La critica letteraria palermitana Rosalia Bivona ci accompagna in un excursus nel Magreb attraverso la letteratura ed il cinema in lingua francese. Autori ed autrici tunisini, marocchini e algerini del periodo post coloniale “si” raccontano ma anche “ci” raccontano. Parlando, per es. di tre amici, uno dei quali siciliano, che si confrontano con il cambiamento dei costumi indotto dall’emancipazione femminile nelle loro figlie, a partire dal loro vissuto di ebreo, di mussulmano, di cattolico. Leggendo il libro siamo invitati ad un lauto banchetto a base di tajine di pollo al limone o alla mandorla, sardine alla tchermula, spalla d’agnello allo zafferano e alla paprika, insalata di ceci al cumino e zaaluk di melanzane, r’ghaifs e cuscus d’orzo al latte ed alle fave secche.

Per nutrire il corpo, ma soprattutto salvare la mente con il miele della memoria e la fiducia nel futuro! C‘è un nesso tra saperi e sapori? Al banchetto del sapere come a quello del sapore si partecipa sempre da protagonisti. Qualunque sia la ricchezza, l’abbondanza, la varietà del cibo ingurgitato, sia che esso sia cibo per la mente o cibo per la nostra sopravvivenza e/o per il nostro piacere, dopo un “pasto” ci si alza sempre diversi. La stessa sala da pranzo, con la sua architettura ed i suoi ornamenti e i convitati con la loro realtà, sociale, politica, etnica, culturale fanno sì che la convivialità ci permetta di realizzare un’esperienza dopo la quale non si è più gli stessi. Essere seduti ad un tavolo da pranzo non significa solo mangiare insieme, ma rappresentare qualcosa insieme, scambiare, parlare, conoscersi e comunicare.

 

Piatti e pietanze della tradizione magrebina

La cucina è anche linguaggio, da essa
dipendono le campagne elettorali, le
crisi politiche: situazioni in cui o si
mangia o si è mangiati, in cui si deve
dividere la torta senza far cadere le
briciole.
La cucina della tradizione
magrebina, ma anche nostra,
della Francia, della Spagna, della
Grecia … del Mediterraneo.
La tchemula è una salsa che condisce
il pesce sia fritto che cotto
nel tajine (sorta di stufato fatto
in una pentola di terracotta
chiusa da un coperchio) con le
verdure, per prepararla servono
un mazzetto di coriandolo, sale,
chiodi di garofano, aglio, peperoncino,
zucchero, cumino,
succo di limone e un po’ di olio
di oliva.
Lo zaaluk di melenzane è una
sorta di purea di melenzane le
cui proporzioni sono queste: 1kg
di melenzane, 500 gr. Di pomodori,
5 spicchi d'aglio, olio, il
succo di mezzo limone, peperoncino
dolce, cumino, sale, pepe,
olive nere e fettine di limone per
la guarnitura. Tagliare le melenzane
a cubetti e farle cuocere
nell'acqua salata; spellare i
pomodori, tagliarli e farli cuocere
in padella con olio, peperoncino,
cumino, sale, pepe, aglio e
limone. Quando le melenzane
sono quasi cotte, sgocciolarle e
spremerle, aggiungerle quindi ai
pomodori. Schiacciare il tutto e
far cuocere a fuoco lento per 20
minuti fino ad ottenere una
purea. Decorare con le fettine di
limone, lasciar raffreddare e servire.
Le r'ghaif sono delle crepes farcite
con un impasto dolce o
salato, oppure in alternativa con
burro e miele, possono essere
cotte in padella o al forno, spesso
si mangiano nel mese del ramadan
per interrompere il digiuno, e
comunque sono squisite con il tè.

Insieme al cibo, seduti attorno ad una tavola poveramente o riccamente imbandita (non certo in un fast-food dove da soli ed in fretta divoriamo un pasto senza neanche accorgerci di chi ci sta accanto) consumiamo cibo e parole, cibo e sentimenti, scambiamo pietanze come scambiamo sguardi. Alla fine ci si alza senza essere mai gli stessi. Mangiando si cambia come si cambia sapendo. Ma si cambia conservando la memoria: di quel piatto, di quell’aroma, di quel profumo. Come quando approdiamo a nuove conoscenze, che ampliano o cambiano la nostra visione, il nostro approccio alle cose, ma ogni nuovo approdo è sempre costruito sul filo della consapevolezza della nostra cultura precedente. Donne tunisine per i vicoli della Medina. (foto Marchese)

 

Questo indissolubile nesso tra saperi e sapori è indagato in un bel libro di Rosalia Bivona dal titolo difficile “La mensa in scena magrebina, ovvero il cibo come pre-testo narrativo”, che ci accompagna alla conoscenza della letteratura e della filmografia magrebina più recente attraverso la prospettiva del cibo. E che cibo! Il profumatissimo cibo del Mediterraneo, che, in una epoca in cui la paura di non mangiare è stata sostituita dalla paura di mangiare troppo o comunque dalla paura di ciò che si mangia – OGM, farine animali con i prioni della BSE, coloranti e conservanti e pesticidi e muffe – rappresenta un terreno ideale per mantenere la memoria e scambiare la cultura tra i popoli, le etnie e le religioni che si confrontano in questa parte del mondo che è il Mediterraneo.

Un confronto sempre più ravvicinato ed anche complicato, ma sempre più essenziale per trovare la strada di una globalizzazione che si sposi con l’interesse più autentico dei popoli a maturare nuove affinità conservando la memoria delle diversità e delle specificità. La Bivona ci porta in un universo in cui, scrittori e scrittrici di oggi, cineasti e cineaste di oggi, con il pretesto di apparecchiarci monumentali cuscus di montone, di pesce, o profumati tajines di verdure o di pollo al limone, shorba (zuppa) di lubia (fagioli), fritta (insalata di peperoni), meguina (polpette fritte), e delicate tisane alla menta piperita e frittelle inzuccherate, ci raccontano storie che si svolgono tra Tunisia, Marocco, Algeria. Storie che ci fanno riflettere. Storie che dicono, a noi “abituati a pensare a migrazione, immigrazione, razzismo e diversità come problemi altrui” che questi fenomeni della nostra epoca “ siamo invece ora chiamati a pensarli come prodotti della nostra storia, della nostra cultura, del nostro potere, del nostro benessere, e guai a restarvi indifferente”. Il volume, oltre che una gran fame, fa anche venire una gran voglia di leggere quei libri e di vedere quei film.

 

Autori come la scrittrice tunisina Souad Guellouz “I giardini del Nord”o Ferid Boughedir “Un’estate a La Goulette” o come il marocchino Fouad Laroui; o, ancora, giovani cineaste come Moufida Tlati “I silenzi del palazzo” ci invitano ad un festino a cui non possiamo mancare dove si celebra il felice connubio tra cibo e letteratura e dove sia il cibo che la letteratura ci parlano di noi, ci parlano del nostro vitale spazio mediterraneo. Un solo appunto alla Bivona: ma perchè non tradurre in Italiano quelle citazioni dirette dell’opera degli autori che invece sono state mantenute in francese?
Papiri sul fiume Ciane.