Torniamo sulla ricorrenza del 15 maggio dedicata allo statuto dell’autonomia siciliana, sulla quale abbiamo già pubblicato una riflessione dello storico Pasquale Hamel. Oggi per diritto di cronaca, vogliamo qui di seguito riportare la riflessione sull’argomento di un filo separatista, che vede lo statuto da un’ottica diversa e che richiama gli sforzi fatti in materia di indipendenza della Sicilia, da personalità come Canepa, Finocchiaro Aprile ed altri, che nel nome dell’indipendenza hanno anche sacrificato la loro vita.(Salvatore Augello)
15 mag 2017 - 18:58 PALERMO - 70° genetliaco della nascita dello Statuto Siciliano, una ricorrenza che non viene neanche la voglia di festeggiare, visto che lo strumento costituzionale dell’Isola è abortito sul nascere, o, per meglio dire, non ha avuto una vita facile e mai applicato pienamente, come avevano previsto e come avrebbero voluto i padri siciliani della Costituente che hanno sacrificato la loro vita, per parecchi anni in carcere, e lottando prima per una Sicilia indipendente e poi forzatamente autonoma; e parliamo chiaramente di Andrea Finocchiaro Aprile, Antonio Varvaro, Attilio Castrogiovanni, Concetto Gallo e tanti altri. Festeggiare oggi La Sicilia autonoma e dei siciliani, significherebbe anche far rivoltare nella tomba oltre ai nostri martiri, come Antonio Canépa, Carmelo Rosano, Rosario Lo Giudice e tanti altri, più i 19 morti a Palermo, e lord William Bentinck che, dal 1811 al 1814, fece ristabilire il diritto ai siciliani della loro Costituzione di allora e disse allo straniero regnante: “Occorre che la Sicilia sia Siciliana!”. Ma cosa ha prodotto la Regione siciliana dalla propria nascita ad oggi? Che riflessioni si possono fare? Di positivo c’è ben poco e per giunta deleterio come l’assistenzialismo e poi… una voragine ai piedi come: scandali politici; collusione mafiose con le Istituzioni a lunga durata; sfruttamento del territorio a piene mani e a danno del nostro habitat, tanto da non riuscire a fare quadrare i conti; alle montagne di rifiuti nostrani (che non riusciamo nemmeno a smaltire) dobbiamo aggiungere quelli altamente pericolosi che ci arrivano da fuori; lo sfruttamento delle nostre risorse petrolifere senza il benché minimo beneficio per i siciliani, la mala gestione delle acque pubbliche; gli scandali negli appalti pubblici tali che più del 50 per cento della rete autostradale e stradale, nonché di ospedali ed altro, risulta costruita con cemento depotenziato, la mala gestio di beni confiscati alla mafia, per miliardi di euro con la Saguto e company; le esose tasse che ci impone il governo italiano e che condizionano lo sviluppo economico; le imprese nostrane e straniere preferiscono investire in paesi come l’Albania, Tunisia, Marocco e così via; l’aumento delle spese folli dei “Novanta” dell’Ars, che vanno a sperperare centinaia di milioni di euro, nonostante i richiami della Corte dei Conti, prendendo moralmente a schiaffi in faccia i 500 mila disoccupati attuali e le centinaia di migliaia di famiglie che non hanno di che campare; i partiti politici che oggi non si possono esprimere ufficialmente a sostenere la candidatura del sindaco Orlando, per paura di essere presi a pernacchie. Adesso finiamola qui per evitare che ci si rivolti lo stomaco e pensiamo a ciò che potrebbe risolvere i problemi dei siciliani una volta per tutte. Oggi, il rapporto della Banca d’Italia lancia dati sul deficit pubblico, allarmanti e disarmanti, dichiarando che è arrivato alle stelle: Il debito pubblico italiano è arrivato 2 mila duecentosessantatre miliardi di euro; una cifra colossale ed in contrasto con la ripresa economica tanto decantata dal ministro Padoan; addirittura la Banca d’Italia aspetta che Draghi della Bce dia nuovi indirizzi nella sua prossima “uscita”. A questo punto ci viene spontaneo porci una domanda: “Ma se l’Italia si trova in queste condizioni e non riesce a cavare un ragno dal buco nel rimettere in sesto i propri conti, non sarebbe meglio che mettesse in vendita direttamente l’Isola?”. E credeteci sulla parola non sarebbe la prima volta, negli ultimi tre secoli, l’intero meridione è stato venduto, dagli spagnoli all’Impero austroungarico e viceversa: per volontà degli inglesi e contro il volere dei francesi e dello Stato pontificio ai piemontesi, finanziando la venuta di Garibaldi; e i siciliani, per volontà di un nascente regno italiano, ottenuto con il sacrifico forzato di decine di migliaia di vittime siciliane e con Cavour, hanno persino dovuto erigere statue e lapidi al “poi esiliato a Caprera”, come la stele di Catania in via Etnea, di fronte alla villa Bellini, nella quale è stato riportato: “In Catania trovammo vulcano di patriottismo, uomini, danaro e vesti per la nuda mia gente” firmato Garibaldi. La suddetta frase provoca in chi la legge un certo sgomento come: “E si futtèru tutti cosi!”. E c’è di vero che lo scempio dei piemontesi in Sicilia fu incalcolabile, pur accompagnato dalla violenza morale imposta agli studenti di ogni ordine e grado, costretti a studiare la storia italiana ufficiale, tutta diversa da quella vera. Porre in vendita l’Isola, non sarebbe male, immaginate possibili acquirenti come la Cina oppure la Germania, I cinesi in Sicilia hanno avviato un buon investimento economico e commerciale dei propri prodotti, ci sono presenze commerciali ragguardevoli, quartieri commerciali da fare invidia alle attività nostrane del settore di un tempo e si sono integrati magnificamente con l’alto grado di ospitalita degli stessi siciliani. E di sicuro avremmo garantita una sicurezza maggiore rispetto a quella che ci fornisce il governo italiano, specie nel momento attuale, con l’afflusso dei migranti che arriva dall’Africa e con il business della mafia in relazione alla gestione dei centri di accoglienza. Oppure la Germania? Anche questo acquirente non sarebbe male, visto che in Europa comanda Angela Merkel e di conseguenza la Sicilia avrebbe la possibilità di crescere, una volta per tutte, economicamente. Gli italiani non avrebbero di che preoccuparsi perché il Presidente Mattarella lo lasceremmo a loro tranquillamente, come Alfano e Crocetta e tutti i politici siciliani che vogliono rimanere italiani. Tranquilli! Nessuna remora. Giuseppe Firrincieli