(On. Marco Fedi) Il Partito Democratico, la sua costruzione, il suo realizzarsi – anche attraverso il sistema delle regole interne e del modo più aperto e trasparente possibile per raggiungere le decisioni che oggi portiamo in Parlamento come forza di opposizione e che domani saremo chiamati a trasformare in proposte di Governo

– rappresentano il progetto politico di rinnovamento più ambizioso degli ultimi 50 anni di storia repubblicana. Tutti coloro che lavorano alla costruzione di un partito nuovo, aperto, capace di coinvolgere la gente in una nuova sfida politica, di dare risposte alle aspirazioni delle persone e delle famiglie – anche in questo momento di profonda crisi economica – oggi si rendono conto che “il progetto” è più importante dell’uomo che lo ha guidato dalla sua nascita. Il progetto politico del PD è più importante del segretario Veltroni che con noi ha voluto sfidare le tante forze che hanno contrastato la nascita del PD e la sua piena e completa trasformazione. E non sono poche. Interne al PD, per la complessità della sfida che ha comportato una rivoluzione degli apparti di DS e Margherita. Una rivoluzione non ancora completata ma pur sempre una apertura verso un modo nuovo di fare politica e di trasformare un progetto in azione di Governo. Le primarie e la campagna elettorale per le politiche ci hanno insegnato proprio questo. E le insidie esterne. Centrodestra fermo al palo, ma in grado di governare e vincere quando il PD non costruisce alleanze più ampie. Il Pd fino ad oggi concentrato a completare la trasformazione in sistema bipolare e bipartitico mentre il PdL è ancora solo l’insieme di Forza Italia e AN: una strategia di sostanziale attesa, di costanti rinvii, di attese e promesse non mantenute. Il PdL non ha pagato il prezzo elettorale della trasformazione ed ora non vuole pagare neanche il prezzo politico. Eppure sulla semplificazione del quadro politico avevano puntato tanti a destra come a sinistra. Dal punto di vista strategico il PD ha commesso un errore con la sinistra radicale. Forse avremmo dovuto pensare più al risultato elettorale che alla semplificazione del quadro politico. Veltroni ha ben guidato il PD in una difficile transizione e in momento particolarmente delicato, dall’opposizione, quindi con le difficoltà di chi deve farsi capire ogni giorno per le posizioni che assume in Parlamento, per fare una opposizione “ragionata” alla coalizione che ha vinto le elezioni ed è stata – ci piaccia o no – chiamata a Governare. Le sconfitte elettorali sono anche il risultato di una forte preoccupazione da parte dei cittadini rispetto alla crisi economica, alla crescente insicurezza, alla crescente violenza che permea la società italiana. Anche nei dibattiti politici. Elementi sui quali Governo e maggioranza fomentano paure e fanno emergere chiusure sociali e culturali. Le sconfitte elettorali pesano su tutti, su tutta la sinistra che non riesce più ad ottenere il consenso popolare. Le sconfitte elettorali sono anche il risultato di opposizioni, non solo il PD, che non sanno reagire a questa situazione e che appaiono incapaci di decidere. Ecco, al PD, indipendentemente da chi lo guiderà dopo il congresso, dobbiamo chiedere l’adozione di meccanismi trasparenti ed aperti per decidere, e non solo con i gruppi parlamentari. E portare avanti le decisioni con coerenza e determinazione, consapevoli che maggioranza e minoranza, internamente ad un grande partito riformista e sui singoli temi dell’agenda politica, ne costituiscono l’anima e ne rappresentano il futuro.