Valentino Parlato sarà commemorato oggi degnamente al Campidoglio. E con grande rispetto e affetto di lui, della sua storia, della sua personalità e del carattere del suo impegno hanno scritto in molti non solo sul Manifesto, giornale da lui fondato e per lunghi periodi diretto, ma anche sulla grande stampa ufficiale dal Corriere della sera a Repubblica. Molti hanno rievocato la sua vicenda di vita dalla espulsione dalla Libia di Re Idris per volontà degli inglesi perché comunista. Lui che, figlio di funzionario nell’amministrazione della colonia di origine siciliana, in Libia era nato e cresciuto ed aveva compiuto le sue prime esperienze politiche. E alle vicende della Libia egli è rimasto sempre interessato in modo competente e spesso controcorrente. La sua formazione iniziale in Libia e l’aver trascorso quasi tutta la sua vita dall’arrivo in Italia a Roma non ne hanno mai cancellato i tratti culturali siciliani, soprattutto quelli migliori in particolare la squisita cortesia per altro sottolineata da molti politici e intellettuali che l’hanno conosciuto. E’ difficile dire quanto questa ‘sicilianità’ di Valentino Parlato abbia contato nel suo perenne interesse per i problemi economici e sociali del Mezzogiorno. Ma il senso della questione meridionale come questione nazionale è stato uno dei capisaldi della sua visone politica. Naturalmente Valentino era innanzitutto un comunista, senza se e senza ma. Certamente mai del tutto allineato e con una forte originalità di pensiero. Il suo definirsi auto-ironicamente a volte “amendoliano di sinistra” (una sorta di ossimoro per chi ancora ricorda la forte contrapposizione tra Amendola, la destra, e Ingrao, la sinistra) aveva una sua logica legata alla sua tradizione culturale di riferimento e alla sua conoscenza della realtà socio-economica del Mezzogiorno e dei compagni che vi lavoravano influenzati da Amendola affrontando i temi della economia e della società del Mezzogiorno, dall’intervento pubblico ai colossali cambiamenti sociali a cominciare dall’emigrazione Valentino si è occupato di molte cose sia nella organizzazione politica del Manifesto che nel giornale. Ma in alcuni ambiti il suo ruolo è stato al contempo indispensabile e specifico. Sicuramente Parlato è stato un importante analista della società e della economia italiana. Ed è giusta e convincente l’affermazione di Rossana Rossanda che lo definisce “un economista nutrito di Settecento” sottolineando l’apertura e la solidità della sua formazione. Valentino non era solo l’economista del Manifesto, ma anche la persona capace di far interloquire il Manifesto con i grandi economisti, non solo di sinistra Ma soprattutto è stato uno degli studiosi del Mezzogiorno più competenti. E la ‘Questione Meridionale’ è stata una tematica che lo ha visto impegnato a partire dai primi anni successivi all’arrivo in Italia con la collaborazione a riviste del (o vicine al) Partito Comunista come Cronache Meridionali, una rivista che il Partito promuoveva a Napoli, ricca di inchieste sui contadini, i braccianti e il popolo meridionale in generale. Il popolo, appunto: parola che ora ci fa drizzare i capelli in testa ma che all’epoca intendeva sottolineare la possibile unità e gli interessi comuni di strati sociali frammentati in un’ottica gramsciana. Non a caso ancora in anni lontani Valentino – insieme a Franco De Felice – curava e introduceva per gli Editori Riuniti il Gramsci della Questione meridionale. Ma nell’approccio di Valentino al Mezzogiorno, sempre attento ed aggiornato, c’era qualcosa di più: c’era l’adesione ai valori e allo stile della intera tradizione meridionalista: quella basata al contempo su di una analisi concreta della realtà economica e sociale del Mezzogiorno e su di una forma di indignazione per lo stato di cose esistenti. Non erano solo i temi gramsciani a interessarlo ma molti spunti della tradizione meridionalista, dall’anti-protezionismo e anti-colonialismo di Napoleone Colaianni alle esigenze democratica e partecipativa espressa dall’autonomismo di Cattaneo. Tematiche, insomma di una cultura antica, che Valentino ha posseduto e ha cercato di non far disperdere, argomenti ‘inattuali’ che hanno continuato a interessarlo sempre. In questo come in altro il suo rapporto con gli interlocutori esprimeva sempre una curiosità benevola e senza pregiudizi. Uno dei suoi contributi principali è stato appunto quello di portare queste tematiche nella cultura del Manifesto e della nuova sinistra. Devo dire anche con successo. E ora che il Mezzogiorno vive una crisi terribile dal punto di vista economico e occupazionale – ma anche culturale – ci si può rendere conto di quali danni abbia determinato la disattenzione per la questione del Mezzogiorno nella politica e nella società italiana. Perciò vale la pena anche di riandare a quei lavori di scavo e di denuncia come “industrializzazione e sottosviluppo” scritto insieme a Santo Mazzarino e Eugenio Peggio che analizzava le carenze e le deviazioni dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno e che rese celebre l’immagine delle “cattedrali nel deserto”. Ma anche ai suoi scritti più recenti. Per questa sua competenza alcuni anni addietro venne anche invitato dall’Università di Napoli (Federico II) a tenere come ‘Professore a contratto’ un corso su ‘La questione meridionale’. stimolando grande interesse tra gli studenti. Per concludere vorrei specificare che qui mi sono soffermato su di alcune delle dimensioni della figura culturale e politica di Valentino Parlato, ancorché centrali. Non ho sottolineato infatti alcune capacità fondamentali quale quella di aver saputo guidare la nave del Manifesto, spesso in acque procellose, grazie a una sua particolare capacità di mediazione consistente nel tener conto del punto di vista e delle esigenze dell’interlocutore. E questo, insieme alla sua naturale cortesia, lo ha fatto anche apprezzare – lui comunista senza se e senza ma – da molte personalità di rilievo di altro orientamento politico. (Enrico Pugliese)