LA PARTIGIANA CHE COLLABORAVA CON GLI INGLESI

ROMA – Classe 1923 e una tempra d’acciaio. Paola Del Din, a 96 anni, mantiene ancora intatto il piglio che l’ha resa famosa nel panorama resistenziale della Seconda guerra mondiale. Medaglia d’oro al valor militare,

sorella di Renato Del Din, morto in combattimento il 25 aprile del 1944 e a sua volta medaglia d’oro, Paola – nome di battaglia “Renata” – è stata molto probabilmente l’unica partigiana italiana a eseguire un lancio di guerra con il paracadute dietro le linee nemiche. Siamo un Friuli, dove a operare sul territorio sono la brigata Osoppo, partigiani autonomi, e le brigate comuniste Garibaldi, tra cui la Natisone, che nel febbraio del 1945 si macchierà del terribile eccidio delle malghe di Porzus, ai datti proprio dell’Osoppo, di cui Paola Del Din fa parte. È proprio per ordine dei suoi comandanti della Osoppo che la giovanissima Paola (21 anni appena) compie il suo dovere di staffetta arrivando fino a Firenze per consegnare degli importanti documenti nelle mani degli inglesi, con cui l’Osoppo era in costante contatto. Un viaggio difficile non solo per la guerra che nel frattempo imperversava sulla Linea Gotica, ma anche perché, poco prima di mettersi in viaggio, Paola viene a sapere della sorte toccata a suo fratello. Una volta giunta a destinazione e consegnati i documenti, la giovane viene presa sotto l’ala delle forze speciali inglesi, lo Special Air Service, che le permettono di rientrare in Friuli dopo un corso intensivo di paracadute. Il 9 aprile del 1945 avviene il “battesimo del fuoco”: Paola viene lanciata nei cieli del Friuli e atterra vicino alle posizioni dell’Osoppo. Nella caduta, si frattura una caviglia, ma questo non le impedisce di portare a termine la missione e di arrivare alla fine della guerra ancora pienamente inquadrata nelle file partigiane. Oggi, a vederla, risulta difficile credere di trovarsi di fronte la mitica “Renata”, ma basta farla parlare e immediatamente riemergono dalle nebbie del passato ricordi certamente dolorosi, ma che il tempo permette di guardare con il necessario distacco. Per molti anni Paola non ha parlato con nessuno di quanto aveva vissuto. Solamente negli ultimi anni ha deciso di affidare alla memoria dei posteri un pezzo di storia che, altrimenti, sarebbe potuto andare perso per sempre. (focus\ aise)

ITALIANI IN SVIZZERA: QUANDO GLI IMMIGRATI ERAVAMO NOI

ROMA – È di pochi giorni fa il messaggio di Michele Schiavone, segretario del Cgie, rivolto all’Ambasciatore d’Italia a Berna, Marco Del Panta, che – terminato il suo mandato – sta tornando in Italia. “Oggi – annota Schiavone in una lettera a firma personale – la percezione dell’italianità nella terra di Calvino e di Guglielmo Tell è presente e viva, riconosciuta e ricercata e ciò va ascritto anche all’eccellente lavoro che l’ambasciatore Marco Del Panta ha svolto assieme ai suoi collaboratori. La comunità italiana in Svizzera deve molto alla sua professionalità, alla sua personalità caratterizzata dall’assidua presenza sul territorio, dentro e fuori dai luoghi delle istituzioni, e gli siamo grati per il tratto umano, la sensibilità che ha sempre e ovunque manifestato rendendola partecipe e protagonista nella società svizzera. Con gratitudine e riconoscenza a nome dei nostri connazionali lo ringrazio sentitamente”. È partendo da questo spunto che si può analizzare il rapporto tra comunità italiana e svizzera. Un rapporto non sempre facile, com’è ovvio che sia, ma improntato quasi sempre sul reciproco rispetto e collaborazione. E se adesso i risultati di questa collaborazione sono sotto gli occhi di tutti, certamente le cose erano ben diverse tra gli anni Sessanta e Settanta, quando l’emigrazione italiana nel Paese elvetico raggiunse l’apice e i nostri connazionali venivano guardati con sospetto, proprio come molti ad oggi guardano gli immigrati che sbarcano sulle nostre coste. È stato presentato ieri presso la Colonia Libera Italiana di Muttenz, e si replica oggi alle 19.30, presso quella di Neuchâtel, il libro di Nicoletta Bertolozzi “Chiamami sottovoce”. L’autrice del romanzo è nata in Svizzera, ma vive in provincia di Milano. Collabora da molti anni con Mondadori e con Sperling & Kupfer e ha scritto diversi libri per bambini e per adulti, vincendo diversi premi. È primavera, eppure la neve ricopre la cima del San Gottardo, monumento di roccia che si staglia sopra il piccolo paese di Airolo. La Maison des roses è ancora lì, circondata da una schiera di abeti secolari: sono passati molti anni, ma a Nicole basta aprire il cancello di ferro battuto della casa d’infanzia per ritrovarsi immersa nel profumo delle primule selvatiche ed essere trasportata nei ricordi di un tempo che credeva sommerso. È il 1976 e Nicole ha otto anni, un’età in bilico tra favole e realtà, in cui gli spiriti della montagna accendono lanterne per fare luce su mondi immaginari. Nicole ha un segreto. Nessuno lo sa tranne lei, ma accanto alla sua casa vive Michele, che di anni ne ha nove e in Svizzera non può stare. È un bambino proibito. Ha superato la frontiera nascosto nel bagagliaio di una Fiat 131, disegnando con la fantasia profili di montagne innevate e laghi ghiacciati. Adesso Michele vive in una soffitta, e come uniche compagne ha le sue paure e qualche matita per disegnare arcobaleni colorati sul muro. Le regole dei suoi genitori sono chiare: “Non ridere, non piangere, non fare rumore”. Ma i bambini non temono i divieti degli adulti, e Nicole e Michele stringono un’amicizia fatta di passeggiate furtive nel bosco e crepuscoli passati a cercare le prime stelle. Fino a quando la finestra della soffitta s’illumina per sbaglio, i contorni del disegno di due bambini stilizzati si sciolgono nella neve e le tracce di Michele si perdono nel tempo. Da quel giorno, Nicole porta dentro di sé una colpa inconfessabile. Una colpa che l’ha rinchiusa in un presente sospeso, ma che adesso è arrivato il momento di liberare per trovare la verità. Questa è la storia di un’amicizia interrotta e di un segreto mai svelato. Ma è anche la storia di come la vita, a volte, ci conceda una seconda occasione. Chiamami sottovoce è un romanzo potente su un episodio dimenticato del nostro passato recente. Perché c’è chi semina odio, ma anche chi rischia la propria libertà per aiutare gli indifesi. Negli anni ’60 e ’70 del Novecento gli emigranti italiani in Svizzera non potevano portare con sé la famiglia. Di bambini nascosti in Svizzera ce ne sono stati tanti, anche tra gli iscritti delle Colonie Libere. (focus\ aise)

GUAIDO’ E GLI ITALIANI IN VENEZUELA SCRIVONO ALL’ITALIA

(NoveColonneATG) Roma - Il Venezuela chiama l’Italia. Lunedì 5 febbraio gli italiani in Venezuela hanno scritto una lettera al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il giorno dopo è arrivata anche la lettera del presidente dell’Assemblea nazionale di Caracas, Juan Guaidò, al governo italiano, la cui posizione neutrale sta di fatto bloccando la possibilità che l’Unione europea possa esprimere in modo unitario la legittimazione al presidente dell’Assemblea nazionale di Caracas per promuovere lo svolgimento di libere elezioni. Guaidò, che lo scorso 23 gennaio si è autoproclamato presidente del Venezuela sfidando Nicolas Maduro, ha chiesto direttamente al governo italiano un incontro al più presto “per scambiarci opinioni sulla decisiva transizione che stiamo vivendo in Venezuela. In particolare, vorremmo poter sottolineare la necessità che in Venezuela si possa giungere in tempi rapidi, e grazie al sostegno della Comunità internazionale, a libere elezioni democratiche”. Dal canto suo, la comunità Italo Venezuelana ha già fatto pervenire al presidente Mattarella una lettera, firmata dalle principali associazioni italiane presenti nel paese sudamericano, in cui anche a nome dei venezuelani si chiede al governo italiano “di aderire alle decisioni dell’Unione europea per contribuire così al riconoscimento costituzionale di Juan Guaido come presidente ad interim, nominato dall’Assemblea Nazionale, l’unico organo legalmente costituito in Venezuela e con il potere di esercitare il suo incarico per indire prossime elezioni in Venezuela, come ordinato dalla Costituzione della Republica Bolivariana del Venezuela, una volta rinnovati i poteri pubblici scaduti da lunga data”.

CANTONE: LA CORRUZIONE CALA, NON SIA UN ALIBI PER LE GRANDI OPERE

(NoveColonneATG) Roma - Il problema della corruzione in Italia esiste indubbiamente, ma la percezione del fenomeno è forse ancora maggiore. E secondo il presidente dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, “l’utilizzo del pericolo corruzione non può essere un alibi per le grandi opere”. Lo scorso 31 gennaio Cantone aveva ammonito: “Non può fare onore a uno Stato come vorremmo fosse il nostro fermare le opere per paura della corruzione. Se ci sono pericoli di tangenti vanno sterilizzati”. Cantone sottolinea un dato molto recente, ma che probabilmente è passato inosservato: “Recentemente è stata presentata la nuova classifica di Transparency International: negli ultimi quattro anni l’Italia ha recuperato 16 posizioni”. Anche per questo, aggiunge Cantone, “sicuramente sul tema delle concessioni ci sono problemi enormi, ma non so quali elementi ha Danilo Toninelli per dire che prima c’era la mangiatoia”. Piuttosto, Cantone lancia un allarme su una norma contenuta nella legge di bilancio approvata alla fine dell’anno scorso. “L’aumento dell’affidamento diretto dei servizi a 150mila euro (rispetto ai 40mila previsti prima di allora, ndr) è una norma oggettivamente pericolosa. La legge prevede che varrà solo per un anno, dopodiché mi auguro che tornerà tutto in regola. Rischia di essere un regalo al malaffare”. Come dire: “La soluzione di semplificare eliminando ogni regola rischia di aiutare le persone spregiudicate e non quelle oneste, che vogliono regole chiare”.

PREMIO STREGA: STORIA E PROTAGONISTI” ALL’ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA DI BRUXELLES IL 22 FEBBRAIO INCONTRO CON LIA LEVI E STEFANO PETROCCHI

BRUXELLES – “Premio Strega: storia e protagonisti” all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles (Rue de Livourne, 38) . Il 22 febbraio (ore 19) si terrà un incontro con Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci che ogni anno organizza il Premio Strega, e Lia Levi, che nel 2018, con il romanzo “Questa sera è già domani” (Edizioni E/O), ha vinto il Premio Strega Giovani ed è arrivata nelle cinquina degli autori finalisti. L’incontro è organizzato dall’IIC in collaborazione con la Scuola Europea IV di Bruxelles. Stefano Petrocchi, che ha dedicato proprio al Premio Strega il suo primo romanzo “La polveriera”, pubblicato nel 2016 da Mondadori, guiderà in un vero e proprio viaggio nella storia della letteratura italiana contemporanea, attraverso aneddoti, retroscena e leggende del più importante premio letterario italiano. Lia Levi, scrittrice e giornalista, già direttrice del mensile ebraico Shalom, presenterà il suo libro “Questa sera è già domani”. Genova. Una famiglia ebraica negli anni delle leggi razziali. Un figlio genio mancato, una madre delusa e rancorosa, un padre saggio ma non abbastanza determinato, un nonno bizzarro, zii incombenti, cugini che scompaiono e riappaiono. Quanto possono incidere i risvolti personali nel momento in cui è la storia a sottoporti i suoi inesorabili dilemmi? È possibile desiderare di restare comunque nella terra dove ci sono le tue radici o è urgente fuggire? Se sì, dove? Esisterà un paese realmente disponibile all’accoglienza? Per partecipare all’incontro è richiesta la prenotazione. (Inform)

A ROMA LA MOSTRA “SOLO IL DOVERE, OLTRE IL DOVERE. LA DIPLOMAZIA ITALIANA DI FRONTE ALLA PERSECUZIONE DEGLI EBREI. 1938-1943”

ROMA - Sino al prossimo 14 luglio, è visitabile presso la Casina dei Vallati (via del Portico d’Ottavia 29) la mostra sulla diplomazia italiana e la persecuzione degli ebrei, promossa dalla Fondazione Museo della Shoah in collaborazione con la Farnesina. Segnala l’Ambasciata d’Italia a Parigi. La mostra, dal titolo: “Solo il dovere, oltre il dovere. La diplomazia italiana di fronte alla persecuzione degli ebrei. 1938-1943”, presenta numerosi documenti inediti - lettere, rapporti, foto, filmati, mappe e articoli di giornale – per lo più provenienti dall’Archivio storico Maeci che attestano dell’opera profusa dai diplomatici italiani per salvare centinaia di ebrei in tutta Europa.(Inform)