Trent’anni fà, giusto il 24 marzo, le stazioni radio del nostro paese, Argentina, ci svegliarono con un fondo di marcia militare mentre si leggevano comunicati che, come al solito, ottenevano il loro obiettivo: spaventare la popolazione. Quelli che fummo adolescenti negli anni ’60 e giovani adulti nei ’70 sapevamo, qui in Argentina, di marce militari. È stato per questo che molti ci siamo commossi al suono della marcia e le lacrime d’impotenza ci riempirono gli occhi.

Il 24 marzo fu soltanto un segnale simbolico, una specie di stigma, come lo fu la stella di Davide sul petto degli ebrei nell’Europa del nazifascismo (dico bene, Europa). Tutto era incominciato molto tempo prima. Ma nessuno di noi poteva immaginare fino a che punto sarebbero capaci di arrivare. Molti ci siamo salvati. Ma a che prezzo?

Quello del terrore, dello scempio di sentirci vili, sporchi dal fatto di continuare a vivere mentre a passi da casa nostra sapevamo che si torturava, sospettavamo che si ammazzava e vedevamo come sparivano le persone. Ci siamo salvati come in un gioco diabolico di lotto. Perché eravamo passati minuti prima o dopo da una strada dove si faceva una “razzia”. Perché al soldatino che impugnava il fucile, tremava la mano e non ha puntato bene o chissà non sparò, può darsi che per una briciola di coscienza che gli ha soffiato in mezzo alla paura e abbiamo potuto arrivare all’angolo e poi correre, correre, correre...

Alcuni ancora continuiamo a correre. Altri ci siamo curate le ferite e le abbiamo truccate per non spaventare quelli che ci stanno accanto. Altri ancora non ci sono e non ci saranno mai più, resteranno soltanto nella memoria che non dobbiamo trascurare. Ma c’è qualcosa che dobbiamo capire adesso che sono passati 30 anni. Quelli che siamo sopravissuti, in realtà fummo utilizzati come modelli, esempio per le generazioni che ci seguirono. Noi siamo l’evidenza del “non ci si deve immischiare, non si deve partecipare, non conviene opinare, nemmeno esprimersi con tanta libertà”.

È per questo che abbiamo costruito una democrazia a metà, una democrazia nella quale fino ad oggi si giustifica negli errori dei civili, gli assassinii dei militari ed i loro complici, dove fino ad ora non si rispetta la legge, la giustizia, la costituzione, perché ancora non è accettata l’idea che bisogna esprimersi chiaramente, che se qualcuno avesse sbagliato, aveva diritto ad essere giudicato e condannato, ma non assassinato nella clandestinità dallo stesso Stato che doveva proteggerci.

Credo che occorra rovesciare questa terribile situazione di individualismo e indifferenza, che dobbiamo predicare con l’esempio della partecipazione e dell’impegno di fronte ai giovani che avranno nelle loro mani il futuro, credo che sia arrivato il momento di pagare il debito che abbiamo con quelli che caddero guardando alle generazioni future, dimostrando che ne è valsa la pena, che sempre vale la pena sacrificarsi per la democrazia, per la convivenza pacifica, per la diversità, per il pluralismo, per il rispetto dell’altro e della sua opinione, delle sue idee.

Credo che i giovani debbano conoscere da noi che cosa é un “golpe militar”, quello che significa vivere con le armi puntate sempre ai nostri cervelli, con la paura, con la colpa, con il dolore. È arrivato il momento nel quale tutti quelli che in un modo o nell’altro siamo stati partecipi, di quel terribile periodo ne parliamo, ne raccontiamo, facciamo vedere le ferite quasi aperte ancora. Non per goderci la pena, ma per essere modelli, come era nei piani di quelli che ci hanno colpito (NOS GOLPEARON) 30 anni fà, ma non certo modelli dell’impotenza, della codardia, della paura, dell’indifferenza, ma dopo esserci tolte le maschere ed il trucco, dopo avere pianto tutte le lacrime e messi a nudo i ricordi dell’ignominia, dovremo essere modelli di risorgimento, modelli di lottatori della parola, della penna, del lavoro, della

Lettera di Piero Fassino a Estela Carlotto

Carissima signora Estela, nel trentesimo anniversario del colpo di Stato in Argentina Le giungano l’abbraccio solidale e l’omaggio più fervido da parte mia, di tutti i Democratici di Sinistra italiani e, posso affermarlo senza tema di smentita, da parte di tutto il popolo italiano. Sono stati trent’anni di sofferenze inaudite, ma anche di lotte, di crescita, di riscatto per tutti gli argentini. E le “Nonne della Plaza de Mayo” - di cui Lei è stata l’instancabile Presidente - ne sono un simbolo importante, riconosciuto ed ammirato. Insieme con Lei, tantissimi uomini e, tantissime donne animate dalla forza della ragione, hanno continuato a cercare la verità. Non eravate pazzi, come volevano farvi apparire. Sapevate perfettamente che quella ricerca non avrebbe restituito la vita ai tanti “desaparecidos”: ma il vostro obiettivo non era “trovare”, ma era “non dimenticare”. Se dopo trent’anni l’Argentina può finalmente rendere onore ai suoi figli caduti è grazie allo straordinario impegno con cui Lei e tante nonne e madri si sono battute perchè prevalessero verità e giustizia. Nei lunghi anni di ricerca della sua giovane figlia Laura e del nipotino, di cui gli aguzzini aspettarono la nascita prima di sopprimere barbaramente la madre, e negli anni del processo in Italia ai militari colpevoli di tali atrocità, Lei è stata un esempio ammirevole di coraggio, determinazione e generosità che ha sollecitato tanti a combattere perchè fosse restituita giustizia e dignità alle vittime innocenti. Siamo orgogliosi che ad Arzignano, il Comune della famiglia Carlotto, sia stato eretto un monumento in ricordo della povera Laura, a testimonianza dell’amicizia e della solidarietà di tutti gli italiani. E oggi che anche l’Argentina, grazie a una decisone coraggiosa del Presidente Kirchner, ricorda ufficialmente le tante giovani vite stroncate dalla dittatura, Le siamo vicini nel ricordo di Laura e La ringraziamo per il coraggio con cui ha voluto testimoniare La sua incrollabile fede nel valori della libertà e della giustizia. Oggi l’Argentina ha ritrovato democrazia e libertà e guarda al futuro con fiducia, senza dimenticare perchè quel che è accaduto allora non accada mai più. Con questi sentimenti voglia ricevere il mio più affettuoso e amichevole abbraccio.

Piero Fassino

Roma, 24 marzo 2006