Costanza d’Altavilla, figlia postuma di Ruggero II d’Altavilla - la gran Costanza come la definisce Dante - nell’immaginario collettivo è stata sempre considerata il simbolo di una tormentata vicenda nella quale sentimenti e passioni, costumi e ragion di Stato si sono mischiati. Una donna dunque fragile casualmente al centro di vicende più grandi di lei. Un’immagine, questa, che ha appassionato letterati e poeti che ne hanno raccontato o cantato le sventure in termini di accorata compartecipazione. Ultimo, fra i tanti, il romanzetto di Carla Maria Russo, La sposa normanna edito dalla Piemme a cui ha arriso un discreto successo editoriale.

La verità storica, purtroppo per i tanti che si sono appassionati alla vicenda della regina normanna, tuttavia corrisponde ben poco a quella letteraria. Nessuna prova, documento o quant’altro serva a dimostrazione, ci da conferma del fatto che la stessa, come ci raccontano le leggende, fosse stata sottratta alla serenità del chiostro – nel quale era stata richiusa in un tempo imprecisato - per farne la sposa di un uomo tanto rozzo quanto potente come Enrico di Svevia. Nessuna prova di una qualche costrizione per vincolarla ad un patto che la faceva erede di Guglielmo II insieme al coniuge promesso che sposò nella basilica di Sant’Ambrogio a Milano.

Invece Costanza corrisponde al classico modello della sposa legata e, magari, sottomessa al proprio coniuge, scelto per lei e non scelto da lei, così come d’uso in quell’età ferrigna ch’era il medioevo. In Germania, dove si recò carica della sua cospicua dote, fu ubbidiente al marito degna moglie di un futuro imperatore svevo. Sulla tragedia che investì l’isola alla morte di Guglielmo II a causa della pretesa di Enrico, legittimata dal testamento di Guglielmo II, di posare sul suo augusto capo la corona del regno di Sicilia, non ci fu mai un distinguo fra Costanza ed Enrico, forse lei avrebbe gradito che certe esagerazioni, parlo delle torture disumane inflitte a presunti cospiratori normanni parenti della stessa Costanza, non ci fossero state ma non ci risulta che da Costanza venne mai una condanna esplicita di tali fatti.

Inoltre, in più occasioni ebbe la possibilità di staccarsi da Enrico e mai approfittò di queste occasioni, segno che con Enrico stava bene. Una di queste fu quando, catturata dai salernitani, fu consegnata a re Tancredi - che, come sappiamo la trattò con grande magnanimità – ed invece di appoggiare il congiunto nella lotta per l’indipendenza del regno, avendone l’occasione preferì raggiungere il maritino. Insomma un comportamento che è spia di avidità e desiderio di potere che prescindeva da affetti e da sentimenti. Una avidità che la porta perfino, lei che – ed è un fatto ormai certo - figli non ne poteva avere ad inscenare la farsa della puerpera per dare un erede al regno e rinsaldare la posizione sua e di Enrico VI. Altra nota: i siciliani non impazzirono mai per Costanza, se un qualche affetto ad un certo punto le fu rivolto ciò si dovette al fatto che gli stessi odiavano troppo i tedeschi che, morto Enrico, avrebbero voluto impossessarsi del trono esautorando la regina.

 

Un comportamento che lascia invece intravedere un astio ed un desiderio di vendetta contro i parenti Altavilla per motivi che, purtroppo, non abbiamo ancora la possibilità di comprendere. Altro che vittima, altro che angelica creatura sacrificata secondo l’immagine che la storia, almeno quella fatta per enfasi, consegna all’intelligenza dei posteri. Costanza D’Altavilla figlia di Ruggero II di Sicilia e ultima erede dei re normanni, sposò (1186) Enrico di Svevia - diventerà l’imperatore Enrico VI che acquistò così il diritto di successione al Regno di Sicilia. Morto Enrico (1197), governò in nome del figlio, il futuro Federico II, stupor mundi.
Palermo. Piazza Pretoria (1554-55). La fontana.