(SA) - Si avvicina il 25 maggio, data in cui gli europei sono chiamati ad eleggere i loro rappresentanti al Parlamento Europeo ed in Italia sono stati presentati 64 simboli presso il competente Ministero. Simboli che vanno da quelli dei partiti tradizionali presenti in parlamento ad altri strampalati che dicono tutto ed il contrario di tutto.

Si passa dalla “lega basta euro” ai “consumatori”, da “forza juve bunga bunga” a “io non voto” e potremmo continuare così, scoprendo liste nuove e vecchie che hanno un concetto di Europa molto distante l’uno dall’altra. Quello che però viene fuori con forza, è un crescente sentimento antieuropeo spinto dai movimenti populisti, che sempre più cavalcano la disperazione generata dalla crisi ed approfittano per muovere affondi sempre peggiori alla politica, attaccando i partiti e la stessa istituzione europea descritta come la madre di tutti i problemi. Certo la politica di austerità non è di facile accettazione anche se necessaria, i campanilismi, i nazionalismi, le molte spinte centrifughe collegate a pretese tendenze egemoniche, completano il quadro di una Europa che a nostro avviso, anche se ha fatto grandi passi avanti, è tutta da costruire. Ma quale Europa vogliamo veramente? Quale funzione e ruolo vogliamo dare a questa Europa per trasformarla finalmente in Stati Uniti d’Europa? Certo, la crisi è stata e continua ad essere pesante ed ogni nazione l’affronta come meglio crede, anche se dalla Commissione Europea arrivano direttive precise. Forse è il caso di approfittare della scadenza elettorale, per parlare finalmente di Europa, non come insieme di stati, ma come entità politica unitaria; le elezioni dovrebbero essere un mezzo per parlare finalmente di questo organismo: l’Europa, che a volte appare lontanissimo, altre volte opprimente, altre volte ancora fonte di sacrifici e di imposizioni fiscali. Vediamo intanto quale modello d’Europa è venuto avanti fino ad ora. Oggi abbiamo una struttura che fa capo alla Commissione Europea, dove oltre al Presidente, attualmente Barroso, vi sono i commissari che si occupano dei singoli settori di intervento, con dignità di ministri. Nel 1979, si istituì il Parlamento Europeo, ma con poteri molto limitati. Affiancano la Commissione, i vari organismi a seconda della problematica che viene affrontata. Quando si tratta di problematiche economiche, ad esempio, si riuniscono i ministri economici, se si tratta di problemi connessi alla difesa o alle missioni di pace, si riuniscono e ministri della difesa e così via, fino ad arrivare alla riunione dei capi di Stato e di Governo, quando si tratta di problematiche generali e di indirizzo. La superore descrizione è stata tenuta volutamente sintetica, ma chi vuole può cercare di approfondire la conoscenza con i mezzi di informazione esistenti. Questa breve descrizione serve per dare l’idea di quello che è oggi l’Unione Europea e di cosa manca ancora perché essa possa giocare un ruolo reale di direzione in tutti i campi da quello economico a quello politico. Il passo decisivo che resta da fare, dopo avere dati vita alla libera circolazione dei capitali e delle persone, alla monta unica, alla Banca Centrale Europea, è quello di dare vita all’Europa politica dove ogni stato “deposita” pezzi di sovranità nazionale a favore di una istituzione che diventa in questo modo rappresentativa degli interessi dell’intero “Continente Europeo”. Quello che dovrebbe venire fuori è un modello di stato federale sulla falsa riga di quello americano, dove i singoli stai dovrebbero cominciare nell’ordine di idee di venire trasformati in parti di una unità, in macroregioni facenti parte di una patria unica. Una patria: quella europea, ove ognuno concorre con la propria cultura, le proprie diversità, i propri problemi. Una patria dove avvenga una sorta di livellazione economica pressoché paritaria in modo che i cittadini di qualunque parte della patria europea possano godere uguali diritti e stessi doveri, dove non esistano grandi differenza di trattamento economico e salariale, per cui se un operaio in Italia guadagna mediamente 1.200,00 – 1.500,00 euro, uno rumeno o uno polacco ecc. non può guadagnarne 300,00 – 500,00, tanto da giustificare la delocalizazione del capitale e delle imprese, un capitale per nulla nazionalista. In definitiva, alla globalizzazione del mercato, occorre rafforzare la globalizzazione dei diritti con un livellamento verso la parità. Questo è un modello di Europa che sarebbe opportuno perseguire. Alcuni passi avanti sono stati fatti, ma molto resta da fare ancora. L’appuntamento elettorale del 25 maggio, può essere una buona occasione per parlare di Europa, di questa Europa, dell’Europa che vogliamo. E’ utopia? Forse, ma senza questo modello l’Europa resterà la brande incompiuta del secolo.