Un fine quasi lieto di una storia di ordinaria e drammatica immigrazione. Parliamo di H.L., cittadino straniero, sprovvisto di titolo di soggiorno sul territorio, tossicodipendente, scarcerato per fine pena, in imminente pericolo di espulsione dal nostro Paese e quindi destinato ad una brutta fine a causa della sua condizione di tossicodipendente. Ma per fortuna i suoi legali hanno incassato una buona vittoria in suo favore. È un caso che vale la pena di raccontare, anche perché è illuminante del fatto che i diritti fondamentali della persona umana, nel nostro Paese, hanno per fortuna la meglio sulla automatica applicazione delle norme, pur necessarie, di ordine pubblico. H.L. veniva raggiunto, una volta scontata la pena, da un decreto di espulsione dal territorio nazionale emesso dal Prefetto e dal pedissequo decreto di trattenimento presso un centro di permanenza temporanea e di assistenza disposto dal Questore, in attesa di esecuzione dell’espulsione, nonostante egli avesse avanzato richiesta di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di salute giustificata dalla seria necessità di una terapia riabilitativa di disintossicazione, per altro già iniziata all’interno della struttura carceraria. Il decreto di espulsione notificato allo straniero conteneva una motivazione piuttosto generica laddove si leggeva soltanto che “il cittadino straniero sedicente, senza fissa dimora, scarcerato per fine pena, è sprovvisto di permesso di soggiorno e che lo stesso pertanto risulta irregolarmente presente sul territorio dello Stato”. È di tutta evidenza che si è trattato di stabilire se debbano sempre e comunque prevalere le esigenze di ordine pubblico, che supportano un provvedimento di espulsione, ovvero altri interessi che vengono in rilievo nella fattispecie, come per esempio il diritto alla salute quale diritto fondamentale della persona, indipendentemente dalla propria condizione personale. Ma al di là delle dichiarazioni di principio sulla preminenza dei diritti della persona, bisognava trovare fattivamente, e nella legge, una risposta all’esigenza prospettata. Questa è stata trovata nell’art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 286/98 (T.U. Immigrazione) quando statuisce che “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana…”, e che “ai cittadini presenti nel territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso ed al soggiorno, sono assicurate le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti e comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia od infortunio…”, in combinato disposto con l’art. 32 della Costituzione italiana, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della comunità. Vengono a supporto a tal proposito le istruzioni contenute nella Circolare n. 5 del 24 marzo 2000 impartite dal Ministero della Sanità, che intende quali cure essenziali quelle prestazioni sanitarie, diagnostiche e terapeutiche, relative a patologie non pericolose nell’immediato e nel breve termine ma che nel tempo potrebbero determinare maggiore danno alla salute. Preme, inoltre, evidenziare che la predetta Circolare del Ministro della Sanità ha espressamente esteso anche agli stranieri illegalmente soggiornanti in Italia l’accesso ai servizi per le tossicodipendenze e gli interventi preventivi, curativi e riabilitativi, previsto dal Testo Unico delle leggi in materia di disciplina di stupefacenti e sostanze psicotrope (D.P.R. n. 309/90). Su tali basi è stato impugnato il provvedimento di espulsione, portando come motivazione del ricorso proprio la condizione di tossicodipendenza in cui versa H.L. e la conseguente necessità, per la sua salute, di una completa disintossicazione, non solo di tipo fisico, e dell’inizio di un percorso terapeutico, riabilitativo e di risocializzazione in una Comunità per il recupero dei tossicodipendenti. Il ricorso è stato ben studiato, evidenziando, tra l’altro, che l’interruzione dell’iter terapeutico (interruzione assolutamente certa, in caso di espulsione, se solo si pone mente alle lungaggini connese con la traduzione di tutte le cartelle cliniche e le certificazioni del caso), comunque intrapreso dallo straniero all’interno della struttura carceraria, avrebbe potuto compromettere la sua seria volontà di recupero. Una volta, pertanto, ottenuta la disponibilità di accoglimento presso una Comunità terapeutica e conseguito l’impegno di spesa ovvero la corresponsione della retta per la Comunità per la durata di sette mesi da parte della A.U.S.L., si chiedeva al Giudice di Pace la sospensione in via d’urgenza e l’annullamento del provvedimento di espulsione e del decreto di trattenimento presso il C.P.T. Il Giudice, valutata la specificità del caso, riteneva sufficientemente valide le motivazioni addotte relative alla necessità di recupero del soggetto, dimostrando la documentazione prodotta l’esistenza in loco delle condizioni perché venga continuato il recupero intrapreso. Per questi motivi sospendeva il provvedimento di espulsione per la durata del trattamento terapeutico. Il prossimo passo è l’ottenimento, da parte della Questura, di un permesso di soggiorno per motivi di salute per la durata di sette mesi sulla base del provvedimento di sospensione del Giudice. Allo stato H.L. non potrà essere espulso fino alla data del 5 novembre 2006. |