Lund, 15/11/2018

Maestà, Magnifico Rettore, Autorità accademiche e civili, Chiarissimi Professori, Care studentesse e cari studenti,

desidero ringraziare il Magnifico Rettore, per avermi dato l’opportunità di pronunciare il mio intervento in questa storica Università,

tra le più antiche del Nord Europa e fra le più prestigiose, e non soltanto nel nostro Continente. Consentitemi di esprimere la mia viva gratitudine alle Loro Maestà per essere presenti qui, oggi. La considero una testimonianza significativa e cordiale dell'eccezionale sintonia che anima il rapporto bilaterale tra Svezia e Italia, che ha rappresentato il filo conduttore della Visita di Stato che oggi si conclude. Rinnovo il mio grazie alle Loro Maestà per l’accoglienza e l’attenzione che hanno voluto riservare a me, a mia figlia e alla delegazione che mi ha accompagnato. L’antica e prestigiosa Istituzione che ci ospita costituisce, da oltre 350 anni, uno dei pilastri dell’istruzione accademica in Svezia. Rivolgo un saluto caloroso all'intero corpo docente e ai ricercatori di questa Istituzione, così come a tutto il suo personale e, soprattutto, agli studenti che la frequentano, provenienti da oltre 170 Paesi e anche dall'Italia. Una realtà così profondamente e autenticamente aperta alle diverse espressioni culturali rappresenta il terreno migliore - quello che ogni Istituzione universitaria ambirebbe coltivare - per lo sviluppo del sapere e per la sua trasmissione alle più giovani generazioni. Proprio il rapporto tra memoria e generazioni future è uno dei temi che ha segnato l’anno che ormai volge al termine. Un anno nel quale l’Europa ha ricordato il centenario della fine del Primo conflitto mondiale, una guerra che ha lasciato una traccia indelebile, in particolare nel nostro Continente, fatta di dolore, lutti e divisioni profonde fra i popoli. L’incapacità di trarre lezioni da quella immane tragedia che ha registrato più di dieci milioni di morti nella sola Europa, portò, nel volgere di poco più di venti anni, al Secondo conflitto mondiale. Al termine delle due guerre, il Continente che aveva posto alla base del suo sviluppo la fiducia nel sapere e la sua diffusione nel mondo, gli avanzamenti scientifico-tecnologici e la ambizione di possedere una cultura capace di poter indicare modelli di società, ebbene, proprio quel Continente sembrava ormai avviato su una traiettoria di ineludibile declino, acuito da fratture politiche ed enormi crisi economiche che ne marcavano profondamente i territori. Una situazione che anche Paesi come la Svezia - pur rimasta estranea ai due conflitti mondiali – vivevano, con una seria ipoteca sul futuro. Se una parola potesse riassumere il sentimento prevalente in Europa alla metà degli anni quaranta, il termine sarebbe probabilmente “sbigottimento”. Sbigottimento da sconfitta per i vinti ma anche come sentimento di diffuso tracollo per i vincitori, posti di fronte a una situazione nella quale nulla permetteva di pensare di poter tornare a situazioni pre-belliche e le residue risorse scampate al flagello della guerra rischiavano di esaurirsi velocemente, con un futuro di gravi difficoltà per i popoli europei. E’ in questo scenario che prende le mosse il percorso di integrazione continentale, della quale la Svezia fu partecipe e attenta osservatrice. I tentativi furono disparati, alle volte contradditori, talvolta destinati all’insuccesso. Molta strada è stata compiuta dal Piano Marshall alle esperienze di collaborazione tra i paesi scandinavi, dalla proposta di una Comunità Europea di Difesa, sino al percorso che ha portato allo sviluppo dell’esperienza della Comunità Europea. Il processo che ha condotto, oggi, alla Unione Europea è dovuto alla lungimiranza di padri fondatori, che riuscirono a guardare più avanti di altri. Un processo che nacque, in primo luogo, da una constatazione e da una volontà: mai più guerra; non più contrapposizioni, bensì unità per crescere, insieme, proprio iniziando dalle stesse risorse, carbone e acciaio, che erano state contese in tanti conflitti. Tuttavia, assicurare alle generazioni future un orizzonte di pace e di crescente e diffusa prosperità, come quello che ha segnato la storia europea dal dopoguerra ad oggi, vuol dire essere consapevoli che, nella storia, i passi indietro sono possibili. Significa che è necessario non dimenticare mai le lezioni delle mostruosità di un certo passato. Impone di tenere viva, al contrario, la memoria di straordinari e coraggiosi momenti fondanti. Ricordare che essere riusciti a risollevare il nostro Continente, a superare le divisioni profonde che avevano continuato a ferirlo, per tornare a essere produttori di idee, di cultura, di diritti e di progresso, in ogni ambito; occorre ricordare che tutto questo è accaduto perché abbiamo acquisito coscienza di appartenere a un’unica eredità culturale e scelto di progettare insieme il futuro dei nostri popoli. Accrescere il nostro essere “insieme” in futuro, vuol dire - a ogni generazione - far nostro il passato, avvertirlo nella memoria collettiva, poter sviluppare gli anticorpi necessari a non rivivere i conflitti che hanno attraversato il Continente per secoli. Il contributo del Regno di Svezia che, l’anno prossimo, toccherà il venticinquesimo anniversario della sua appartenenza all’Unione, è stato rimarchevole. L’Università - che in Europa nacque e si sviluppò - ha sempre assolto a un compito preminente in questo contesto. L’unità della cultura europea trova nei valori di libertà della ricerca e di apertura agli ambienti intellettuali, caratteri propri delle Università, il suo fondamento, almeno sin dall’epoca degli Studi medievali e dei clerici vagantes. L’Università - il luogo ove le sfide e lo studio si trasformano in crescita e progresso - per definizione accumula saperi, custodisce storia, le basi essenziali per i passi successivi. La memoria è come l’opera viva dei navigli, come le fondamenta per gli edifici. Non si vede, ma senza di essa la nave affonda o la costruzione, alla prima sollecitazione, cede. Maestà, l’Europa vive oggi una fase complessa. Una situazione nella quale le sollecitazioni e le scosse che l’edificio comune deve assorbire sono intense. Nessuno dei padri fondatori negò mai che il percorso di integrazione potesse essere faticoso e, anzi, uno dei fondatori, lo stesso Jean Monnet, teorizzò come il progredire della costruzione europea fosse legato proprio alla sua capacità di superare le crisi. Se è questo lo spirito, allora è dirimente un chiarimento introspettivo sulla direzione di marcia che i popoli europei intendono percorrere: il Trattato di Lisbona, nel suo preambolo, pone esplicitamente l’obiettivo di “creare una Unione sempre più stretta tra i popoli d’Europa”, le cui decisioni “vengano assunte il più vicino possibile ai cittadini, secondo il principio di sussidiarietà“. Non siamo, cioè, una semplice unione doganale, non siamo una sorta di comitato d’affari. Siamo, anche considerando soltanto un approccio economico-commerciale, assai di più: un mercato unico, uno spazio economico con responsabilità da potenza globale, che si riverbera su molteplici aspetti, strettamente collegato alla libera circolazione delle persone. Dalla crescita sostenibile al modello sociale, alla redistribuzione internazionale delle risorse, alla garanzia di poter esercitare queste libertà in una cornice di sicurezza e stabilità. La crisi economico-finanziaria ha caratterizzato il decennio trascorso, con pesanti riflessi sulle popolazioni. Ad essa si è sovrapposta un’ondata migratoria verso l’Europa di dimensioni notevolissime, mentre, all’interno dell’Unione, il Regno Unito decideva di abbandonare il percorso di integrazione. Diversità di sensibilità, accentuatisi tra i membri dell’Unione, hanno visto emergere sentimenti di lontananza dei cittadini europei rispetto alle istituzioni comunitarie. Lontananza per la quale il disegno europeo, con il suo significato, le sue Istituzioni, le sue politiche, le sue regole e procedure, viene talvolta percepito da una parte dei cittadini europei come estraneo se non avverso e, al più, come una sorta di fiera delle opportunità alla quale attingere secondo spicciole, singole convenienze, senza né anima né scopo. Una linea di pensiero di corto respiro e che non riesce a considerare con attenzione non tanto ciò che abbiamo di fronte in un momento di crisi, quanto, piuttosto – ed è molto - ciò che è stato realizzato e viene oggi dato quasi per scontato, per acquisito una volta per sempre. Insieme all’esercizio di memoria, occorre dunque lavorare, ogni giorno, affinché trovi concreta applicazione la formula dell’Europa dei cittadini. Proprio a pochi chilometri da qui, a Göteborg, esattamente un anno fa, l’Unione compì un passo di grande rilevanza. In quell’occasione, i leader europei hanno sottoscritto un documento che definisce specifiche direttrici per una rinnovata attenzione dell'Unione e degli Stati membri alla dimensione sociale, alla formazione, alla cultura e alle politiche in favore dei più giovani. Il fondamentale avanzamento realizzato in questi anni riguardo al mercato unico – con la scelta di alcuni Paesi di aderire immediatamente anche all’Unione Monetaria – è infatti essenziale ma deve essere accompagnato da altri risultati, altrettanto validi, capaci di mantenere viva l’identificazione fra cittadini europei e Istituzioni comuni. È il ruolo dell’Unione come creatrice, custode e garante di diritti che proteggano i nostri cittadini in maniera uniforme, sempre e dovunque, che va messo in rilievo. Un ruolo solennemente avvalorato dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Non è un caso che il primo dei venti principi sanciti nel documento di Göteborg sia dedicato all’istruzione, alla formazione e all’apprendimento permanente, con l’obiettivo di permettere a ciascuno di poter rimanere, lungo l’arco della propria vita lavorativa, parte attiva della società. Accesso al mercato del lavoro, parità di genere, salari e condizioni uguali per lavori uguali, dialogo sociale, assistenza a lungo termine, costituiscono altrettante architravi del nostro vivere insieme e che, insieme, dobbiamo cercare di sviluppare ulteriormente, per il bene dei nostri cittadini. Göteborg ha segnato un momento significativo nella vita dell’Unione, definendo caratteri di un vero e proprio “pilastro sociale”. Un momento nel quale l’Europa ha ripreso a percorrere, con decisione, quel cammino di promozione e diffusione di diritti caratteristico dei momenti più significativi e alti della sua storia. È il cammino della cittadinanza europea che va percorso con lena e coraggio. La carta di Göteborg – e soprattutto i concreti sforzi per la sua concreta attuazione – contribuisce a ricomporre disparità e dissociazioni all’interno del nostro Continente, interroga la validità del concetto di “Europa a più velocità” applicata ai principi dell’Unione, consolida la prospettiva di un’Europa coesa, efficiente, vicina ai propri cittadini e pronta a difenderne i diritti, anche sociali. Un’Europa che tenda ad offrire ai suoi figli - ovunque siano nati - le stesse opportunità. Un’Europa ove la “Generazione Erasmus” e la stessa “Generazione dell’Euro” – così ben rappresentate in questa Università – possano assumere sempre più la guida dei propri destini e rafforzare il senso profondo del disegno europeo per chi verrà dopo di loro. E’ responsabilità comune far sì che l’attuazione dei principi elaborati a Göteborg sia parte dell’agenda che animerà il dibattito in vista dell’ormai vicino avvio del prossimo ciclo istituzionale, con l’appuntamento elettorale per il Parlamento europeo. Care studentesse e cari studenti, Ho appena citato il senso di responsabilità che incombe su di noi come parte di un grande progetto che, da oltre sessant’anni, guida la nostra azione collettiva. E’ una responsabilità che condividiamo con le giovani generazioni che costituiscono il futuro dell’Europa. Il mio invito oggi, il mio auspicio, è che possiate continuare a viaggiare, a studiare, conoscere le culture dei luoghi dove andrete e impararne le lingue, apprendere stili di vita, tradizioni e identità, arricchendole e valorizzandole, insieme ai vostri colleghi, condividendo con essi sogni e aspirazioni. La cultura che ci ha unito e ci unisce, ci rende orgogliosi del nostro essere europei. Figli di Dante, Cervantes, Shakespeare, Descartes, Goethe, Andersen, Joyce, Strindberg e Bergman e, contemporaneamente, figli di un’epoca in cui le nozioni di spazio e tempo sono radicalmente mutate. Proprio grazie a Istituzioni come quella che oggi ci ospita, sono convinto che saremo capaci di trasmettere questa immensa e preziosa “umanità di valori” a chi verrà dopo di noi e, al tempo stesso, proporla al mondo come esperienza di pacifica convivenza, alla quale poter sempre e costantemente attingere.