di Andrij Movčan 21 febbraio 2023 Anno 1991, Leningrado. Ufficio personale del vicesindaco della città. Il corrispondente di un canale televisivo cittadino intervista un giovane funzionario della squadra di Anatolj Sobčak. Sullo schermo compare un uomo dal viso infantile in camicia bianca.

Alle sue spalle si vedono le tapparelle, una TV, una lampada da tavolo, un telefono, cartelle aperte con documenti. Il tipico ambiente di un ufficio sovietico. Però manca qualcosa. La voce fuori campo del giornalista riferisce che ieri ha visto un busto di Lenin in questo ufficio, ma oggi non c’è più. Cos’è successo? «Difficile dire cos’è successo. Perché dev’essere stato portato via da uno dei miei assistenti, — risponde il funzionario. — Se le interessa la mia opinione su quest’uomo, sulla dottrina che rappresentava, allora direi […] che tutto era solo una bella favola nociva. Nociva, perché la sua attuazione, o il tentativo di attuarla, nel nostro Paese ha causato danni enormi. A questo proposito, vorrei parlare della tragedia che stiamo vivendo oggi. Vale a dire, la tragedia del collasso del nostro stato. Non si può chiamarla in altro modo, se non tragedia. Penso che siano stati gli autori dell’ottobre 1917 a piazzare una bomba a orologeria sotto l’edificio di uno stato unitario, che si chiamava Russia. Cosa hanno fatto? Hanno diviso la nostra patria in feudi separati, che prima non apparivano affatto sulla carta geografica, hanno dotato questi feudi di governi e parlamenti, e ora abbiamo quello che abbiamo […] È in gran parte colpa di quelle persone, che lo volessero oppure no». Il funzionario dell’ufficio del sindaco di San Pietroburgo che attaccava l’eredità della rivoluzione e la persona di Lenin con critiche così devastanti era il 39enne Vladimir Putin. In seguito, avendo già assunto la carica di Presidente della Federazione Russa, avrebbe ripetuto più volte nelle sue interviste e nei suoi discorsi l’idea che il crollo dell’Unione Sovietica sia stata “la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo”, e che i colpevoli di questa catastrofe siano stati degli avventurieri rivoluzionari che sognavano di realizzare i loro progetti utopici a qualsiasi prezzo, o meglio, al prezzo dello smantellamento della preesistente statualità russa. Putin ha ripetuto lo stesso concetto nel suo discorso programmatico del 21 febbraio 2022, in cui sono stati proclamati i fondamenti ideologici dell’invasione dell’Ucraina iniziata tre giorni dopo. «Dunque, inizierò con il fatto che l’Ucraina moderna è stata interamente creata dalla Russia, e più precisamente dalla Russia bolscevica e comunista. Questo processo iniziò quasi immediatamente dopo la rivoluzione del 1917, e Lenin e la sua banda lo realizzarono in modo molto rude nei confronti della Russia stessa, strappando e separando dal paese parte dei suoi territori storici».

«I bolscevichi sacrificano la Russia all’Internazionale» — caricatura bianca (monarchica), 1918-1919

Perché è stato scelto il 1917 come punto di partenza di questa escursione storica? Perché non il lontano passato o, al contrario, alcuni eventi più vicini al presente? La rivoluzione è stata un punto di svolta che, secondo Putin, ha determinato le sfide che la Russia deve affrontare in questo momento. E Putin stesso si sente in qualche modo predestinato ad affrontarle. Ma cosa ha significato la rivoluzione? Putin in seguito approfondisce questo argomento. La rivoluzione ha infranto un dato millenario ordine incrollabile delle cose: l’Impero russo «unito e indivisibile». Ha abolito improvvisamente le secolari conquiste territoriali dell’impero, dando ai popoli conquistati il diritto all’autodeterminazione. Ecco il suo principale «peccato». «…Le idee di Lenin di un sistema statale confederale e la parola d’ordine sul diritto delle nazioni all’autodeterminazione fino alla secessione, sono state, infatti, la base della statualità sovietica, — dice Vladimir Putin. — … Molte domande sorgono immediatamente qui. E la prima, anzi la principale, è questa: era proprio necessario soddisfare le ambizioni nazionaliste illimitate che si andavano diffondendo alla periferia dell’ex impero? […] e ancora, dare persino alle repubbliche il diritto di separarsi dallo stato unitario senza alcuna condizione?» Sembra che Putin non capisca, o finga di non capire, che il problema più acuto delle oppresse “periferie nazionali” dell’Impero russo è stato uno dei fattori trainanti di tutte e tre le rivoluzioni del primo Novecento. L’ordine della Russia imperiale era diventato obsoleto e le modifiche necessarie non potevano aggirare la questione nazionale, che richiedeva anch’essa una soluzione. Le contraddizioni che si erano accumulate nel 1917 non sollevavano affatto la questione di come e perché preservare lo stato «unito e indivisibile», ma sul fatto che l’impero si dovesse dividere in un certo numero di stati-nazione o dovesse pensare condizioni di convivenza tra le nazioni fondamentalmente nuove e molto più paritarie.

«Abbasso l’aquila!», dipinto di Ivan Vladimirov, 1917

I rivoluzionari di quei tempi credevano sinceramente nella possibilità di un nuovo mondo senza oppressione, ed anche senza oppressione imperiale da parte di alcuni popoli sugli altri, e con la loro lotta cercavano di avvicinare questo mondo. Per Putin invece il riconoscimento della soggettività dei popoli dell’ex impero rappresentava lo sperpero di territori conquistati in seguito a secoli di guerre di aggressione. Per i rivoluzionari si trattava di qualcosa di completamente opposto: la risoluzione delle urgenti contraddizioni nate in seguito a quelle stesse conquiste. La liberazione dei popoli dall’oppressione imperiale era per i rivoluzionari l’incarnazione delle loro idee e convinzioni su una nuova società libera dai resti del passato. «…I principi di costruzione dello stato di Lenin si sono rivelati non solo un errore, ma, si può dire, molto peggio di un errore. Dopo il crollo dell’URSS nel 1991, questo è diventato assolutamente evidente, — dice Putin, — … come risultato della politica bolscevica, è nata l’Ucraina sovietica, che ancora oggi può essere giustamente chiamata “Ucraina firmata Vladimir Il’ič Lenin”. Ne è stato l’autore e l’architetto». Ovviamente Lenin non ha creato l’Ucraina. L’Ucraina, i suoi movimenti politici e di massa a quel tempo erano già diventati un fattore reale non solo nella politica russa ma anche internazionale. Riconoscendo all’Ucraina la sua soggettività e il diritto all’autodeterminazione, Lenin ha riconosciuto solo lo stato di cose effettivo, che era già impossibile ignorare. E Putin non può perdonare questo al leader dei bolscevichi. Senza il riconoscimento della soggettività ucraina e il diritto all’autodeterminazione, difficilmente sarebbe stato possibile ricomporre i territori dell’ex impero in un’unica entità statale. Lenin lo capiva molto chiaramente. È significativo che nella sua bozza di un nuovo stato la stessa parola “Russia” non fosse nemmeno presente: la nuova associazione era chiamata unione delle repubbliche, dove alla repubblica russa era stato effettivamente assegnato lo stesso posto degli altri membri dell’unione. Niente doveva ricordare il passato imperiale. Senza concedere all’Ucraina ampi diritti nazionali, sarebbe stato possibile mantenerla in una sorta di «Grande Russia», che Putin sogna retrospettivamente, solo con la forza bruta. E sarebbe poi stato veramente possibile?

«La Russia zarista come prigione dei popoli. Le aspirazioni predatorie dell’imperialismo zarista», carta proveniente dai materiali dell’Istituto Izostat: « Album di diagrammi, carte, cartogrammi e schemi per l’insegnamento di Lenin sull’imperialismo». Izogiz, 1936

È interessante notare che nel suo discorso del 21 febbraio Putin attacca in modo più aggressivo proprio i primi anni del potere sovietico, quando le idee rivoluzionarie erano fresche, le persone erano piene di entusiasmo e la politica, come mai prima o dopo, era guidata da principi e ideali, e non da cinico calcolo. Allo stesso tempo, Putin accoglie in ogni modo possibile l’allontanamento dai principi proclamati dalla rivoluzione ai tempi di Stalin come un ritorno a un certo «ordine naturale delle cose»: «…la vita stessa ha subito dimostrato che preservare un territorio così vasto e complesso, o gestirlo secondo i principi proposti, amorfi, appunto confederali, era semplicemente impossibile. […] [Gli eventi successivi hanno trasformato] in una semplice dichiarazione, in una formalità, i principi dichiarati, ma non funzionanti, della struttura statale. In realtà le repubbliche dell’Unione non possedevano alcun diritto sovrano, semplicemente questi non esistevano. Nella pratica è stato creato uno stato rigorosamente centralizzato, assolutamente unitario». Successivamente alle idee rivoluzionarie dell’uguaglianza tra le nazioni, Putin vede un ritorno alla buona vecchia Russia «una e indivisibile», e ovviamente questo gli piace. Ma un ritorno completo non era ormai più possibile. La «peste rivoluzionaria» era stata posta da Lenin alle fondamenta stesse della nuova statualità.

«Ed è un peccato, è un peccato che dalle basi fondamentali, formalmente legali su cui è stata costruita la nostra intera statualità, non siano state eliminate in tempo le fantasie odiose e utopiche ispirate dalla rivoluzione, assolutamente distruttive per qualsiasi paese normale».

Raccolta di articoli di Vladimir Lenin sulla questione nazionale. Politizdat, 1969

È difficile capire cosa sia per Putin un «qualsiasi paese normale». Se si parla di imperi coloniali basati su sanguinose conquiste e sottomissione di altri popoli, allora tali stati difficilmente possono essere definiti normali o addirittura in grado di continuare a funzionare nelle attuali condizioni storiche. La prima guerra mondiale pose fine a quattro grandi imperi: quello ottomano, quello austro-ungarico, quello tedesco e quello russo. Dopo la seconda guerra mondiale, tutti quelli che erano sopravvissuti cessarono di esistere (gli imperi britannico, francese, portoghese, belga, olandese e giapponese). No, l’imperialismo in senso leninista non è scomparso: la sua forma coloniale-imperiale è stata sostituita da forme più sofisticate di influenza e controllo non territoriali. L’unico stato gigantesco che ha ereditato quasi tutte le conquiste territoriali del precedente impero è stata l’Unione Sovietica con il suo famoso ⅙ della superficie terrestre. Ma la possibilità di ricomporre e mantenere questa unità statale per altri 70 anni non è avvenuta grazie alla concezione imperiale, bensì, al contrario, grazie al suo rifiuto. L’idea di un’unione di repubbliche socialiste consisteva proprio nel fatto che i lavoratori di popoli diversi si unissero volontariamente in tale alleanza per raggiungere insieme obiettivi comuni: costruire una nuova società senza sfruttamento e oppressione. Inoltre, il modello pensato da Lenin presupponeva la possibilità di espandere questa unione. Secondo la sua idea, le nuove repubbliche dove la rivoluzione avesse vinto, avrebbero potuto aderire all’unione, e la Russia storica non avrebbe dovuto necessariamente rimanere il perno dell’unione. La stessa Germania avrebbe potuto diventarne il centro, se vi avesse trionfato la rivoluzione proletaria. Come risultato, Lenin aspirava ad un’unione di repubbliche su scala mondiale.

Russia – URSS – URSS Mondiale: raccolta. Autori: soldati dell’Armata Rossa e lavoratori stranieri; Profizdat, 1932

Inoltre, la creazione dell’URSS nel formato del 1922 non era inclusa nei piani originali dei bolscevichi. La sua fondazione è stata il risultato del fallimento delle aspettative iniziali, ovvero la rivoluzione mondiale. Il fatto che la rivoluzione proletaria sia stata sconfitta in Europa e abbia avuto successo solo sul territorio dell’ex impero russo è la principale tragedia del progetto socialista del XX secolo. Infatti, insieme al territorio dell’ex impero, l’URSS ha ereditato molte contraddizioni e problemi di difficile soluzione insiti nel progetto politico statuale attivo precedentemente su queste terre. La realizzazione del progetto socialista entro i confini dell’ex impero russo naturalmente, sebbene non inevitabilmente, portò al fatto che sia all’interno che all’esterno l’URSS cominciasse a essere percepita come una sorta di erede e continuazione dello stato russo. La conseguenza di ciò fu il ripetersi delle contraddizioni nazionali: ad un certo punto il governo centrale iniziò a percepire il rafforzamento delle culture nazionali e l’indipendenza delle repubbliche come una minaccia all’unità del progetto, e invece la cultura russa e la continuità statale come una sorta di solide fondamenta. Queste tendenze si sarebbero verificate se i confini dello Stato socialista avessero preso forma in altre configurazioni e non fossero stati simili a quelli della preesistente Russia imperiale? Probabilmente sarebbe stata una storia completamente diversa. Ma nel caso dell’URSS, è accaduto che diverse generazioni di persone sia in patria che all’estero sono cresciute con la convinzione che «Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche» e «Russia» fossero praticamente sinonimi. Putin è uno di questi. «Dopotutto, cos’è stato il crollo dell’Unione Sovietica? È stato il crollo della Russia storica, definita come Unione Sovietica» — ha dichiarato Vladimir Putin nel documentario «Russia. Storia recente» nel dicembre 2021. Forse l’unico aspetto positivo che Putin vede nel progetto sovietico è che si è realizzato nei confini dell’ex impero russo e col tempo, allontanandosi dai principi «utopistici» originali, ha acquisito nuovamente alcune delle caratteristiche preesistenti, diventando l’erede della statualità russa. In altre parole, egli esalta proprio i tratti più reazionari acquisiti dall’URSS nel corso della sua complessa formazione. E critica proprio le idee su cui si basava l’unione: uguaglianza e fratellanza tra tutti i popoli, genuino internazionalismo, odio per l’autocrazia e il potere aristocratico, odio per le guerre di conquista e di predazione, un autentico spirito democratico che avrebbe dato accesso alla politica a masse di milioni di persone. È interessante notare che la vittoria dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista, nelle interpretazioni su cui è costruito il moderno mito nazionale russo, non sia per Putin una vittoria delle idee di umanesimo ed egualitarismo sulle idee di radicale anti egualitarismo ed anti umanesimo, non sia una vittoria della vittima dell’aggressione sull’aggressore. Nell’attuale mitologia dello stato, questa è la vittoria della «Russia storica» sulla Germania, sull’Europa, sull’Occidente. Un trionfo della statualità russa e l’espansione dei suoi confini. Proprio come la rivoluzione e l’uscita dalla prima guerra mondiale non rappresentano il rifiuto di partecipare al massacro imperialista, ma una vergognosa capitolazione della «Russia storica», un infido coltello nella schiena dello Stato da parte di fanatici utopisti. Un attentato contro lo stato russo, e la sua quasi distruzione.

«I bolscevichi durante la prima guerra mondiale volevano la sconfitta per la loro patria, e quando gli eroici soldati e ufficiali russi versavano sangue sui fronti della prima guerra mondiale, qualcuno scuoteva la Russia dall’interno e si arrivò al punto che la Russia come stato crollò e si dichiarò sconfitta da uno stato sconfitto [la Germania]. Sciocchezze, assurdità, ma intanto è successo, questo è stato un completo tradimento degli interessi nazionali! Ancora oggi tra noi ci sono persone del genere.», — ha detto Putin nell’agosto 2016 al campo giovanile di Seliger.

«La patria è in pericolo. Il sangue che abbiamo versato richiede la guerra per la vittoria. Compagni soldati, subito in trincea. Restituiamo Lenin a Guglielmo» — slogan di una manifestazione antibolscevica a Pietrogrado, aprile 1917 Da queste citazioni, non è difficile indovinare quanto sinceramente Putin incolpi per i guai della Russia la «maledizione della rivoluzione». Se nell’Ucraina contemporanea il progetto sovietico è accusato di portare «troppa Russia», al contrario Putin del progetto sovietico apprezza proprio questo [se non solo questo]. Se in Ucraina si dice che Lenin non ha dato agli ucraini una vera autodeterminazione, Putin lo accusa del contrario: di aver dato troppa libertà all’Ucraina. Torniamo alla domanda che abbiamo posto all’inizio. Perché il discorso programmatico del presidente russo prima dell’invasione è diventato una vera e propria diffamazione della rivoluzione? Perché è proprio nella rivoluzione che egli vede la vera radice delle disavventure della Russia. Ma ormai non si limita più ad accusare Lenin di aver tradito la Russia e di crimini contro l’integrità imperiale del paese. Putin ha deciso che è arrivato il momento di correggere il «peggio degli errori» di Lenin e di revocare il diritto all’autodeterminazione degli ucraini: questa è l’eredità «tre volte maledetta» della rivoluzione. «Volete la decomunizzazione? Beh, per noi va benissimo. Ma non è necessario, come si suol dire, fermarsi a metà. Siamo pronti a mostrarvi cosa significa la vera decomunizzazione per l’Ucraina» Il 24 febbraio, i carri armati russi sono entrati nel territorio dell’Ucraina per privare il suo popolo della statualità, uno dei risultati più importanti delle rivoluzioni dell’inizio del secolo scorso. Traduzione dal russo di Marco Ferrentino

FONTE: https://september.media/ru/articles/antirevolution-ru