Secondo alcuni studi di agiografi locali, Rosalia, figlia del duca Sinibaldo di Quisquina e delle Rose, discendente di Carlo Magno dalla parte materna, crebbe nel XII secolo, in pieno periodo normanno, alla corte di Ruggero II a Palermo. La sua vita è stata caratterizzata dalla completa solitudine nella quale gioiva di sentirsi completamente a contatto con Dio, da cui traeva tutto il suo nutrimento spirituale. Pur nascondendo la grazia dei giovani anni era molto bella e suscitava interesse, fra cui quello del principe Baldovino, all’epoca ospite di riguardo alla corte di Ruggero. La leggenda narra che, durante una battuta di caccia sul monte Pellegrino, un leone stava per uccidere re Ruggero. Baldovino, coraggiosamente, lo salvò uccidendo il leone ed il Re chiese a Baldovino quale premio desiderava ricevere per la sua eroica azione.

Quest’ultimo chiese la mano di Rosalia, che, in seguito alla proposta di matrimonio, decise di abbandonare i legami con l’agiato mondo in cui viveva, per dedicarsi totalmente ad una nuova vita improntata alla dedizione e contemplazione di Dio. Ottenne il permesso di ritirarsi in eremitaggio nell’impervio territorio dei monti della Quisquina, dove trascorse dodici lunghi anni. Intanto la sua fama di santità si era diffusa e gente bisognosa iniziò ad andarla a trovare per chiedere conforto. Decise, quindi, di tornare a Palermo scegliendo come nuova dimora il Monte Pellegrino, l’antico Ercta, così chiamato dai greci.

Ma anche qui il suo eremitaggio, così come fu alla Quisquina, non passò inosservato. Con il passare del tempo, la gente si avventurò sull’aspra montagna pur d’incontrare la pia, bella e giovane donna che, manifestando così alte qualità spirituali non poteva non essere in odore di santità. Rosalia non si sottraeva a questi incontri, anzi ascoltava le loro angosce e forniva ad ognuno delle risposte che davano conforto. Visse sul Pellegrino, per quel che se ne sa, non più di quindici anni in fervente preghiera diretta al Suo Sposo Divino, anelando il giorno in cui si sarebbe prosciolta dai lacci del corpo. La data della morte di Santa Rosalia viene ricordata liturgicamente il 4 di Settembre. Il suo culto si collega ad un’epidemia di peste.

Il 7 maggio del 1624, infatti, attraccò nel porto della città di Palermo un vascello proveniente da Tunisi, che in precedenza era approdato a Trapani e lì era stato sequestrato perché l’equipaggio era stato sospettato di essere stato contagiato dal morbo. Ben presto era stato dato l’allarme ma il viceré, mal consigliato, si lasciò convincere e fece scaricare dal vascello il carico, mentre il comandante, Maometto Cavalà, insieme con il guardiano del porto, si recò a Palazzo Reale per portare i doni a Sua Altezza Serenissima: cammelli, leoni, gioielli e pelli conciate, inviate dal re di Tunisi. Palermo si trasformò in un lazzaretto sotto il cielo. Il resto è leggenda, mito e prodigio. Nonostante le infinite preghiere della cittadinanza e le processioni, le quattro co-patrone della città – Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva e Sant’Agata – non erano riuscite a fermare la peste.

Il miracolo fu attribuito a Santa Rosalia. Secondo le testimonianze, mentre a Palermo infieriva la peste che decimava il popolo, lo spirito di Rosalia apparve in sogno prima ad una malata di peste, poi ad un cacciatore. A quest’ultimo Rosalia indicò la strada per ritrovare i suoi resti ossei, e chiese di portarli in processione per la città. Così fu fatto: ove passavano i resti della Santa i malati guarivano e si univano alla processione. La città si liberò in pochi giorni dall’orribile morbo! Da allora la processione si ripete ogni anno con il fine di proseguire nei secoli il rituale di liberazione dai mali che affliggono l’umanità, ed il 4 Settembre specialmente folle di popolo partono da Palermo per recarsi su Monte ad onorare la Santuzza.

 

La fervente fede che ella ha determinato si tramanda di generazione in generazione e continua ad essere profondamente sentita La bellezza della gente che acchiana è un’immagine grande ed enigmatica. L’atmosfera all’interno del Santuario è carica di suggestione. Nel corso degli anni è cresciuta anche la devozione degli immigrati, in particolare dei Tamil dello Sri Lanka. Sono cattolici, buddisti, altri ancora musulmani, la maggior parte sono indù, ma quasi tutti, indipendentemente dalla loro religione pregano devoti Santa Rosalia: “siamo tutti devoti – dice il capofila la notte dell’acchianata – e non manchiamo mai, la storia della Santa ci affascina da sempre e le siamo grati perché è la patrona della città che ci ha accolto”.
Santa Rosalia intercede per Palermo. (olio su tela. La Barbera, 1624)

 

Colpisce particolarmente la storia di Fulvia, una tra le tante donne Tamil, che scala la montagna per suo figlio totalmente sordo e miracolosamente guarito. Striscia sulle ginocchia fino a consumarle. La faccia racconta il suo dolore fisico dato in pegno per la grazia. Resiste sempre, in lei, così come in tutti i devoti l’idea che ogni richiesta al cielo debba essere contrassegnata da una penitenza in terra.