(Antonina Cascio) Disertare, desistere ,desolare. Sono parole che sembrano incatenate tra loro, ognuna conseguenza immediata della prima. Quest’immagine, di abbandono della lotta per una umanità migliore , per un mondo con meno problemi ,è quella che tante volte provo di fronte a quelli della mia generazione, la generazione dell’immediato dopoguerra.

 Perchè bisogna ricordare chiaramente che la rifondazione dell’Europa, e della nostra Italia, o la grande avventura della colonizzazione moderna delle più diverse città del mondo, attraverso una emigrazione che partì disposta a non lasciarsi trascinare dalle forze locali, disposta ad essere padrona in un mondo diverso al conosciuto, quello lo fece la generazione che partecipò alla guerra. La generazione che , pur non volendoci andare fu costretta a lottare nei fronti più diversi, o rimanendo perchè ancora troppo piccoli, soffrirono le conseguenze di una guerra infame e maledetta che fece vedere a tutti il vero volto del demonio: la fame, il dolore e la morte, conseguenze della sottomissione e della pigrizia, della mancanza di reazione di fronte alle iniquità.. Quelli nati nel dopoguerra, invece, si sono goduti il lavoro e lo sforzo fatti dagli altri, padri, parenti amici e connazionali che lottarono disperatamente e nello stesso tempo pieni di entusiasmo per uscire dal buco e per far rifiorire il loro paese, le loro famiglie, il loro mondo. Questi, però, ebbero una grande responsabilità: non hanno saputo coinvolgere i loro discendenti in questo grande progetto. Hanno continuato a difendere il posto di comando come lo facevano in piena guerra, con le unghie e con i denti, padroni assoluti della responsabilità e della sapienza. Non ebbero nei loro discendenti la fiducia necessaria per trasmettere il potere, la responsabilità, gli obblighi. Favorirono così una generazione di comodi, di “bonvivant”, di gente che vuole sensazioni piacevoli soltanto. Non c’è dubbio che le regole non sono mai generali, e che tra questa generazione tanto disprezzata c’è gente che lavora e si sforza ogni giorno per migliorare, per andare avanti, per rendersi responsabili della loro vita e di quella altrui, se è necessario. Ma sono i meno. Sfortunatamente, all’ora di prendere risoluzioni, di rinunziare a qualche soddisfazione per il bene comune, troviamo un sentimento generalizzato di rifiuto per il minimo sforzo. Perché fare oggi quello che si può lasciare per domani? C’è molto da discutere in questa idea così esposta in maniera generale. In certi casi bisogna, è vero, non esagerare ad essere rinunciatari. Ci sono piccole cose alle quali nessuno dovrebbe rinunziare. Ma si può arrivare a qualsiasi meta se si privilegia sempre e soltanto il benessere personale? Credo di no. Questo è quello che credo e che mi piacerebbe poter ripartire con altri che come me si preoccupano e si occupano dell’emigrazione, merita credo uno spazio profondo di riflessione a livello istituzionale in tutti gli ambiti, quelli del Governo, ma quelli dei privati, quelli delle associazioni in Italia ed all’estero. Un poco di riflessione e di discussione, non farebbe male per risolvere questa crisi di valori e di disinteresse nella quale siamo immersi.