Questo articolo è stato pensato e scritto prima che il Parlamento italiano, con spirito unitario – non senza le solite più rituali che reali polemiche tra schieramenti contrapposti e all’interno della stessa maggioranza – decidesse l’intervento dell’Italia in Libano nell’ambito di una missione internazionale sotto l’egida dell’ONU. Tuttavia le considerazioni svolte, derivanti dalla lunga esperienza parlamentare dell’autore, per dieci anni membro della Commissione Esteri del Senato della Repubblica e componente del Consiglio d’Europa, restano di stringente attualità.

 

Come i nostri lettori sanno gli articoli pubblicati da “Emigrazione Siciliana” arrivano alla loro attenzione dopo un periodo di tempo abbastanza lungo dalla scrittura, tanto da rischiare di essere “superati” dall’incalzare degli eventi. Spero non sia così per il presente in cui tenterò di occuparmi della ripresa del conflitto israelo-palestinese e del coinvolgimento del Libano. Spero che i proclami del G8 che si è tenuto a San Pietroburgo, i moniti e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, gli impegni presi nella riunione di Roma, la importante mediazione del governo italiano, la voglia di pace che si esprime ogni giorno a sostegno del cessate il fuoco nell’area mediterranea, possa portare ad una soluzione positiva, almeno ad un cessate il fuoco tra le parti, garantito dalla presenza di una forza di interposizione dell’ONU, anche se, mentre scrivo, la situazione appare sempre più difficile ed ogni sbocco positivo sembra allontanarsi.

Tutto è cominciato con il rapimento di un militare israeliano a Gaza a cui è seguita la brutale reazione del governo Olmert che ha provocato vittime civili e distruzione di beni tra i palestinesi, a tutto ciò sono seguite oltre alle reazioni palestinesi il lancio di missili che, di solito, gli Hezbollah fanno contro le zone del confine israeliano, a questi è seguita la “solita” reazione dell’esercito israeliano che ha bombardato le basi degli Hezbollah ed è sconfinato in territorio libanese. Nel corso di questi sconfinamenti sono stati sequestrati due militari israeliani di cui Israele richiede la consegna e per liberarli ha lanciato un’offensiva in piena regola contro il Libano, per terra mare ed aria, che coinvolge pesantemente la popolazione civile di questo sfortunato paese e ne distrugge le infrastrutture (strade, ponti, aeroporti, abitazioni) che in questi anni in relativa pace erano state ricostruite. L’obiettivo di Israele è la distruzione o almeno il disarmo degli Hezbollah oltre la restituzione dei prigionieri e lo richiede al governo libanese che per la sua debolezza non è in grado di garantire questi risultati.

Il Libano, infatti, in questi anni dopo le distruzioni procurate durante le precedenti guerre sul suo territorio, ha subito l’occupazione dell’esercito israeliano, quella più lunga di quello siriano, la guerra intestina tra le sue componenti interne; oggi stava vivendo una fase di ricostruzione favorita dalla pace, senza occupazioni del suo territorio e senza guerre civili tra le sue componenti religiose e sociali, stava attraversando una fase positiva funestata da qualche attentato (il più grave quello in cui è stato ucciso il premier Hariri) in cui prendeva forma un’idea di stato democratico che avrebbe potuto acquistare forza se non fosse stato bloccato dai nuovi avvenimenti. Questo Libano oggi non è in grado di fermare gli Hezbollah e non è in grado di ostacolare l’offensiva d’Israele.

 

Lo stato è in balia degli eventi, un paese caduto nell’insicurezza, in preda al caos, coinvolto suo malgrado in un conflitto che rischia di estendersi in tutta l’area medio-orientale. Un conflitto che rischia di estendersi non solo perché si svolge a due passi dal focolaio iracheno che non accenna a spegnersi – con il rosario di attentati e con le migliaia di vittime e con le forze occupanti che creano uno stato di insicurezza se non di minaccia esplicita per i paesi confinanti come la Siria e l’Iran – ma anche perché Siria e Iran sono fortemente interessate alle vicende del Libano e della Palestina. La Siria ha già occupato il Libano per arrestare una precedente occupazione israeliana ed oggi si sente minacciata dalla nuova incursione e minaccia risposte dure in caso di iniziative che portino insicurezza ai suoi territori ed ai suoi interessi che in Libano sono grandi oltre che sostenuti da una fazione libanese a lei vicina. L’Iran è il paese di riferimento degli Hezbollah, a quanto sembra gli ultimi missili lanciati contro la Galilea sono di fabbricazione iraniana.

 


Palermo. Il Palazzo del Senato, oggi attuale Municipio.

Il nuovo governo iraniano, tra l’altro, non nasconde la sua ostilità verso Israele e promuove o sostiene ogni iniziativa che lo contrasti, mentre teme una reazione americana visto che l’attuale conflitto che lo può coinvolgere, anche se in modo non diretto, si somma alla vicenda del nucleare iraniana non ancora conclusa. Una vicenda, quindi, che “interessa” l’intera zona medio-orientale il cui aggravamento non può essere senza conseguenze per il resto del mondo visto che quell’area detiene gran parte delle risorse energetiche (petrolio e gas) essenziali per i paesi sviluppati, infatti l’inizio delle ostilità ha immediatamente prodotto un nuovo balzo in avanti del prezzo del petrolio. In questo quadro arretra il processo di pace israelo-palestinese che sembrava aver fatto un passo in avanti con il ritiro israeliano da Gaza e con la nascita del partito Karima, voluto da Sharon contro gli integralisti israeliani che si opponevano ad ogni rimozione degli insediamenti di coloni dal territorio palestinese, Karima oggi gestito da Olmert dopo la malattia che ha colpito Sharon.

La vittoria di Hamas ha certamente dato un duro colpo al processo di pace non essendo ancora oggi questa fazione palestinese, in grado di superare le ragioni della sua stessa esistenza che è finalizzata alla distruzione di Israele. Un processo di revisione politica di Hamas, favorito dalle spinte e dalle pressioni europee ed occidentali, ha bisogno di tempo che le attuali vicende non le assegnano. Oggi Hamas è costretta a governare i territori palestinesi mantenendo una politica che la pone non solo in contrasto con Israele ma anche con l’altra parte dei palestinesi che è rappresentata da Abu Mazen Capo dello Stato che oggi si trova a gestire tra gli ostacoli di cui stiamo parlando una politica per la pace in conflitto con il governo eletto dal suo popolo. Ciò crea per il Presidente palestinese una situazione d’impotenza che può portarlo a gettare la spugna ed a presentare le dimissioni.

Ciò, se avvenisse, produrrebbe un aggravamento della situazione. Quindi un quadro politico pesante, che può aggravarsi sempre più fino al conflitto aperto che può coinvolgere tutta la regione. Naturalmente evitare il peggio è possibile ma solo se la Comunità Internazionale che oggi appare divisa e smarrita saprà operare con forza e decisione verso tutti i contendenti. Anche se Israele ha le sue buone ragioni verso gli Hezbollah ed Hamas, gli Stati Uniti non possono continuare a lasciargli via libera per azioni chiaramente sproporzionate alle provocazioni ricevute sia nei territori palestinesi sia, soprattutto, in Libano dove Israele conduce una vera e propria guerra con stragi non solo tra gli Hezbollah ma soprattutto tra civili inermi.

 

Le stragi di Cana, di altri villaggi che oggi con decine di bambini uccisi scuotono la coscienza civile in Europa e negli Stati Uniti non possono non alimentare il clima di odio con il rischio di innescare una serie di reazioni a catena che difficilmente potrebbero essere controllati. Israele va fermata con una forte iniziativa internazionale che non può realizzarsi senza l’adesione degli Stati Uniti. Sono apprezzabili oggi le iniziative del governo italiano, del Ministro degli Esteri D’Alema, della Comunità Europea, ma queste iniziative debbono diventare anche la politica di tutta la comunità internazionale ed in primo luogo degli Stati Uniti. Detto ciò Hamas non può continuare ad ignorare che la vittoria elettorale le ha assegnato la responsabilità del governo dei territori ed anche una responsabilità su tutta l’area medio-orientale di fronte ai suoi alleati ed alla comunità internazionale (Europa, USA, Russia, Istituzioni Internazionali).

 


Palermo. Piazza Pretoria, a sinistra il Municipio e nello sfondo San Giuseppe dei Teatini.

Verso Hamas va parimenti condotta un’iniziativa diplomatica, una pressione forte che utilizzi tutti i mezzi a disposizione a cominciare dai contributi che l’occidente fornisce ai territori palestinesi. Ancora, in Libano non possono essere tollerati basi militari che ogni giorno sparano su Israele perché ciò alimenta una tensione che alla lunga diventa intollerabile. Occorre che le istituzioni internazionali facciano uno sforzo mobilitando l’ONU, coinvolgendo la NATO per intervenire con tempestività e forza con tutti i mezzi possibili per bloccare gli attacchi degli Hezbollah contro il territorio israeliano e per ottenerne il disarmo. Naturalmente in questa politica sarà necessario coinvolgere tutti i paesi interessati alla pacificazione dell’area e quindi anche la Siria e l’Iran (non è chiaro perché questi paesi non sono stati invitati alla conferenza di Roma) che non credo abbiano interesse ad essere coinvolti in un conflitto che avrebbe pesanti conseguenze sul loro futuro.

Ha fatto bene il governo italiano ad iniziare la sua azione diplomatica partendo dalla Siria e dall’Iran perché da un atteggiamento nuovo di questi paesi può venire un contributo ad una mutazione politica di Hamas e degli Hezbollah che può portare alla sospensione delle ostilità ed alla costruzione della pace. Solo se le ostilità cesseranno sarà possibile utilizzare in quei territori una forza d’interposizione dell’ONU per non lasciare solo ai protagonisti locali il destino di un’area a cui è interessato il mondo intero. Saprà la Comunità Internazionale dare queste risposte? Noi abbiamo il dovere di sperarlo e di sperare perché vengano date.