La prima edizione del nuovo rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) – curato dal Dipartimento Ricerca, dopo l’assorbimento del precedente Istituto di ricerche – rileva che il lavoro dipendente, nonostante sia in aumento in tutto il mondo, rappresenta solo la metà dell’occupazione globale, con variazioni da regione a regione.

Una quota in aumento, ma che risente, negativamente, del rallentamento dei processi di formalizzazione del lavoro informale nelle economie emergenti e in via di sviluppo, da un lato, e del crescente slittamento verso forme di lavoro atipiche e precarie nelle economie avanzate, dall’altro.

Secondo il rapporto (ILO), in tutto il mondo, solo un poco più quarto (26,4 per cento) dei lavoratori ha un rapporto di lavoro dipendente stabile e a tempo pieno.

Il World Employment and Social Outlook 2015 (WESO) dal titolo “The Changing Nature of Jobs” (“Rapporto sulle Prospettive occupazionali e sociali nel mondo 2015” “Come sta cambiano la natura dei posti lavori”), rileva che, nei paesi dove i dati sono disponibili (corrispondenti all’84 per cento della manodopera globale), i tre quarti dei lavoratori hanno contratti temporanei o a breve termine, lavorano nel settore informale spesso senza nessun contratto, sono lavoratori autonomi, o svolgono un lavoro familiare non retribuito.

La maggior parte dell’oltre 60 per cento di lavoratori senza un contratto di lavoro si trova nei paesi in via di sviluppo, svolge un lavoro informale o autonomo o contribuisce a un’attività familiare.

Se nei paesi industrializzati e nell’Europa centrale e del Sud-Est, circa otto lavoratori su dieci sono lavoratori dipendenti, in Asia del Sud e nell’Africa sub Sahariana, se ne contano solo due su dieci, per l’enorme persistente diffusione del lavoro informale.

Un’altra tendenza rilevata dal rapporto è l’aumento del lavoro a tempo parziale tra i lavoratori dipendenti, soprattutto fra le donne. Nella maggior parte dei paesi con dati disponibili, tra il 2009 e il 2013 i posti di lavoro a tempo parziale sono aumentati più di quelli a tempo pieno.

Aumentano le disuguaglianze

Le disuguaglianze di reddito sono in aumento o comunque rimangono elevate nella maggior parte dei paesi; una tendenza aggravata dalla diffusione di forme di lavoro temporaneo, dall’aumento della disoccupazione e dell’inattività. Durante l’ultimo decennio si è ampliato il divario di reddito tra i lavoratori a tempo indeterminato e quelli temporanei.

Secondo il rapporto, nonostante siano stati compiuti progressi, la protezione sociale — in particolare i sussidi di disoccupazione — rimane praticamente riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato.

Per i lavoratori nelle molteplici forme di lavoro non dipendente, anche le pensioni sono scarse: nel 2013, solo il 16 per cento dei lavoratori indipendenti ha versato contributi.

 L’importanza di regolamentare il lavoro

Secondo gli autori del rapporto, cresce il consenso sulla necessità di regolamentare il lavoro per proteggere i lavoratori — specie quelli atipici — da comportamenti arbitrari o ingiusti, e per garantire rapporti di lavoro formali tra datori di lavoro e lavoratori.

Le leggi sulla protezione dell’occupazione si sono progressivamente rafforzate nel tempo, una tendenza comune nella maggior parte dei paesi e delle regioni.

Tuttavia, in Europa, in controtendenza, dall’inizio della crisi finanziaria nel 2008 abbiamo assistito ad una generale riduzione della protezione del lavoro.

Le catene produttive globali

Il rapporto esamina la crescente importanza delle catene di produzione globali nel configurare alcuni dei modelli di occupazione e di reddito che si osservano nei mercati del lavoro odierni.

Secondo una stima, basata sui dati disponibili in circa 40 paesi, globalmente un posto di lavoro su cinque è collegato alle catene globali — si tratta di posti di lavoro che contribuiscono alla produzione di beni e servizi direttamente consumati o successivamente trasformati in altri paesi.

La disoccupazione globale

Secondo il rapporto, il mondo del lavoro sta profondamente cambiando, in un periodo in cui l’economia globale non sta creando un numero sufficiente di posti di lavoro.

L’ILO stima che il dato della disoccupazione globale abbia raggiunto i 201 milioni nel 2014, 30 milioni di disoccupati in più dall’inizio della crisi globale nel 2008.

Inoltre, è una sfida improba quella di creare ogni anno più di 40 milioni di posti di lavoro aggiuntivi per quanti entrano nel mercato del lavoro.

A livello mondiale, a partire dal 2011 la crescita dell’occupazione è rimasta ferma intorno all’1,4 per cento l’anno, mentre a partire dal 2008, nei paesi industrializzati e nell’Unione Europea, la crescita dell’occupazione è stata in media dello 0,1 per cento l’anno, rispetto allo 0,9 per cento tra il 2000 e il 2007.

Nel 2014, quasi il 73 per cento del divario occupazionale mondiale era dovuto a un deficit dell’occupazione femminile, che costituisce solo il 40 per cento circa della manodopera mondiale.

 I cambiamenti nei rapporti di lavoro

Ma, insieme alla diffusa mancanza di posti di lavoro, è la stessa relazione di lavoro – secondo il rapporto – che sta affrontando grandi trasformazioni che portano con sé ulteriori sfide.

Il rapporto rivela, infatti, soprattutto nelle economie avanzate, uno slittamento dal modello di impiego standard, nel quale i lavoratori guadagnano il loro salario in un rapporto di dipendenza dal proprio datore di lavoro, hanno un lavoro stabile e lavorano a tempo pieno.

Nelle economie avanzate, il modello di impiego standard e è sempre meno dominante, pur continuando a coprire più del 75 per cento dei lavoratori (dei quali circa due terzi a tempo pieno), ai quali vanno aggiunti un 9,3% di lavoratori a tempo determinato.

Nelle economie emergenti e in via di sviluppo, ci sono stati alcuni rafforzamenti dei contratti e delle relazioni di lavoro, ma il lavoro informale continua ad essere comune in molte paesi e, al punto più basso della catena produttiva globale, contratti a termine e orari irregolari stanno diventando sempre più diffusi.

Oggi, pur in un quadro di aumento assoluto e percentuale, i lavoratori dipendenti rappresentano soltanto circa la metà dell’occupazione globale e solo un piccolo 20% in regioni come l’Africa Sub Sahariana e il Sud Est Asiatico.

In un certo numero di economie avanzate, l’incidenza del lavoro dipendente è in un trend discendente, discostandosi così dalle dinamiche storiche.

Di converso, sono in crescita il lavoro in proprio e altre forme di impiego fuori dal quadro del tradizionale rapporto datore-lavoratore.

Nelle economie emergenti e in via di sviluppo, la tendenza storica alla crescita del lavoro salariato sta rallentando.

L’incidenza di posti di lavoro informali e del lavoro familiare non retribuito rimane molto alta nella maggioranza dei paesi in via di sviluppo.

Inoltre, all’interno del lavoro dipendente, stanno emergendo nuove dinamiche.

Meno del 40% dei salariati sono occupati stabili e a tempo pieno e questa quota appare in declino.

Questo significa che 6 dipendenti su 10 nel mondo sono o a part-time o in forme di lavoro a termine.

Le donne sono sovra rappresentate tra i dipendenti a termine e/o a part-time.

Infatti, negli 86 paesi che rappresentano il 65 per cento dell’occupazione mondiale, oltre il 17 per cento delle persone occupate svolgeva un lavoro a tempo parziale a meno di 30 ore settimanali.

Le donne impiegate a tempo parziale erano il 24 per cento, il doppio in proporzione rispetto al 12,4 per cento degli uomini.

 Le conseguenze negative sulla domanda aggregata

La trasformazione in corso delle relazioni di lavoro sta portando a importanti ripercussioni economiche e sociali, contribuendo alla crescente divergenza tra la produttività e i redditi da lavoro, con la prima che cresce più velocemente dei salari in molta parte del mondo.

A sua volta questo si traduce in un deficit di domanda aggregata che persiste negli anni dall’inizio della crisi.

Il rapporto stima che la perdita nella domanda globale ammonti a 3.700 miliardi di dollari come risultato della disoccupazione, della stagnazione salariale e dei loro effetti su consumi, investimenti e entrate fiscali.

L’impatto diretto del divario occupazionale mondiale sulla massa salariale aggregata è considerevole: corrisponde a circa 1.218 miliardi di dollari di perdite di salari in tutto il mondo. Ciò equivale a circa 1,2 per cento del totale della produzione mondiale annua e a circa il 2 per cento del totale del consumo mondiale.

A questo, si deve aggiungere la perdita dovuta al rallentamento della crescita dei salari o alla loro stagnazione, che ha avuto conseguenze importanti sulla massa salariale aggregata.

L’ILO stima che nelle sole economie industrializzate e nell’Unione Europea, nel 2013, il rallentamento della crescita dei salari durante e dopo i periodi di crisi abbia provocato una riduzione di 485 miliardi di dollari della massa salariale a livello regionale.

A causa dell’effetto moltiplicatore dell’aumento dei salari, dei consumi e dei livelli di investimento, secondo l’ILO, colmando il divario occupazionale mondiale, il PIL globale aumenterebbe di 3.700 miliardi di dollari — pari ad un aumento della produzione mondiale del 3,6 per cento.

Inoltre, il cambiamento nelle relazioni di lavoro alimenta ulteriormente le diseguaglianze di reddito.

Per quanto ci siano evidenze diversificate tra i paesi, in media il rapporto di lavoro standard è meglio retribuito rispetto alle altre tipologie, e la differenza ha teso ad ampliarsi nello scorso decennio.

I lavoratori temporanei e informali, a part-time, nel lavoro familiare non retribuito, molti di questi donne, sono maggiormente soggetti alla povertà e alla esclusione sociale.

 Ancora troppi con protezione sociale bassa o inesistente

Il rapporto esamina il ruolo della protezione sociale e delle regole sul lavoro.

A livello mondiale, il 52 per cento dei lavoratori dipendenti è iscritto a un sistema pensionistico, contro il 16 per cento dei lavoratori indipendenti, autonomi e informali.

Tra i lavoratori dipendenti, quasi l’80 per cento dei lavoratori con un contratto a tempo indeterminato è iscritto a un sistema pensionistico, rispetto ad appena il 51 per cento dei lavoratori con contratto a tempo determinato.

Una debole copertura della protezione sociale e restrizioni all’eligibilità per molte prestazioni limitate solo ai lavoratori con contratti regolari riducono la portata e il potenziale contributo della protezione sociale nei confronti di larghi settori della forza lavoro.

Quindi, le norme attuali dovrebbero essere riviste tenendo conto delle mutate condizioni del mondo del lavoro.

Come dimostrato dal rapporto, un certo numero di paesi ha fatto progressi sostanziali su questo piano e offre un possibile esempio per questi progressi.

Dove sistemi di protezione sociale sono in via di costruzione, c’è l’opportunità di coprire le varie forme di rapporto di lavoro.

Dove i sistemi sono già istituiti, c’è la necessità di aggiornare le attuali accessibilità e coperture per riflettere più accuratamente la composizione della forza lavoro.

Alcune politiche innovative hanno aiutato ad estendere, di diritto e in alcuni casi di fatto, il campo della protezione sociale ai lavoratori non standard, attraverso misure come la creazione di nuove categorie di contribuzione, la semplificazione della registrazione e della raccolta delle tasse e dei contributi per finanziare i sistemi di protezione sociale.

Il rapporto cita ad esempio Argentina, Brasile, Cina e Sud Africa, dove forme innovative di protezione sociale hanno aiutato ad aumentare la sicurezza del reddito per lavoratori in situazioni vulnerabili.

In un ampio numero di economie avanzate e in via di sviluppo, i governi hanno perseguito combinazioni di protezione sociale e politiche del mercato del lavoro risultanti in una crescita dell’occupazione formale.

A parte queste positive tendenze, rimangono significativi gap nella protezione sociale dei lavoratori con differenti relazioni di lavoro. Ad esempio, sono ancora insufficientemente sviluppati programmi di sicurezza sociale contributivi per gli autonomi e istituti pensionistici per i lavoratori non standard, di cui le donne costituiscono la maggioranza.

 La catena produttiva globale

Il rapporto analizza anche il ruolo della catena globale di produzione rispetto ai cambiamenti nelle relazioni d’impiego.

Approssimativamente si stima che 1 lavoratore su 5 sia occupato in una catena globale di produzione.

Infatti, su 40 paesi (che rappresentano i due terzi della manodopera globale), nel 2013, 453 milioni di persone lavoravano nelle catene produttive globali, rispetto a 296 milioni nel 1995.

Ciò equivale al 20,6 per cento dell’occupazione totale nei paesi esaminati, rispetto al 16,4 per cento nel 1995.

Analisi settoriali suggeriscono che la partecipazione a queste catene sia associata a più alta produttività – nonostante un effetto meno significativo per le economie emergenti. Suggeriscono, inoltre, che, in media, i lavoratori occupati in settori che partecipano alle catene globali di produzione guadagnino salari simili a quelli di lavoratori meno implicati in dette catene.

Questa divergenza tra produttività e salari suggerisce il declino nel tempo della quota di valore aggiunto che va ai salari, determinando salari più bassi e più alte diseguaglianze di reddito.

L’intensa competitività e la brevità dei cicli produttivi in alcune catene produttive globali spingono, inoltre, al ribasso le condizioni contrattuali e la durata del lavoro.

 Le normative sul lavoro

Il rapporto rileva che molti governi hanno risposto ai cambiamenti del mondo del lavoro adattando ed estendendo il campo delle regolazioni dell’impiego.

Ci sono stati miglioramenti significativi in aree della legislazione relative al lavoro autonomo, part-time, a termine e per il lavoro interinale.

Il rapporto rileva che il rafforzamento delle protezioni in quest’area delle normative del lavoro è cresciuto costantemente nel tempo per la maggior parte dei paesi analizzati, grazie in parte all’introduzione di legislazioni di “uguale trattamento”, che richiedono protezioni equivalenti per lavoratori standard e non standard.

Ciò non ostante, dove quadri normativi non aggiornati o insufficienti non riflettono abbastanza la mutata natura delle relazioni di lavoro, un largo numero di lavoratori sono ancora scoperti dalla legislazione di protezione lavorativa.

Inoltre, in anni recenti, alcuni paesi, soprattutto in Europa, hanno fatto cambiamenti che hanno ridotto il livello di protezione dei lavoratori sia standard che non standard, con l’intento di stimolare l’aumento dell’occupazione.

A questo proposito, il rapporto analizza la relazione tra la legislazione sul lavoro e i principali indicatori del mercato del lavoro, come la disoccupazione, e suggerisce, invece, che la riduzione delle protezioni per i lavoratori non abbassa la disoccupazione. Al contrario, i dati raccolti suggeriscono che cambiamenti mal disegnati che riducono la protezione legislativa del lavoro sono probabilmente controproducenti per l’occupazione e la partecipazione al mercato del lavoro, nel breve come nel lungo termine.

Chiaramente, non esiste un approccio unico valido per tutte le situazioni.

Piuttosto, secondo l’ILO, c’è un evidente necessità di approcci disegnati con attenzione basati sulle condizioni specifiche del mercato del lavoro e sull’evidenza dei risultati, piuttosto che su impostazioni ideologiche.

Attraverso il dialogo sociale è più probabile che si possano raggiungere politiche adeguate e ben disegnate.

Queste tendenze portano alla ribalta il dialogo sociale e la questione della governance del mercato del lavoro. Secondo il rapporto, mentre si diffondono iniziative di responsabilità sociale d’impresa, c’è comunque il bisogno di passi più efficaci e intelligenti. La collaborazione tra i costituenti dell’ILO (governi, sindacati e imprenditori) è imperativa in questo campo. Politiche attive del mercato del lavoro, incluse aumento delle competenze, formazione e istruzione, sono necessarie per assicurare che le perdite di posti di lavoro derivanti dagli avanzamenti tecnologici e dalla globalizzazione delle catene di produzione siano superati con altre opportunità di lavoro.

Sia nuove regole sul lavoro che la loro effettiva applicazione sono necessarie alla base delle catene globali.

Più in generale, l’applicazione delle norme internazionali sul lavoro, a partire da quelle fondamentali, è cruciale per assicurare il parallelo sviluppo dei benefici sociali ed economici su tutta la catena di produzione.

 

Questa è la strada per un convergenza verso l’alto, invece che verso il basso.

Nuove tecnologie e cambiamenti nell’organizzazione produttiva sono fattori chiave dietro lo slittamento nelle relazioni di lavoro e la diffusione di nuove forme di lavoro.

Se sta diventando più difficile conquistare il modello di impiego standard per la maggior parte dei lavoratori, di conseguenza, le politiche pubbliche non dovrebbero focalizzarsi solamente sulla promozione della transizione dalle forme non standard al lavoro dipendete stabile e a tempo pieno. Devono essere considerate anche misure che diano adeguate protezioni ai lavoratori in tutte le tipologie di occupazione.

Secondo Guy Ryder, Direttore Generale dell’ILO, “Questi nuovi dati indicano una crescente diversificazione del mondo del lavoro. In alcuni casi, le forme atipiche di lavoro possono aiutare le persone ad accedere al mercato del lavoro. Ma questi nuovi cambiamenti riflettono anche la diffusione di una insicurezza che colpisce oggi numerosi lavoratori in tutto il mondo”.

“Lo spostamento che osserviamo del rapporto di lavoro tradizionale verso forme atipiche di occupazione è, in molti casi, associato ad un aumento delle disuguaglianze e della povertà in diversi paesi”, ha aggiunto Ryder. “Inoltre, questa tendenza rischia di prolungare il circolo vizioso caratterizzato da una domanda globale debole e da una lenta creazione di posti di lavoro, fenomeni che hanno interessato l’economia globale e diversi mercati del lavoro, durante tutto il periodo successivo alla crisi”.

“Le politiche devono tenere in considerazione l’evoluzione del mondo del lavoro. Ciò significa stimolare le opportunità di investimento per rilanciare la creazione di occupazione e la produttività, e garantire un’adeguata sicurezza del reddito per tutti i lavoratori, non solo per quelli con contratti stabili”, ha sottolineato, ancora, Ryder.

“Il problema fondamentale è quello di adattare la regolamentazione a un mercato del lavoro sempre più diversificato”, ha affermato, a sua volta, Raymond Torres, Direttore del Dipartimento di Ricerca dell’ILO e principale autore del rapporto. “Una regolamentazione adeguata contribuirà anche alla crescita economica e alla coesione sociale”.

(L.T.)

 Fonte: http://www.fondazionedivittorio.it/