglia e che era rimasto signorino, e donna Carmelina, madre di Camilleri, tenevano al distinguo rispetto al mondo empedoclino. A parte una parentela indiretta, un Fragapane, zio Giorgio, aveva sposato una cugina di papà, il rapporto fra le nostre due famiglie era rafforzato dalla grande amicizia che legava mio padre, che aveva avuto un suo passato antifascista, a Riccardo Vadalà, zio dello scrittore e ultimo podestà fascista del nostro paese. Lo zio Riccardo, un uomo buono e amante della compagnia, era un personaggio originale e di grande coerenza. Le pareti di casa sua, che era poi quella dei Fragapane visto che, dopo qualche anno di vedovanza aveva sposato la sorella di don Massimo, erano infatti coperte di reperti e memorie del passato fascista dei quali andava orgoglioso al punto che a me, bambino, tutte le volte che capitava di andarlo a trovare, pur rendendosi conto che non ci capivo molto, me ne raccontava con la sua chiassosa enfasi le singole storie. Meno simpatico, a confronto della prorompente bonomia dello zio Riccardo, mi appariva da bambino il vecchio Camilleri, anche lui fascista, diceva di aver fatto la marcia su Roma. Era questi un omone imponente che, in quella casa mi sembrava che si muovesse in modo imbarazzato, quasi fosse fuori posto. Dello zio Riccardo, a conferma dell’eccentricità, ricordo che molto spesso, approfittando del fatto che papà era mattiniero, quando ancora le luci dell’alba erano di là da venire si addossava alla parete dove si apriva la grande finestra della nostra cucina. E, col suo gracchiante tono di voce, chiamava mio padre per avere compagnia nel fare i soliti due passi e fumare qualche sigaretta. Per carità di patria non vi racconto cosa ne pensava mia madre di quelle matinées. Nenè, lo scrittore, in quel tempo viveva già a Roma e, se non era stato ancora coronato dal successo, la sua figura veniva tuttavia raccontata in termini tali da farne già allora un mito. Era soprattutto donna Carmelina che non tralasciava occasione per decantare la genialità del figlio. Quando ne parlava, perdeva perfino quella compostezza e austerità che la contraddistinguevano. Ricordo che la chiamavamo la “signora ‘npizzu” perché si sedeva, con sussiegoso contegno, sull’orlo della sedia, o poltrona che fosse, con le braccia decorosamente raccolte sulle ginocchia. Tutto il contrario del marito che, anche per la mole, se ne stava seduto rilassato a gambe larghe. A proposito di questo amore di mamma per quello che era il suo unico figlio, conservo un ricordo di mio padre. Un tal giorno i miei erano in visita a casa Fragapane perché don Massimo era stato poco bene. D’improvviso, come colta da chissà quale pensiero, donna Carmelina ch’era presente si alzò scusandosi e si allontanò lasciando i miei in compagnia dello spumeggiante zio Riccardo e della cara Carmela, una delle sue figlie. Passò qualche minuto e rientrò con un sorriso, aveva tra le mani un libro dalla copertina chiara che consegnò allo zio Riccardo, il quale, a sua volta, lo porse a mio padre. Donna Carmelina disse solamente “E’ suo!“ riferendosi al figlio Nenè. Si trattava de “Il corso delle cose” un romanzo di Andrea Camilleri, non so se il primo o uno dei primi, pubblicato dall’editore Lalli di Pontremoli ch’ella omaggiava con non celato orgoglio. L’ultimo ricordo della coppia Camilleri Fragapane risale ad un pomeriggio di maggio, a metà degli anni settanta. Eravamo nel villino in contrada Inficherna. Davanti al cancello si presentarono i due anziani coniugi Camilleri che, con quel caldo, avevano avuto la cattiva idea di raggiungere a piedi la grande casa di campagna con il porticato ad archi dei Fragapane. Anche se inaspettati, mia madre che non amava le improvvisate, li accolse con la dovuta cortesia. Si accomodarono come sempre, lui sulla poltrona e lei ‘npizzo mentre il nostro pastore tedesco, indimenticabile amico della mia gioventù, si sdraiava vicino con aria sospettosa. Erano stanchi ed assetati e dopo avere accettato due bicchieroni d’acqua fresca, mia madre preparò per loro un the tirando fuori dalla credenza il servizio Bavaria delle grandi occasioni. Si fermarono non più di un’ora e, chissà perché, quel giorno non si parlò nemmeno delle regie di Nenè in televisione, la conversazione languì penosamente. Sembrava infatti che, a parte le banalità sul tempo, non ci fossero altri argomenti. Poi, così inaspettati com’erano arrivati, si congedarono riprendendo la strada che, purtroppo per la loro età non più verde era particolarmente faticosa visto che dal nostro villino ad arrivare alla meta era tutta in salita. In direzione della Agrigento di Pirandello dove, dopo tanti anni, il figlio avrebbe ottenuto la cittadinanza onoraria, precisamente il 4 febbraio del 2016.