Intervento pronunciato da Angelo Lauricella(foto accanto), alla XX edizione degli itinerari gramsciani – Plataci (CS) -29/07/2017.
Quando, Mario Brunetti, mi ha invitato a partecipare alla XX edizione degli itinerari gramsciani con un contributo sul tema delle emigrazioni, in particolare con un confronto fra l’emigrazione che oggi investe l’Europa e l’emigrazione italiana nel mondo, mi sono chiesto che cosa pensava Gramsci dei processi migratori e di quelli italiani in particolare ed ho cercato (senza approfondire più di tanto) qualche riferimento che ho trovato in un discorso parlamentare del 16/05/1925 pronunciato contro il DDL Mussolini-Rocco sulle associazioni segrete ed in una lettera a Piero Parini nei quaderni del carcere (quaderno VI). Per esteso: ORIGINI E SCOPI DELLA LEGGE SULLE ASSOCIAZIONI SEGRETE* Discorso di Gramsci alla Camera [16 maggio 1925] contro il disegno di legge Mussolini-Rocco. Il problema pertanto è questo: la situazione del capitalismo in Italia si è rafforzata o si è indebolita dopo la guerra, col fascismo? Quali erano le debolezze della borghesia capitalistica italiana prima della guerra, debolezze che hanno portato alla creazione di quel determinato sistema politico massonico che esisteva in Italia, che ha avuto il suo massimo sviluppo nel giolittismo? Le debolezze massime della vita nazionale italiana erano in primo luogo la mancanza di materie prime, cioè l'impossibilità della borghesia di creare in Italia una industria che avesse una sua radice profonda nel paese e che potesse progressivamente svilupparsi, assorbendo la mano d'opera esuberante. In secondo luogo, la mancanza di colonie legate alla madre patria, quindi l'impossibilità per la borghesia di creare una aristocrazia operaia che permanentemente potesse essere alleata della borghesia stessa. Terzo la questione meridionale, cioè la questione dei contadini, legata strettamente al problema dell'emigrazione, che è la prova della incapacità della borghesia italiana di mantenere ... Interruzioni. Mussolini. Anche i tedeschi sono emigrati a milioni. Gramsci. Il significato dell'emigrazione in massa dei lavoratori è questo: il sistema capitalistico, che è il sistema predominante, non è in grado di dare il vitto, l'alloggio e i vestiti alla popolazione, e una parte non piccola di questa popolazione è costretta ad emigrare ... Rossoni. Quindi la nazione si deve espandere nell'interesse del proletariato. Gramsci. Noi abbiamo una nostra concezione dell'imperialismo e del fenomeno coloniale, secondo la quale essi sono prima di tutto una esportazione di capitale finanziario. Finora l'"imperialismo" italiano è consistito solo in questo: che l'operaio italiano emigrato lavora per il profitto dei capitalisti degli altri paesi, cioè finora l'Italia è solo stata un mezzo dell'espansione del capitale finanziario non italiano. Voi vi sciacquate sempre la bocca con le affermazioni più puerili di una pretesa superiorità demografica dell'Italia sugli altri paesi; voi dite sempre, per esempio, che l'Italia demograficamente è superiore alla Francia. È una questione questa che solo le statistiche possono risolvere perentoriamente, ed io qualche volta mi occupo di statistiche; ora una statistica pubblicata nel dopoguerra, mai smentita, e che non può essere smentita, afferma che l'Italia di prima della guerra dal punto di vista demografico, si trovava già nella stessa situazione della Francia dopo la guerra; ciò è determinato dal fatto che l'emigrazione allontana dal territorio nazionale una tal massa di popolazione maschile, produttivamente attiva, che i rapporti demografici diventano catastrofici. Nel territorio nazionale rimangono vecchi, donne, bambini, invalidi, cioè la parte della popolazione passiva, che grava sulla popolazione lavoratrice in una misura superiore a qualsiasi altro paese, anche alla Francia. È questa la debolezza fondamentale del sistema capitalistico italiano, per cui il capitalismo italiano è destinato a scomparire tanto più rapidamente quanto più il sistema capitalistico mondiale non funziona più per assorbire l'emigrazione italiana, per sfruttare il lavoro italiano, che il capitalismo nostrale è impotente a inquadrare. I partiti borghesi, la massoneria, come hanno cercato di risolvere questi problemi? Conosciamo nella storia italiana degli ultimi tempi due piani politici della borghesia per risolvere la questione del governo del popolo italiano. Abbiamo avuto la pratica giolittiana, il collaborazionismo del socialismo italiano con il giolittismo, cioè il tentativo di stabilire una alleanza della borghesia industriale con una certa aristocrazia operaia settentrionale per opprimere, per soggiogare a questa formazione borghese-proletaria la massa dei contadini italiani, specialmente nel Mezzogiorno. Il programma non ha avuto successo. Nell'Italia settentrionale si costituisce difatti una coalizione borghese-proletaria attraverso la collaborazione parlamentare e la politica dei lavori pubblici alle cooperative; nell'Italia meridionale si corrompe il ceto dirigente e si domina la massa coi mazzieri ... (Interruzioni del deputato Greco) Voi fascisti siete stati i maggiori artefici del fallimento di questo piano politico, poiché avete livellato nella stessa miseria l'aristocrazia operaia e i contadini poveri di tutta Italia. DAI QUADERNI DEL CARCERE Quaderno23(VI) § (58) Estratto dalla Lettera a Piero Parini sugli scrittori sedentari di Ugo Ojetti (nel «Pègaso» del settembre 1930(: «Come mai noi italiani che abbiamo portato su tutta la terra il nostro lavoro e non soltanto il lavoro manuale, e che da Melbourne a Rio, da S. Francisco a Marsiglia, da Lima a Tunisi abbiamo dense colonie nostre, siamo i soli a non avere romanzi in cui i nostri costumi e la nostra coscienza siano rivelati in contrasto con la coscienza e i costumi di quelli stranieri fra i quali siamo capitati a vivere, a lottare, a soffrire, e talvolta anche a vincere? D’Italiani, in basso e in alto, manovali o banchieri, minatori o medici, camerieri o ingegneri, muratori o mercanti, se ne trovano in ogni angolo del mondo. La letteratissima letteratura nostra li ignora, anzi li ha sempre ignorati. Se non v’è romanzo o dramma senza un progrediente contrasto d’anime, quale contrasto più profondo e concreto di questo tra due razze, e la più antica delle due, la più ricca cioè d’usi e riti immemorabili, spatriata e ridotta a vivere senza altro soccorso che quello della propria energia e resistenza?». Molte osservazioni o aggiunte da fare. In Italia è sempre esistita una notevole massa di pubblicazioni sull’emigrazione, come fenomeno economico-sociale. Non corrisponde una letteratura artistica: ma ogni emigrante racchiude in sé un dramma, già prima di partire dall’Italia. Che i letterati non si occupino dell’emigrato all’estero dovrebbe far meno meraviglia del fatto che non si occupano di lui prima che emigri, delle condizioni che lo costringono a emigrare ecc.; che non si occupino cioè delle lacrime e del sangue che in Italia, prima che all’estero, ha voluto dire l’emigrazione in massa. D’altronde occorre dire che se è scarsa (e per lo più retorica) la letteratura sugli italiani all’estero, è scarsa anche la letteratura sui paesi stranieri. Perché fosse possibile, come scrive l’Ojetti, rappresentare il contrasto tra italiani immigrati e le popolazioni dei paesi d’immigrazione, occorrerebbe conoscere e questi paesi e… gli italiani. Annunci Come si vede, Gramsci fa un quadro molto chiaro della situazione italiana a seguito della prima guerra mondiale, dell’impoverimento del paese che con le risorse residue non riesce a far fronte alla crescita demografica. Così l’Italia è costretta ad espellere milioni di lavoratori che faranno la fortuna di altri paesi, mentre intere zone perderanno la parte attiva della popolazione. In esse rimarranno solo vecchi e bambini. Una visione chiara sulla situazione di allora e profetica di quella di oggi che ripropone il tema dell’abbandono di ampie zone del paese, che porta con sé l’indebolimento della forza produttiva e l’esaurimento delle risorse primarie lasciate nell’abbandono in assenza di forze attive a governarle e svilupparle. Anche nella lettera a Piero Parini, Gramsci, pone una questione attuale ancora oggi, perché irrisolta, cioè quella del rapporto dell’Italia con le sue comunità all’estero. E’ chiaro il riferimento a quelle comunità come una straordinaria risorsa che però il paese sottovaluta ai fini delle opportunità che può fornire e che utilizza soltanto ai fini della propaganda di regime. Gramsci ci offre con le testimonianze sopra citate un aiuto nella ricerca dei motivi da cui originano le ondate migratorie: guerre, carestie, catastrofi naturali, regimi dittatoriali, discriminazioni razziali o politiche, sia nella individuazione di un rapporto di causa ed effetto tra ricchezza, disponibilità di risorse, e crescita demografica. Quando questo rapporto di rompe, allora parte l’ondata migratoria, anche in paesi (così era per l’Italia fascista) che fanno della demografia un’arma politica interna e di confronto internazionale. Naturalmente i flussi migratori italiani hanno preceduto la rima guerra mondiale. Stimolati dai primi governi unitari, incapaci di dare sbocchi di lavoro in patria ad una popolazione in forte crescita, per le politiche antisindacali ed antioperaie della coalizione liberal-massonica (come la definisce Gramsci) che ordinava di sparare sulle manifestazioni dei lavoratori del nord con i cannoni del generale Bava Beccaris ed al Sud con la repressione nel sangue dei fasci siciliani. Al Sud la leva obbligatoria provocò una diserzione di massa tra i giovani che fu perseguita con durezza dai governi e anche quello fu motivo di ondate migratorie. Non mancarono i disastri naturali come il terremoto di Messina che produsse lo spopolamento di intere zone. Gli italiani che emigrarono per povertà, fame, discriminazioni sono stati milioni nel corso di un secolo. Dal 1870 al 1970 sono stati censiti oltra trenta milioni di espatri, ha lasciato il paese una popolazione equivalente a quella rimasta in patria. Essi hanno raggiunto paesi vicini e lontani. In tanti nel loro viaggio hanno trovato la morte in mare, nei numerosi naufragi nelle tratte verso le americhe, altri nelle terre che li ospitavano. E’ successo nel Sud della Francia per mano dei lavoratori francesi che li ritenevano concorrenti nella ricerca del lavoro, negli Stati Uniti, dove hanno subito per anni violenza e discriminazione (si pensi al processo di Sacco e Vanzetti), nel Sud America come in Africa o in Australia. Poi si sono affermati ed organizzati e ciò ha favorito l’integrazione nelle nuove patrie. Un vero e proprio esodo quello degli italiani verso il resto del mondo, Un esodo che assomiglia (distinguendo le situazioni e le fasi storiche) a quello che si svolge oggi, dal centro e Nord Africa e dal vicino e medio Oriente verso l’Europa, ed in particolare verso l’Italia. Persone che fuggono da fame e guerre sfidando il deserto ed il mare, falciati dalle intemperie, dalla crudeltà di altri uomini. In tanti perdono la vita in terra e mare. Quelli che arrivano a destinazione spesso vengono respinti e riportati indietro ad affrontare un destino crudele. Quelli che raggiungono l’Europa spesso vengono sfruttati da speculatori cittadini delle terre che dovrebbero ospitarli, mantenuti ai limiti della sopravvivenza. Derisi ed emarginati, in tanti riescono a trovare un posto affermando la loro dignità, contribuendo con il loro lavoro a migliorare la vita di coloro con cui hanno scelto di convivere, anche se non bene accolti. E’ la storia dell’emigrazione di oggi che somiglia tanto a quello dell’emigrazione italiana nel mondo. Molti dicono che gli italiani hanno contribuito allo sviluppo di tanti paesi con il loro lavoro ed omettono spesso che anche oggi avviene lo stesso con l’emigrazione attuale nel nostro paese. Gli emigrati che si sono integrati contribuiscono a colmare i vuoti del nostro sistema produttivo. Svolgendo attività che i nostri giovani rifiutano (agricoltura, pastorizia, collaborazioni domestiche e cura degli anziani). E’ di questi giorni la dichiarazione del Presidente dell’INPS Boeri che ha affermato che senza i versamenti dei lavoratori extracomunitari il nostro sistema previdenziale non sarebbe in grado di erogare pensioni ed assistenza agli italiani. La verità è che la situazione attuale della presenza umana in tutta la terra origina da continui spostamenti di masse che si sono svolte per motivi analoghi a quelli di oggi: si pensi all’esodo biblico degli ebrei verso la terra santa, alle colonie greche che popolarono ed arricchirono il mediterraneo, ai fenici che ne contesero il dominio, fino alle guerre puniche, al dominio romano cui seguirono le invasioni barbariche nel nord Italia, alle dominazioni bizantine, arabe e poi normanne nel Sud, alla colonizzazione dei nuovi continenti, agli imperi asiatici ed alla loro espansione fino ai confini europei etc. Dalle migrazioni nasce il mondo di oggi. L’opera di migranti ha fecondato nuove terre, creato nuove civiltà, quando, dopo lo scontro iniziale si è proceduto all’accettazione dell’altro ed alla sua integrazione. Credo che quasi tutti i popoli vantino un progenitore venuto da lontano. Fosse esso greco o troiano come Enea. Ebreo come Mosè, musulmano, o normanno, o venuto dalla lontana Mongolia. Fondatori, eroi, tutti arrivati (nelle credenze di allora) per volontà degli Dei o per la volontà di un solo Dio. Ma oggi si perde il senso dell’origine propria e degli altri e si cerca di chiudere terre che non hanno pareti. Dove tutti possono entrare se spinti da paure ancestrali, da pericoli gravi, dalla voglia di cambiare terra e stato. Così come dalle nostre terre i nostri figli vogliono uscire spinti dalla voglia di trovare spazi per affermarsi a fronte di chiusure che trovano nel nostro paese ed in Europa. Perché è in corso una nuova emigrazione italiana ed europea verso il mondo intero. Una migrazione di cui pochi parlano, che si svolge ogni giorno ed ha raggiunto cifre notevoli, provocando effetti visibili in vaste aree del nostro Paese: l’emigrazione giovanile. Dalle rilevazioni di vari centri di ricerca negli ultimi 15 anni hanno lasciato l’Italia 1.750.000 giovani diplomati e laureati, in cerca di nuove collocazioni in Europa e nel mondo; americhe ed Australia in particolare. Il fenomeno si registra anche dal Sud verso il Nord Italia. Ciò è dovuto alla crisi economica che stiamo attraversando e che nel Sud è aggravata; lo evidenziano l’abbandono del mezzogiorno di tutti i grandi gruppi industriali nazionali ed internazionali, la riduzione delle politiche assistenziali, le strette fiscali operate dai governi nazionali e locali in tutti i settori, in particolare la sanità ed i servizi. Ritorna lo spopolamento di cui parlava Gramsci nel sopraccitato discorso alla camera del 1925. Stavolta però vanno via anche le donne ed il giovani e molti anziani che, stretti dalla fiscalità, non riescono con pensioni minime ad assicurarsi vite dignitose. E’ un fenomeno nuovo quello di molti anziani che cominciano a guardare con interesse l’offerta che alcuni paesi fanno di un decennio di defiscalizzazione per coloro che trasferiscono la loro residenza presso di loro. Il fenomeno comincia a diventare rilevante, se il presidente dell’INPS pone il problema. I paesi che svolgono questa politica di accoglienza sono: Portogallo, Bulgaria, Tunisia. Ma credo che altri se ne aggiungeranno. E’ il problema di oggi: tanta gente parte, soprattutto dal mezzogiorno d’Italia che si spopola, mentre nessuna forza politica presta attenzione al fenomeno e propone una politica per arginarlo. Emigrazione giovanile ed anche anziana dal mezzogiorno: l’abbandono di un territorio che provoca l’aumento delle terre incolte e delle case abbandonate. Lo spopolamento del Sud che finora ha assicurato con il boom delle nascite il ricambio demografico dell’intero paese pone all’Italia ed all’Europa un problema enorme, grande (almeno territorialmente) quanto la Grecia ed il Portogallo assieme. L’emigrazione in arrivo potrebbe compensare quella in uscita e divenire la soluzione del problema, solo se qualcuno provasse a rifletterci con mente serena sgombra da pregiudizi e strumentalizzazioni elettorali. In parte già da ora migliaia di badanti venute in particolare dalla Romania, ma anche da altri paesi, svolgono un ruolo di assistenza ad anziani soli i cui familiari sono impossibilitati per vari motivi ad accudirli. Questo servizio risparmia alla collettività i costi di un servizio che dovrebbe essere fornito da strutture pubbliche. Già ora emigrati vengono utilizzati per la coltivazione dei campi al di fuori di ogni garanzia di legge con paghe che rasentano la schiavitù. Naturalmente gli emigrati accettano questa condizione solo perché si trovano in estremo bisogno, ma quando possono fuggono anche da queste situazioni, cercando nuove vie verso il Nord o verso altri paesi europei. Sarebbe diverso, forse molti accetterebbero il lavoro nei campi, se questa attività si potesse svolgere nella legalità con salari sindacali e con la possibilità di gestire aziende agricole dismesse per ristrutturarle e rimetterle in produzione. Per questo sarebbe necessaria una politica di sviluppo del mezzogiorno che valorizzi il lavoro agricolo con incentivi e credito a tutti coloro, italiani e no, che sono disponibili al farsi carico del rilancio di questo settore. Sarebbe necessaria una politica che guardi lontano e si spenda per arginare la desertificazione e l’abbandono del territorio meridionale. Dall’emigrazione potrebbero venire parte consistente delle forze necessaria a questa impresa. Di questo dovrebbe discutere l’Europa , non costruire muri che potranno rallentare, ma mai fermare lo spostamento di masse umane da vari pericoli e dalla fame. La commissione europea, il Consiglio Europeo dovrebbero riflettere un poco di più sulle conseguenze del fallimento degli accordi di Barcellona sulla libera circolazione delle merci nel Mediterraneo. L’abbandono di quei trattati, causato dai processi innescati con la caduta del muro di Berlino e la fine conseguente dei regimi socialisti. La necessità di guardare ad Est ha messo in secondo piano i problemi del Sud e del Mediterraneo. Un errore gravissimo. Sarebbe stato giusto mantenere gli impegni assunti a Barcellona e fare fronte ai problemi dalle trasformazioni politiche nell’Est Europeo. L’abbandono della politica mediterranea ha portato all’irrigidimento delle dittature del Nord Africa, che non hanno più risentito degli stimoli europei verso una graduale democratizzazione dei sistemi politici, e quindi alle rivolte popolari, conosciute come “primavere arabe”, soprattutto in Egitto e Tunisia. In Libia fu l’attacco sferrato da Francia ed Inghilterra ad abbattere il regime di Gheddafi, lasciando la Libia nelle disastrose condizioni attuali. A tutto ciò si aggiunge la non risolta questione Palestinese, aggravata dai continui fallimenti della proposta di pace ed oggi della mutata politica USA, con l’arrivo di Trump alla presidenza. Questo quadro ci dice che l’emigrazione disordinata proseguirà e nessuno potrà arrestarla e porterà con sé tutti i rischi che stiamo vivendo: lo scontro tra poveri, tra lavoratori europei ed emigrati ed anche un aggravarsi del pericolo terrorismo. Una politica mediterranea dell’Europa che riapra l’incontro con i Paesi costieri, che riproponga loro uno standard di democraticità in cambio di scambi economici e culturali, che accetti un’apertura in Europa alle produzioni mediterranee potrà aprire le porte ad una nuova conferenza sul Mediterraneo, per la pace e per lo sviluppo, che proponga anche la soluzione alla questione emigrazione, nel senso di regolare i flussi e debellare le organizzazioni malavitose che con metodi mafiosi la controllano: scafisti, polizia di frontiera corrotta, speculatori che operano nei paesi di partenza e di arrivo. La politica di accoglienza necessita di un livello più alto di discussione tra i paesi europei che debbono far fare un salto di qualità all’approccio finora tenuto nell’affrontare il problema dell’emigrazione. Il metodo praticato fino ad oggi è quello di lasciare il carico della questione ai paesi di sbarco perché alla fine questi tenteranno di scaricare una parte degli arrivati su altri paesi. Tutto ciò naturalmente provoca la costruzione di nuovi muri che rischiano di distruggere l’Europa perché provocano l’insorgere di nuovi nazionalismi. Proprio il superamento dei nazionalismi e di un regionalismo conflittuale sono la motivazione della costruzione europea. I muri, invece, riportano la situazione indietro di 70 anni, ne è un esempio grave la Brexit che alimenta dall’Inghilterra la nascita per reazione di gruppi sovranisti in tutti gli altri paesi. Rinasce un irredentismo camuffato da autonomismo che attraversa diversi paesi europei. A cominciare dall’Inghilterra dove si riapre la questione dell’indipendenza del Galles e dell’Irlanda, alla Spagna dove ritorna in campo la questione dell’indipendenza della Catalogna. Con un referendum, per continuare con il rifiuto di aderire ad una politica europea di condivisione dell’accoglienza di paesi come la Polonia e l’Ungheria. Tralasciando le questioni che si pongono in ogni paese sull’utilità della stessa Europa. L’argomento centrale di coloro che contestano l’Europa è quello di una accoglienza che rischia di snaturare la natura stessa delle nazionalità. L’emigrazione oggi è diventata la questione europea più importante e va affrontata con efficacia e con proposte politiche e di sviluppo per il mediterraneo e l’Africa Centrale, non farlo metterebbe in discussione la coesione europea e forse la stessa esistenza dell’Europa unita. E’ chiaro che bisogna sapere guardare ai processi politici che si aprono in ogni paese con la nascita di forze xenofobe e razziste che in ogni paese europeo si rafforzano. Forze estremiste spingono al rifiuto di ogni politica di accoglienza e provocano la nascita di movimenti nazionalisti, sovranisti, che propongono di chiudere le frontiere e con esse ogni politica di accoglienza. Nelle proposte di queste forze non c’è posto per una prospettiva di integrazione, né per il rispetto di coloro che da emigrati si sono integrati e vivono nei loro paesi. Se queste forze dovessero conquistare il governo di qualche paese europeo si aprirebbe un vulnus nelle società multiculturali e multirazziali che si sono costruite negli ultimi 70 anni e che hanno contribuito alla rinascita ed allo sviluppo dell’Europa. L’arma di queste forze è la paura del diverso, amplificata da dati spesso errati forniti dai media e l’attività criminale del terrorismo islamico nelle città europee. La sensazione di insicurezza è aumentata negli ultimi anni nei paesi europei ed ha questa bisogna dare una risposta esauriente. E’ il compito dei governi europei che debbono sapere sviluppare una politica comune della sicurezza europea, unita ad una politica dell’accoglienza e dell’integrazione. Solo così si potranno coinvolgere anche le comunità emigrate insediate da più generazioni, oltre a quelli in arrivo, che il diritto internazionale e la nostra umanità ci obbliga ad ospitare. Non è il muro che ci porta più sicurezza, come non lo è l’emigrazione e lo sfruttamento, i campi profughi ed i centri di accoglienza “lager”. Invece l’offerta di prospettive di lavoro, di una residenza che serve anche a controllare il territorio, di diritti sociali e civili da assicurare quando l’iter necessario dell’accoglienza sarà definito e concluso. Lo ius soli di cui si discute in parlamento diventa non una concessione a scapito degli italiani, ma un necessità per l’Italia che vuole diventare madre di chi chiede di esserne figlio e non nemica che rifiuta anche coloro che sono nati nel suo grembo ed hanno imparato ad amare la sua cultura e che vogliono lavorare ed intraprendere con lei. Oggi lo scoglio da superare è quello della paura dell’altro alimentata ogni giorno da speculatori della politica e dell’informazione che vogliono vincere la loro battaglia ingannando il popolo. La paura è la loro arma per spostare il consenso popolare verso le loro proposte. Gramsci pensava che fosse necessaria in Italia una riforma intellettuale e morale che coinvolgesse le masse popolari. Perché finora i movimenti progressisti, come il rinascimento o la riforma protestante o la filosofia francese del ‘700 e la filosofia tedesca dell’800 sono state riforme che toccano solo le classi alte e spesso solo gli intellettuali. Gramsci pensava, allora, che una funzione di reale rinnovamento e progresso dovesse investire tutta la società fin dalle sue più profonde radici, la conoscenza della verità a scapito delle mistificazioni attuali e delle paure irragionevoli diventa l’elemento che costruisce l’egemonia delle classi popolari. Bisogna ancora una volta ritornare a studiare Gramsci per capire che le battaglie politiche si vincono con il consenso delle masse popolari e nel rapporto con esse. Solo così l’Italia e L’Europa potranno uscire da questa situazione con un passo in avanti nella costruzione di un’Europa unita che si fondi sui suoi principi originali. Per concludere, un accenno al tema centrale di questo XX° anniversario degli itinerari gramsciani, la proposta di concentrare l’attenzione delle popolazioni, del Governo italiano e dell’Europa sulla zona ionica, al fine di elaborare proposte di sviluppo della stessa. Si vuole partire dalla salvaguardia e dalla valorizzazione del suo immenso patrimonio storico e culturale che può diventare, non solo un freno alla crisi economico-produttiva che stiamo vivendo, ma il volano di un nuovo processo di sviluppo. Dallo sviluppo delle attività conseguenti al processo di valorizzazione delle risorse culturali si può moltiplicare l’interesse turistico verso la zona ionica, sviluppando attività alberghiere e di ristorazione che darebbero nuovo impulso, non solo al settore turistico, ma anche a quello agricolo che oggi soffre per la crisi e soprattutto per lo spopolamento delle zone interne. Credo che i giovani troverebbero grande interesse a rimanere in un posto che oggi offre un ruolo nello sviluppo, una speranza occupazionale, e prospettive di crescita economica. Uno sviluppo diffuso che parta dalla valorizzazione di risorse naturali e dalla valorizzazione del patrimonio culturale che fa delle nostre zone posti di interesse mondiale. Se ciò si realizzasse, credo che avremmo bisogno anche delle presenze di nuova manodopera e quella immigrata potrebbe coprire i vuoti che lo spopolamento e la de-natalità hanno creato. Una proposta geniale quella della zona ionica che può diventare un esempio per altre zone del mezzogiorno, naturalmente senza copiarla, ma utilizzando quella diversità dei territori che è la più grande ricchezza del nostro paese. Per avere presentato all’opinione pubblica nazionale ed europea questa proposta bisogna ringraziare gli itinerari gramsciani ed il suo presidente Mario Brunetti.