Si è tenuto a Palermo a fine giugno 2006 un convegno sul turismo nello spazio geografico, fisico ed economico del Mediterraneo. Sul tema, che tratteremo ancora nel prossimo numero della nostra rivista, ospitiamo la riflessione propedeutica di un esperto di programmazione territoriale | |
“Nel futuro, una quota sempre più crescente di scambi economici nella loro forma più innovativa sarà riferibile alla commercializzazione di una vasta gamma di esperienze culturali, più che di beni e servizi prodotti industrialmente. Viaggi e turismo globale, parchi e città a tema, centri specializzati per il divertimento e il benessere, moda e ristorazione, sport, musica, cinema, televisione, stanno diventando il nucleo di un nuovo ipercapitalismo fondato sull’accesso a esperienze culturali”. Così Jeremy Rifkin nel suo recente libro L’era dell’accesso. Il turismo è divenuto una componente intrinseca nell’utilizzo del tempo libero individuale, acquisendo nuove dimensioni e nuove motivazioni: ricreative, conoscitive, culturali, salutiste, sportive, di contatto con la natura e altro ancora. È per questo che si parla sempre più di “turismi” al plurale. La crescita impressionante dei flussi turistici mondiali, che rappresenta ormai il terzo settore dell’economia globale, e il processo di radicale modificazione dei comportamenti individuali e sociali dei turisti pongono nuove questioni all’Europa, all’Italia e alla Sicilia, soprattutto nel bacino del Mediterraneo dove il peso degli attuali 220 milioni di turisti all’anno potrebbe diventare fra venti anni quello di 350 milioni, come veniva ricordato alla Conferenza internazionale sul turismo sostenibile di Rimini - 2001. Si pone, in particolare, il problema di come conciliare il mantenimento di alti flussi turistici, contestuali alla crescita del mercato delle vacanze e delle esperienze culturali diffuse, con la sostenibilità dello sviluppo di un territorio così “fragile” come quello delle isole minori siciliane. Il contributo che queste possono dare alla qualificazione delle politiche di offerta turistica integrata della Regione Siciliana può risultare di notevole rilevanza strategica, proprio in relazione alla loro speciale “qualità” territoriale. Specie in questa fase di riordinamento delle politiche regionali in riferimento alle opportunità offerte dai Fondi Strutturali europei 2000- 2006 e al nuovo processo di allargamento dell’Unione Europea, che propone un profondo ripensamento del ruolo della Sicilia nel contesto euromediterraneo. Vi è l’esigenza, quindi, di un “riposizionamento” delle problematiche dello sviluppo turistico che, sfuggendo al falso dilemma tra turistizzazione di massa e paradiso esclusivo di Vip, va chiaramente declinato in termini di “qualità” e di opportunità di incontro-scoperta di quella specifica “identità” del territorio delle isole minori siciliane che esprime un concentrato di “mediterraneità”.
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Quale specializzazione di turismo, o meglio di turismi scegliere per valorizzare questa specifica identità? Qual è il terreno di competizione sui mercati turistici da preferire per valorizzarne i punti di forza? E quale organizzazione darsi per valorizzare effettivamente le risorse esistenti e promuovere una offerta dell’arcipelago siciliano unitaria ma, al contempo, in grado di valorizzare i tratti distintivi di ciascuna isola? E quali sono le “motivazioni” su cui occorre agire per giustificare una vacanza nelle isole che in ogni caso implica uno spostamento (spesso non facile) e un viaggio? Fra le diverse opzioni possibili, sembra ragionevole mettere a fuoco piuttosto che le problematiche relative ai disagi e alle difficoltà dei collegamenti la speciale dimensione del “piacere” o meglio dei “piaceri” che accompagnano un viaggio sulle isole minori siciliane. E che sono assolutamente diversi rispetto ad altre rinomate isole del mondo, divenute mete turistiche obbligate di clienti dei grandi tour operators internazionali. Anche perché hanno quel particolare carattere di ospitalità e di ricca umanità che contraddistingue i siciliani. | “U’ gnuri” per le strade di Palermo. |
operators internazionali. Anche perché hanno quel particolare carattere di ospitalità e di ricca umanità che contraddistingue i siciliani. Un viaggio per le isole minori siciliane si presenta come una straordinaria esperienza culturale: di piaceri “multisensoriali”, seducenti, intriganti e pieni di un fascino unico, “impareggiabile”. Anche la distanza, la separatezza, ha i suoi vantaggi: quando consente di attraversare il mare e lasciare alle spalle le abitudini quotidiane degli spostamenti in auto e lo stress dei tempi concitati. Il mare delle isole è quello che Fiatone indicava come “il mare che si trova accanto a noi” e che gli antichi Greci chiamavano con nomi diversi; pelagos, è la distesa, il mare come immagine; thalassa, il mare come esperienza o avvenimento; pontos, il mare del viaggio, che si attraversa ma da cui si ritorna. Sulle isole si scopre un’altra dimensione del tempo, più lento e segnato dai ritmi del giorno solare. Uno spazio naturale. Un viaggio nelle isole è, infatti, un’’immersione nella natura: una natura dominante, non solo mare e sole, ma colori e luce. Una luce speciale e cangiante dalle albe ai tramonti, e nei diversi periodi dell’anno quando ai picchi zenitali si sostituisce la profondità dei raggi dell’autunno/inverno che illuminano le rocce bianche di calcare, gialle di tufo e nere di lava su un mare che non è mai uguale. Paesaggi mediterranei, naturali e culturali, di ritrovata bellezza. Ed è la luce delle notti: di cieli stellati che sollecitano un diverso rapporto tra uomo e natura e richiamano alla mente sogni, memorie e antiche cosmogonie. “Non credo che esista un luogo al mondo più consono per pensare alla Luna” racconta Cabrici Garcìa Marquez di un suo viaggio a Pantelleria. Ma è anche silenzio. Un silenzio che consente di ri-ascoltare gli antichi suoni del mare e delle onde che si frangono sulle spiaggie e sugli scogli. Come quelli che nel film “il postino” M. Troisi cerca di registrare per il grande poeta. Ma anche di ritrovare il piacere di leggere un bel libro, o di scrivere, fotografare, dipingere en plein air ...di ritrovare quei pensieri lunghi che pongono l’uomo di fronte alla natura e alla limitatezza della sua condizione umana. Ed è un respirare la salsedine, i profumi della macchia mediterranea e il vento. Quel vento perenne del mediterraneo che ha dato il nome del dio alle Eolie e a Pantelleria “figlia dei venti”. Che asciuga e fa appassire al sole i grappoli di pomodorini “a scocca e a pennula” e di uva di moscato e di malvasia; e che dona ai capperi quel particolarissimo gusto salmastro che li rende ineguagliabili; e che porta effluvi di origano, mentuccia e di mortella lungo le camminate in montagna o profumi di basilico e menta quando ci si aggira per le strade dei paesi bianchi di calce. Alla unicità dell’ambiente e del patrimonio di biodiversità delle isole corrisponde, infatti, la straordinaria ricchezza e la varietà di un patrimonio di odori, profumi e sapori che non ha uguali: la freschezza e i prorumi di mare del pesce appena pescato, l’intensità del tonno e del pesce salato, la fragranza del pane con l’olio e il pomodoro o insaporito con i capperi e i “cucunci”, la carnosità della caponata di melanzane, il velluto della minestra delle piccole lenticchie di Ustica con un filo d’olio...... E la squisitezza dei dolci: sfinci velati di zucchero con la scorzetta di agrumi, gigi col vino cotto e la cannella, nacatuli di pasta di mandorle, cassatelle e vastituzze con i fichi secchi e l’uva passa, il succo di limone e i chiodi di garofano... Dolci che richiedono di essere “cullati” con dolcissimi sorsi di moscato e di malvasia ...un tripudio fastoso e seducente di piacere e di sapori golosi che raccontano sempre di natura, di sole e di brezza marina; ma anche di tradizioni autentiche e di un “saper fare” antico. Un patrimonio di tecniche e di specializzazioni produttive distillato dall’esperienza di un uso accorto delle risorse limitate delle singole isole, ed espressione di una “cultura materiale” che affonda le radici nei millenni di storia mediterranea. La “cucina è una metafora della cultura”, dice Manuel Vazquez Montalban, quando racconta del piacere lussurioso “alessandrino” dei vini dolci passiti che lasciano in bocca antichi sapori mediterranei di fichi e di miele, e che ispirano altri viaggi della mente e dello stare insieme. E rimandano ai mitici viaggi di Ulisse (non solo navigatore ma anche re “contadino”) tra le isole dell’antico mediterraneo, famose per la produzione di “vini dolci e di alto contenuto alcolico”, come racconta Esiodo e di un “vino ottenuto dall’uva asciugata al sole”, come racconta Dioscoride (de materia medica -1 sec. a.C.). Fra gli antichi la vite, con la sua morte apparente durante l’inverno e la sua rigogliosa rinascita primaverile, rappresentava il simbolo del ciclo annuale e ripetuto di morte e rinascita della natura; e il vino sia per gli effetti simbolici che per quelli fisiologici, era in grado di operare la comunione con gli dei. “L’effetto psicologico era quello di liberare la vita istintiva dell’uomo dalle restrizioni impostele dalla ragione e dalle convenzioni sociali: il fedele sentiva una strana, nuova vitalità che attribuiva alla presenza del dio dentro di sé “perciò la vite e il vino divennero parte della celebrazione rituale del vita umana e della fertilità. È il vino la bevanda protagonista di tutti i banchetti e le feste. È il vino che accompagna le baldorie e l’amore”. (Tim Unwin, storia del vino. Geografie, culture e miti dall’antichità ai giorni nostri). Del resto, come racconta Fernand Braudel, “la storia, non è altro che una continua serie di interrogativi rivolta al passato in nome dei problemi e delle curiosità – nonché delle inquietudini e delle angosce – del presente che ci circonda e ci assedia. Più di ogni altro universo umano ne è prova il Mediterraneo, che ancora si racconta e si rivive senza posa. Per gusto, certo, ma anche per necessità. Essere stati è una condizione per essere. Che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre. Viaggiare nel Mediterraneo significa... immergersi nell’arcaismo dei mondi insulari e nello stesso tempo stupire di fronte all’estrema giovinezza di città molto antiche, aperte a tutti i venti della cultura e del profitto, e che da secoli sorvegliano e consumano il mare”. Il Mediterraneo non è un mare del passato. | |
E quel confine delle colonne d’Erede che separava il mondo conosciuto dall’ignoto è ancora oggi il confine meridionale dell’Europa. E ancora oggi sulle rive delle isole di Lampedusa e di Pantelleria continuano a sbarcare uomini di tutte le razze alla ricerca di nuove vite, di sogni e di speranze. Ma con l’allargamento dell’Unione Europea anche Malta e Cipro sono diventate Europa, e quel confine si è spostato un po’ più a Sud. E fra qualche anno, nel 2010, con l’apertura dell’area di libero scambio ai paesi dell’altra riva del Mediterraneo si abbatteranno quelle barriere di confine e di protezione dei prodotti dell’agricoltura siciliana e meridionale. Altri trattati e altre regole favoriranno sempre di più scambi e relazioni economiche e culturali. Questo processo di cambiamento è inarrestabile e domani non sarà come oggi. | Cattedrale di Mazara del Vallo. |
“Le distanze tra le rive con cui oggi ci si deve misurare sono ben altre che quelle del piccolo cabotaggio turistico-commerciale. I compiti sono straordinariamente più alti di quello di rimanere una periferia inefficiente e corrotta dell’Occidente... Di qui una sfida antica e grande per l’uomo mediterraneo, quella di costruire collegamenti e contatti, di costruire ponti, di rendere ‘pontos’ quel mare alto e difficile” scrive Cassano nel suo bellissimo libro “il pensiero meridiano”. Nell’ottica della sostenibilità indicata dalle politiche dell’Unione Europea, che non è soltanto ambientale ma anche economica e socio-culturale, risulta evidente l’esigenza di coinvolgere le popolazioni locali in uno sforzo di riflessione critica sui modelli di sviluppo; di superamento delle logiche di specializzazione produttiva legate alle “mono-attività” e, soprattutto, di ri-appropriazione del valore “unico” delle loro risorse territoriali. Si richiede un cambio di mentalità, certamente non facile perché “il campanilismo presente sulla riva non cessa sul mare, da un golfo all’altro, da isola a isola: sul mediterraneo ci sono molti campanili...” come ricorda P. Matvejevic. | |
E si richiede anche il superamento di vecchi vizi, doppiezze e furberie che sono il lato oscuro dell’identità meridionale. E l’impegno a darsi un insieme di regole. Come sottolinea Alessandro Hoffmann riprendendo con una felice metafora il racconto di Ulisse: “questo è il senso del darsi un’insieme di regole, di darsi una programmazione: impedire che quando il canto delle sirene si fa più dolce, Ulisse perda la capacità di condurre la barca e raggiungere la meta.” | Vegetazione mediterranea sulla Rocca di Cefalù. |