USA: AFROAMERICANI ANCORA IN PIAZZA E TRUMP SOFFIA SUL FUOCO...

Di Gioia Salvatori "Dobbiamo vedere cosa accadrà". Così il presidente americano Donald Trump ha risposto a chi gli chiedeva se sia pronto a garantire una transizione pacifica dopo le elezioni del 3 novembre.

Una frase che arriva dopo le reiterate minacce di non riconoscere il voto per posta, generalmente favorevole ai democratici; una frase che, come titola il Washington Post, fa temere una "crisi costituzionale" con le autorità "preposte all'applicazione della legge a livello nazionale che si preparano a uno scontro senza precedenti". USA: SECONDA NOTTE DI PROTESTE Parole che infuocano un clima già bollente dopo la mancata incriminazione per omicidio del poliziotto che ha ucciso l'afroamericana Breonna Taylor a marzo. Dopo una notte di proteste e scontri mercoledì in tutto il Paese, questo giovedì seconda notte in strada per migliaia di afroamericani. Centinaia di persone sono scese in piazza a Louisville in Kentucky, città della contestata sentenza, nonostante il coprifuoco dalle 9 e per tutta la notte, fino a fine settimana; 24 gli arresti. Qualcuno è sceso in piazza armato: "Non possiamo più continuare a essere pacifici", ha detto all'AFP Michael Pyles, 29 anni, pistola alla cintura, "Siamo qui per proteggere la nostra gente (i neri) e coloro che ci supportano perché siamo sotto attacco". Dimostrazioni si sono tenute anche a New York, Baltimore, Philadelphia, St. Louis. Teodori: "Per l'esito elettorale sarà cruciale il livello di scontro razziale” Le elezioni si avvicinano in questo scenario: la questione razziale, l'affluenza dei neri alle urne, saranno fattori dirimenti per l'esito elettorale. Ne abbiamo parlato con Massimo Teodori, storico americanista, già docente universitario di storia degli Stati Uniti. Teodori gli afroamericani sembrano sempre più soli: i democratici sono molto moderati nella difesa delle loro ragioni e Trump usa lo scontro razziale per recuperare voti… “Io ritengo che la strategia dei democratici sia giusta perché Trump vuole il conflitto: più c’è conflitto e più Trump, a ragione, pensa di portare l’elettorato dalla sua parte. Se c’è un atteggiamento moderato da parte democratica è, a mio avviso, un atteggiamento lungimirante. Tutto quello che Trump può guadagnare dipende dal grado di violenza che esploderà nelle città americane”. Più c’è violenza più Trump acquista consenso? “Credo di sì” Siamo in un cul de sac: una situazione di tensione estrema di cui tutti vedono i rischi ma che nessuno vuole o può risolvere? “Fino alle elezioni del 3 novembre una soluzione non c’è. Trump plaude ai comportamenti illegittimi e violenti delle polizie perché questo piace agli americani soprattutto di certe zone dell’ovest e del sud, fino al 3 novembre Trump cercherà di fomentare lo scontro. L’unica via per uscirne sarebbe quella, da parte dei democratici, di resuscitare un movimento non violento come quello dei diritti civili di Martin Luther King. Però mi pare che oggi non ci sia nessun leader nero capace di tenere in pugno, di domare la giusta rabbia dei neri di fronte alla polizia e alle giurie dei tribunali, come da ultimo quello del Kentucky, che emettono sentenze che gridano vendetta. L’unica via per uscirne sarebbe quella, da parte dei democratici, di resuscitare un movimento non violento come quello dei diritti civili di Martin Luther King, però non vedo leader Massimo Teodori Storico americanista La situazione è tanto più pericolosa dato che Trump ripete che non accetterà la vittoria democratica ma si appellerà alla Corte suprema; questa è schierata già oggi coi conservatori e Trump riuscirà a far passare anche il nono giudice” Certo il post-elezioni non si profila facile, in qualunque caso, visto come il Paese arriva al voto. “Credo che la sera del 4 novembre non ci saranno i risultati: è possibile che il voto per posta modifichi pesantemente quello delle urne e sappiamo che il voto per posta è in gran parte a favore dei democratici, potrebbe far vincere i democratici e Trump sicuramente non lo accetterà. Ci sono tutte le premesse: Trump ha cambiato il manager generale delle poste, non le ha finanziate a sufficienza proprio per impedire il voto per posta rapido. Sul voto per corrispondenza nascerà un conflitto che non si risolverà presto. Trump d’altronde ha già dichiarato più volte che non riconoscerà questo voto”. Le tensioni razziali sono anche frutto di una delusione legata a promesse non mantenute nell’era Obama? “Penso che il conflitto tra bianchi e neri sia perenne negli Stati Uniti: è legato alla schiavitù, ha ragioni storiche, antropologiche, sociali molto radicali e non sarà mai risolto una volta per sempre; il conflitto dipende però molto dalla gestione della presidenza. Con un presidente che lo infiamma come Trump viene fuori il peggio di certi bianchi che controllano polizia e apparato giudiziario. Non bisogna dimenticare che le giurie sono elettive e figlie di un certo tipo di elettorato soprattutto nell’ovest e nel sud… Io non credo che Obama potesse fare più di quello che ha fatto perché ha avuto una parte del congresso contrario e molte delle leggi che proponeva non passavano a cominciare dalla riforma sanitaria, che Obama avrebbe voluto molto più ampia. I compromessi, poi, sono anche con la Corte suprema la quale è pronta ad annullare delle leggi che non ritiene costituzionali”. Tra pochi giorni, il 29 settembre, ci sarà il primo dibattito televisivo Trump-Biden, secondo lei sposterà molti voti? “Beh Biden è noto che non rende bene in televisione, Trump invece è molto televisivo…”. Cosa potrebbe invertire la rotta di una campagna elettorale durante la quale il vantaggio del democratico Joe Biden su Trump sembra assottigliarsi sempre di più? “Questo non è vero: negli Stati Uniti bisogna guardare l’indice, i sondaggi, degli Stati storicamente oscillanti: Pennsylvania, Michigan e Illinois e lì Biden è ancora in vantaggio di qualche punto; credo che quello che può ancora spostare il voto sia proprio l’inasprirsi del conflitto razziale, come ho già detto, più si acuisce più Trump avanza: è cruciale quello che accadrà in questi giorni rispetto allo scontro tra bianchi e neri” Sembra uno scenario distopico: sembra irreale parlare, nel 2020, dello scontro razziale come fattore determinante nelle elezioni statunitensi. “Ma è così perché Trump è il presidente dei bianchi ed è la prima volta che c’è una divisione così netta tra bianchi e non bianchi. Per i democratici sarà determinante il voto dei neri, se andranno a votare, e quello dei latinos.”