G7 A PRESIDENZA ITALIANA "PUO' CONTARE DAVVERO" AFFERMA MARTA DASSU' - "IN UNA FASE IN CUI C'E' UNA DISTANZA NOTEVOLE FRA STATI UNITI ED EUROPA"
" La preoccupazione generale è che il G7 a presidenza italiana – o meglio il suo momento culminante, il vertice dei Grandi a Taormina fra un paio di settimane – finisca per essere poco più di una photo-opportunity. La mia tesi è diversa: il G7 ha senso proprio in fasi come queste, segnate da una distanza notevole fra Stati Uniti ed Europa su temi cruciali, dal commercio alla questione ambientale" ad affermarlo è Marta Dassu' vice Presidente Aspenia, il think thank italo/americano che tiene sotto osservazione gli avvenimenti politici al di la' ed al di qua del Pacifico. "Per anni, spiega l'ex Sottosegretario agli Esteri, il G7 è stato caratterizzato da una sorta di liturgia burocratica: gli sherpa (ossia i rappresentanti dei capi di Stato e di governo) negoziavano in anticipo un lungo e noioso comunicato finale, con dentro alcune cose importanti (per esempio nuovi impegni sulla sicurezza alimentare) ma anche moltissime cose inutili. Che poi i “leader” avallavano. Per essere brutalmente sinceri, le contestazioni al vertice dei Grandi erano quasi diventate più rilevanti del vertice vero e proprio. Negli anni della crisi finanziaria, poi, il G7 è stato di fatto esautorato dal G20 come sede di discussione delle grandi questioni economiche: visto il peso comparativo ormai raggiunto dalla Cina o dall’India, la tesi diffusa era che un foro limitato ai paesi industrializzati del secolo scorso non avesse più molto senso, specie dopo una crisi originata proprio dai mercati finanziari occidentali. Parallelamente era nato il G8, con l’aggiunta della Russia alle discussioni politiche e di sicurezza; un tentativo di inclusione fortemente caldeggiato da Italia e Germania ma durato ben poco, ossia fino alla crisi ucraina. In compenso, assieme al G20 si cominciò a parlare di un G2 potenziale fra Stati Uniti e Cina, sostenendo che a tenere in mano le sorti del mondo sarebbero state la vecchia e la nuova superpotenza, non certo l’Europa in declino. E oggi c’è chi sostiene autorevolmente che nascerà, sulle ceneri dei Gx del passato, il G3 del futuro: fra Washington, Mosca e Pechino. Un momento. Se la gestione di questo pianeta scassato è ormai chiaramente a geometria variabile, il G7 è tornato ad essere utile. Se il G7 non esistesse, qualcuno certamente lo proporrebbe – come fece il presidente francese Valéry Giscard d’Estaing nel 1975, dopo l’annuncio di Nixon sulla fine della convertibilità del dollaro in oro e dopo il primo shock petrolifero. Il vecchio/nuovo G7 sarà tanto più utile recuperando proprio lo spirito originario dell’idea di Giscard: una discussione informale e aperta, un confronto duro ma onesto, piuttosto che un processo pre-cucinato e diventato negli anni sempre più strutturato, per non dire burocratizzato. Conta, naturalmente, la lista dei partecipanti. Sarà la prima occasione di capire cosa pensi davvero Donald Trump sulla gestione dell’economia internazionale. Come candidato, Trump ha detto in vari modi che l’America non intende più funzionare quale garante del vecchio ordine “liberale”. Come presidente, dovrà definire i limiti concreti della sua concezione America-first (nazionalista, non isolazionista), incluso su temi centrali per le economie occidentali come le politiche monetarie. Al tavolo di Taormina sarà seduta per la prima volta Theresa May, leader di una Gran Bretagna mezza-fuori dall’Ue, dopo esservi stata mezza-dentro per parecchi decenni. Nell’era di Brexit, il foro G7 è diventato quasi più importante per Londra che per gli altri europei. Sarà interessante vedere fino a che punto e su quali dossier May deciderà di appoggiare Trump. Difficile che accada su clima e protezionismo. Farà il suo esordio al G7 anche Emmanuel Macron, impegnato nei difficili compromessi per guadagnarsi una maggioranza parlamentare alle elezioni di giugno. A Taormina si avranno primi segnali sul peso potenziale del rapporto fra la nuova Francia e la vecchia Germania di Angela Merkel. L’Europa non ha affatto vissuto il temuto collasso e l’economia sta crescendo; ma una sua riforma interna (della zona euro) resta la condizione per un aumento di influenza esterna. È probabile, infine, che Canada e Giappone mettano alla prova i loro allineamenti: il giovane Justin Trudeau con l’Europa continentale, Shinzo Abe con Washington. In una costellazione del genere, esercitare la presidenza del G7 non significa forzare un consenso al ribasso; significa avere qualche idea nuova (l’Italia ha messo al centro il rapporto donne/crescita, ad esempio) e soprattutto rendere possibile un chiarimento delle posizioni a confronto. Il ruolo di Paolo Gentiloni non andrà insomma misurato sulla lunghezza del comunicato finale: sarà breve comunque. E non andrà valutato su intese impossibili: Donald Trump ha già dichiarato che annuncerà le sue decisioni sull’Accordo di Parigi relativo al clima dopo Taormina. Conterà solo la discussione; quanto più sarà dura, tanto più sarà utile. Il tema che l’Italia ha scelto per il Vertice – come ricostruire la fiducia verso i governi e fra i governi – riassume il problema essenziale di oggi, la crisi politica e sociale che attraversa, spaccandole, gran parte delle democrazie occidentali. Gli Stati Uniti di Trump e l’Europa continentale vi stanno dando risposte diverse; l’Atlantico sembra sempre più largo. È essenziale che i leader del G7 affrontino apertamente queste differenze, per poi tentare di superarle: una base di accordo fra Stati Uniti ed Europa resta indispensabile, anche se non è più sufficiente, per gestire gran parte dei problemi globali. Litigare fa bene al G7? Sarà un paradosso ma credo proprio che sia così. "(18/05/2017-ITL/ITNET)