Questi miei versi introducono la sìlloge “Giufà per il verso giusto” da me pubblicata nel lontano 1990. Per il verso giusto, appunto. Come, ritengo, vada considerato il personaggio. Non un babbeo, quindi, ma piuttosto una persona candida, innocente. Ma dove affondano le sue radici? C’è Giufà arabo. Anzi c’è un Giufà che è di Fez, città del Marocco. Che le storie di Giufà fossero da ricollegare alla tradizione araba non è sfuggito a studiosi come Giuseppe Pitrè e Italo Calvino, che, nel raccogliere il grande patrimonio della nostra letteratura popolare, hanno sempre accennato all’esistenza di temi e motivi ispirati alle “Mille e una notte”, soprattutto nella tradizione dell’Italia meridionale. Giufà è il fortunato protagonista di storie comiche che da oltre un millennio si tramandano nell’area mediterranea. Alcuni lo definiscono saggio, altri stolto; c’è chi vuole che sia un personaggio stolto, nato a Bassora, e chi afferma che si tratti di un saggio di Kufa; altri negano le sue origini arabe e sostengono che fosse un santo mistico turco. Ci sono dunque vari Giufà e ci sono quindi molti esempi nelle storie di Giufà. Nei racconti ebraici Giufà è il furbo che imbroglia il non ebreo, mentre nei racconti arabi il Giufà arabo appare nell’aspetto di quello che può prendersi gioco dell’ebreo. C’è dunque un giufà turco, un Giufà albanese, un Giufà croato. |
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Ma c’è un Giufà siciliano che somiglia, lo fa notare Italo Calvino nelle “Fiabe italiane”, al Bertoldo di Giulio Cesare Croce. Entrambi, Giufà e Bertoldo, vivono perennemente sprofondati nel mondo degli equivoci, dei giochi verbali, dei doppi sensi, delle storpiature di parole. Giufà al mercato: “Come ti chiami?” “Mi chiamo come mio padre” “Come si chiama tuo padre?” “Si chiama come mio nonno”. “E come si chiama tuo nonno?” “Come me”! “E come ti chiami tu?” “Come mio nonno”. “E come ti chiamano per venire a mangiare?” “Non mi chiamano. Ci vado da solo”. Giufà è il protagonista di eventi comuni della vita quotidiana, con le sue intricate ed alterne vicende, e lui si mostra ora saggio, ora stupido, codardo e nobile, anelante al bene, ma incapace di evitare il male. È un eroe buffo che infrange ogni regola. Ma non è sempre tutto stolto o tutto astuto: fa sistematicamente l’opposto di quello che ci si aspetterebbe da una persona comune. Quando vede la luna riflessa nel pozzo crede di poterla salvare dall’annegamento e la tira su con la corda, ma per lo sforzo cade a gambe per aria e gioisce soddisfatto nel rivederla in cielo ( Giufà e la Luna). Nell’uscire da casa la madre gli dice di tirarsi la porta dietro le spalle e lui esegue l’ordine alla lettera: la scardina. ( Giufà, tirati la porta). Le storie di Giufà si rivolgono essenzialmente ad un pubblico infantile; lo stolto briccone rappresenta chi, senza avere alcuna esperienza, si avventura nel labirinto dell’esistenza e si trova costretto ad affrontare ostacolo apparentemente insormontabili. Giufà ora con la sua astuzia, ora con la sua dabbenaggine, entrambe armi disponibili anche ai più piccini, riesce a superare ogni difficoltà. Giufà insegna a ridere dei propri limiti e di quelli altrui, a sdrammatizzare i conflitti e soprattutto a cercare sempre la forza necessaria a rialzarsi dopo ogni caduta, a non scoraggiarsi, ma anzi, ad essere sempre pronti a ricominciare daccapo, per tornare a sfidare la sorte quando è avversa con una nuova paradossale avventura. Per concludere, in Giufà vince la forza affermativa del riso che aiuta a superare ogni difficoltà. |