Siamo orgogliosi del diritto di voto esercitato dai cittadini italiani all’estero. Indipendentemente dalla coalizione vincente. Un po’ meno orgogliosi per avere escluso dalla competizione elettorale quelle 90.000 persone che avevano espresso, in occasione delle primarie del centro-sinistra, la loro volontà di partecipare alla vita democratica del Bel Paese. Uomini e donne “stranieri” che sono nati o vivono da anni in Italia, parlano l’italiano, pagano le tasse, ma che non possono votare. Cittadini che non possono scegliere i rappresentanti in Parlamento ed il Governo che per cinque anni deciderà anche per il loro futuro. A dispetto delle dichiarazioni di principio che qua e là troviamo all’interno dell’ordinamento giuridico. Il riferimento è in primis alla Costituzione italiana il cui art. 48 ci ricorda che “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età” ed ancora che “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”. Tra i giuristi esistono delle interpretazioni del termine “cittadini”, contenuto nella norma costituzionale, che non impedirebbero di estendere ai cittadini stranieri residenti stabilmente e legalmente in Italia il diritto di voto e, dunque, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica democratica. Altro riferimento è contenuto nel Testo Unico delle disposizioni concernenti l’immigrazione, D. Lgs. n. 286/98, che, all’art. 2 co. 4 così testualmente dispone: “Lo straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale”. Ed ancora all’art. 9 co. 4: “Oltre a quanto previsto per lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato, il titolare della carta di soggiorno può (tra l’altro, ndr) … partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche l’elettorato quando previsto dall’ordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992”. Sembra, a chi scrive, che ci siano tutte le premesse perché lo Stato italiano si doti di un’ottima legge che permetta ai cittadini stranieri di esercitare il diritto di voto. L’iniziativa per una legge in questo senso resta, ad ogni modo, legislativa. La scelta, di una legge in questo senso, politica. Allo stato attuale per eleggere rappresentanti in Parlamento bisogna godere della cittadinanza italiana. In termini tecnici, la cittadinanza è la condizione giuridica di chi appartiene ad uno Stato ed è conseguentemente titolare dei diritti politici e dei relativi obblighi che si esercitano secondo il suo ordinamento giuridico. La normativa italiana, contenuta nella Legge 5 febbraio 1992 n. 91, prevede tre modi di acquisto della cittadinanza. La cittadinanza si acquista per LEGGE, ed il soggetto è considerato automaticamente cittadino, oppure si acquisisce per BENEFICIO DI LEGGE nel caso di: a) straniero o apolide, del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, in presenza di almeno una dei seguenti requisiti:
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Infine la cittadinanza italiana viene concessa (acquisto per CONCESSIONE) a:
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