Poco più di tre chilometri separano la Sicilia dalla Calabria: le due sponde sono visibili ad occhio nudo. Sembra quasi impossibile che quel breve spazio abbia costituito e costituisca una frattura che va ben oltre il dato fisico, una frattura culturale fra le terre al di là e le terre al di qua del Faro come, fino a metà del secolo diciannovesimo, erano intese la Calabria e la Sicilia. In effetti il profondo braccio di mare – attraversato da violente correnti marine che la mitologia greca attribuiva all’agitarsi di Scilla e Cariddi, mostri marini celebrati da Omero, che impaurivano i marinai che vi si avventuravano – ha determinato le condizioni perché queste due realtà, quella siciliana e quella meridionale, avessero storie e culture diverse e, in molte occasioni, antagoniste.

A partire dalla caduta dell’impero romano, la Sicilia è stata non solo fisicamente, ma anche culturalmente separata dal resto del continente. Difesa da quel tratto di mare che la separava dal continente, ha infatti continuato ad essere romana mentre nel resto d’Italia si affermavano regni romano barbarici, poi è stata l’unica regione italiana dove, per oltre due secoli, il richiamo cadenzato dei muezzim si è sostituito al suono delle campane. È stata aragonese mentre il resto del meridione d’Italia era feudo della dinastia angioina. La Sicilia, infine, è stata borbonica mentre ovunque trionfava Napoleone spodestando le dinastie che per secoli avevano dominato regni e principati.

Questa separazione ha segnato tutta la storia meridionale dalla cacciata di Carlo d’Angiò nel 1282 alla caduta del regno delle Due Sicilie. Frattura fisica, è divenuta culturale e non ha sicuramente giovato alla crescita delle due realtà territoriali, anzi è stata un vincolo al quale, sempre nel passato, qualcuno ha tentato di porre rimedio. I primi a pensare ad una struttura che consentisse l’attraversamento stabile fra la Sicilia e la Calabria sembra che siano stati, addirittura i romani. Era il tempo delle guerre puniche, le guerre epocali che determinarono la definitiva affermazione dell’Europa sui continenti conosciuti. Si dice, ed una cronaca del tempo ce ne dà notizia, che i romani avessero progettato e realizzato un ponte di barche e botti fra le due sponde per consentire il transito dei soldati ed animali. L’idea dei romani fu ripresa, mille anni dopo, nella notte di Natale dell’800 d.c. dal fondatore del Sacro romano impero, quel Carlo Magno che sognò di ripristinare le glorie e le tradizioni imperiali con le quali, nel suo disegno, dovevano fondersi le tradizioni cristiane.

L’unità dell’impero non poteva infatti consentire fratture come quella fra il continente e la Sicilia, terra su cui il pontefice esercitava una sorta di supremazia e, per questo motivo, Carlo imperatore incarico di studiare la fattibilità di un ponte. L’impresa non ebbe seguito perché le condizioni politiche mutarono a seguito della necessità di consolidare le frontiere orientali. Intanto le vicende siciliane, dopo la conquista araba, seguivano una strada originale rispetto a quella del continente e nessuno, per qualche secolo, si pose più il problema dell’attraversamento. Furono i normanni a immaginare ancora una volta una struttura di attraversamento dello Stretto che avrebbe consentito di rinsaldare il territorio conquistato dopo la splendida impresa di Roberto il Guiscardo e di Ruggero di Altavilla che aveva riportato all’occidente la terra di Sicilia. Guglielmo di Puglia, un cronista del tempo, ci racconta del tentativo di Roberto di realizzare un ponte che tuttavia la morte prematura del condottiero normanno non permise di portare a termine. Stesso impegno, ma si fermò a quelli che possiamo considerare gli studi preliminari, fu proprio di Ruggero II.

Una storia antica, dunque, quella del ponte, per l’esigenza di superare gli ostacoli che si pongono all’uomo, per quel “folle volo” che ha consentito il divenire culturale e la crescita delle civiltà. Nel 1969 in una l’Italia, ormai unita e in travolgente crescita economica, l’A.N.A.S., l’azienda che si occupa delle vie di comunicazione nel nostro Paese, e le Ferrovie dello Stato, decidevano di indire un “Concorso internazionale di idee” per la realizzazione di un attraversamento viario e ferroviario dello Stretto. Era l’avvio della nuova avventura, un’avventura che ha creato un fronte di entusiasti sostenitori ma, anche, di vigorosi oppositori.

Fra battaglie e forti resistenze, negli anni ’80 si arrivò allo studio di fattibilità, e negli anni novanta, dopo l’opzione per un ponte sospeso ad unica campata si passava addirittura alla fase progettuale con la pubblicazione del bando di gara. Gli ulteriori passaggi sono storia d’oggi fatta di spinte e veti. Qualcuno dice che il “ponte sullo Stretto sarà una gigantesca opera inutile“. Non siamo in grado di dirlo ma una cosa la possiamo dire con certezza, se l’opera venisse realizzata sarebbe certamente una conferma che nessun ostacolo può arrestare la volontà di dominio dell’uomo sulla natura.

 

 
  Sì, perché l’idea di colmare questo iato naturale non è qualcosa che nasce oggi sotto la spinta delle conoscenze che l’uomo del nostro tempo ha acquisito, cioè la consapevolezza che la tecnologia possa consentire all’uomo di superare ogni ostacolo. L’idea parte da lontano e, si può dire, che è sempre stata sempre nel cuore della gente che si è confrontata con questa realtà.