Tutto è nato nel 1987 con il poliambulatorio S. Chiara in un momento in cui la città cominciava a colorarsi ma quasi nessuno se ne interessava, e l’unica risposta era del volontariato. Eppure, per gli immigrati in attesa di ottenere il permesso di soggiorno doveva pur esserci un ambulatorio che li accogliesse, che li guidasse da vicino. La legge sullo straniero temporaneamente presente c’era, ma solo sulla carta.

A girarsi indietro ripensando a quei tempi di chiusura nei confronti di un mondo che si andava globalizzando, le persone che in prima fila si sono battute per quel diritto all’assistenza dell’immigrato oggi possono considerarsi soddisfatte. Adesso gli ambulatori dedicati agli immigrati, non ancora ufficialmente inseriti nel paese, esistono, svolgono un lavoro a pieno ritmo, e sempre di nuovi ne vanno nascendo. L‘ambulatorio di “Medicina dei viaggi, del turismo e delle migrazioni” del Policlinico di Palermo ne è un esempio, e per conoscerlo da vicino ne parliamo con il responsabile, il dr. Mario Affronti.

“In prima linea sin dall’inizio nel tentativo di far valere l’applicazione a quel diritto alla salute dell’immigrato c’erano il prof. Mansueto, direttore dell’Istituto di Medicina Interna dell’Università di Palermo, Don Meli e Leoluca Orlando – spiega Affronti –. Pian piano poi sono stati fatti passi avanti, e oggi l‘ambulatorio di ‘Medicina dei viaggi, del turismo e delle migrazioni’ del Policlinico di Palermo conta in media 300 ricoveri l’anno in day hospital,ed oltre all’attività ambulatoriale organizza corsi per mediatori culturali, continui aggiornamenti e perfezionamenti sulla medicina della migrazioni, sorvegliando scrupolosamente il fenomeno anche nei suoi aspetti sociologici, e si occupa a 360 gradi della formazione sia dei medici di medicina generale che degli operatori socio-sanitari. In Sicilia è l’unico centro di riferimento regionale”. Ma perché ambulatori dedicati, piuttosto che rivolgersi ai normali servizi sanitari pubblici?

“Le barriere culturali, linguistiche di fatto e l’ inesperienza degli operatori sulle specificità di questo settore della medicina, negli ospedali e nei servizi pubblici statali, non potrebbero offrire un buon servizio all’immigrato, specialmente nella prima fase. È specialmente nella prima fase dunque che intervengono gli ambulatori dedicati” – risponde Mario Affronti. “Sono comunque ambulatori ‘a tempo’, l’auspicio cioè, è quello dell’integrazione, si lavora affinché queste persone mano a mano vengano integrate anche dal punto di vista sanitario”, e continua:

“Quello che va assolutamente sottolineato è che le malattie degli immigrati sono le nostre stesse malattie: sono bronchiti, otiti, tonsilliti, gastriti, dolori ossei da affaticamento le malattie degli immigrati, cioè nessuna di quelle che troppo spesso l’immaginario collettivo attribuisce loro. L’immigrato arriva sano, viene per lavorare, sono poi le condizioni in cui vive che lo fanno ammalare: degrado, povertà, cattive abitudini alimentari, malattie da stress, l’ansia di dover sbarcare il lunario, ma soprattutto i lavori pesanti a cui spesso si sottopongono. Molti di loro, infatti, lavorano per strada, di notte, al freddo. Nel profilo sanitario del migrante non esistono particolari differenze con la popolazione di accoglienza. Le malattie pericolose come l’aids, le malattie sessualmente trasmesse, la tubercolosi o la malaria vengono pure riscontrate ma non con una differenza statisticamente rilevante rispetto alla percentuale riportata dalla nostra popolazione. Quelle infettive che possono innescarsi nel nostro territorio, e quindi contagiarci, non esistono quasi.

 

Si dice per esempio che la malaria potrebbe essere reinnestata dagli immigrati, ma sono tutte clamorose falsità. Anche di noi siciliani dicevano queste cose quando emigrammo in America. Sono cliché attribuiti infondatamente che anche i media contribuiscono a diffondere: basta pensare alle immagini che trasmettono quando gli operatori sanitari soccorrono i clandestini appena sbarcati. Sono sempre con guanti e mascherine, ma che bisogno c’è?” si chiede. “Noi abbiamo dimostrato che non c’è nessun rischio. Anzi crediamo che gli immigrati rappresentino per noi un’opportunità, perché se riusciamo a dare una risposta a queste persone emarginate dal sistema, lo miglioriamo, lo rendiamo più sensibile e attento alle piccole differenze. Così facendo migliorerà anche la medicina per tutti. Per noi, avere curato queste persone ha rappresentato una grande opportunità, anche professionale. Dobbiamo vedere nell’emigrante una risorsa, non un problema” – conclude.
Palermo, il Policlinico, dove ha sede l’ambulatorio.