MATRIMONIO CON CAPITOLI/1
E’ difficile capire le tradizioni dell’inizio del secolo scorso, quando i matrimoni non avvenivano per scelta dei fidanzati, ma si seguiva una tradizione ed una trafila del tutto diversa. Intanto, era raro che i due fidanzati riuscissero ad avere un’intesa, un contratto prima dell’annuncio ufficiale del fidanzamento.
L’usanza del tempo, specialmente nelle famiglie povere, prevedeva una procedura diversa. Una era sicuramente quella che prevedeva che i due genitori maschi, si vedessero da qualche parte, generalmente il luogo più usato, se i due erano amici, era “la putia di vino” (1) dove, davanti ad un bicchiere di rosso, si parlava della possibilità di sposare i propri figli. Un altro metodo poteva essere che la famiglia del fidanzato coinvolgesse una signora “la mizzana” (2) che andava dalla famiglia della prescelta e comunicava la volontà del giovane tizio o caio chiedeva di potere sposare la signorina tizia o caia se la famiglia era d’accordo. Qui cominciava il vero ruolo della “mizzana”, che comunicava a decantare i meriti del giovani, il mestiere, la possibile proprietà che portava in dote. I signori Diego e Gerlando, che si conoscevano da tempo che per avere spesso lavorato assieme scelsero il primo metodo. Era la giornata in cui si festeggiava la padrona del paese: la madonna della Rocca, una giornata di caldo che faceva sudare tutti, malgrado i 526 metri di altezza sul livello del mare che incentivavano un leggiero venticello, che non riusciva a rinfrescare le persone. I due si incontrarono in piazza e dopo qualche passeggiata nel corso delle quali si parlava del più e del meno, del raccolto, della preparazione dei terreni per la prossima stagione della semina. Alla fine il discorso cadeva sui figli che crescevano che cercavano di farsi una famiglia propria, che pensavano di mettere su famiglia. Discorrendo discorrendo, i due si trovano davanti la “putia di vinu” di “lu zi Micheli” e visto che si era fatto sera, decisero di entrare per continuare la loro conversazione davanti un bel bicchiere di vino ed una manciata di “favi a castagnedda” (3). Dopo il primo bicchiere, Diego cominciò a dire a Gerlando: “cumpà”, abbiamo parlato dei nostri figli, un discorso che appassiona tutti i genitori. Io, per esempio, ho mio figlio Giuseppe che ormai ha ventiquattro anni e comincia anche a lavorare per conto suo. Lavora presso i Baroni e bada agli uomini. Un incarico di fiducia. Io gli dico che ormai è in età di matrimonio e farebbe bene a pensare a qualche bella ragazza per ammogliarsi e mettere su famiglia. A questo proposito, dato il nostro rapporto, avremmo pensato a vostra figlia Giannina, che mi pare anche lei sia in età da marito. Certo, solo se voi siete d’accordo. Mio figlio ha un buon impiego presso i Baroni ed è certo che un pezzo di pane non gli mancherà mai. Gerlando che aveva capito l’antifona anche prima, si limitò a dire: “cumpà, sono onoraro della proposta, ma capite che ne debbo parlare a casa a mia moglie ed a mia figlia. Per me non ho problemi, anzi sarei anche contento, perché conosco Giuseppe e so quanto vale e come sa farsi rispettare dai braccianti e dia mezzadri del barone. Capite bene che non posso darvi subito una risposta anche se ripeto sono onorfatro della proposta, ma vi posso dire che entro qualche giorno avrete una risposta. Il discorso finì lì, i due amici continuarono a bere e chiacchiere, sgranocchiando “li favi a castagnedda”. Dopo di che uscirono ed ognuno si diresse verso la propria casa per prendere moglie e figli e portarli a vedere la festa ed a fare un giro in mezzo alla bancarella dove si trovava di tutto, dalle stoviglie per la casa, alla “cubbaita” (4), dai palloncini agli attrezzi da lavoro utili in campagna, dallo zucchero filato alle ceste di vimini e canne alle coffe “5) ecc. La festa del Protettore del paese serviva anche per fare gli acquisti necessari per il lavoro e pere la casa. Finita la festa, ripresa la vita normale di tutti i giorni, la sera del martedì successivo alla festa, Gerlando tornando dal lavoro nei campi, comunicò prima la notizia alla moglie, poi chiamo la figlia e le comunicò che c’era una richiesta di matrimonio e che lui aveva già detto che per lui non c’erano problemi. Dopo tutto Giuseppe era un bravo giovane, aveva un buon lavoro e poteva certo mantenere una famiglia. Insomma, anche se si era impegnato a dare una risposta, aveva già fatto trapelare il suo assenso. Cero c’erano da precisare alcune cose, la dote, cosa portava lo sposo, le condizioni, come venivano ripartite le spese, ma erano tutte cose che si sarebbero discusse in un secondo tempo, dopo che venissero a conoscere la fidanzata. La signora Peppina, guardò la figlia che abbassò gli occhi, guardò il marito ed esprimendo il proprio parere disse che la proposta era buona e che per la figlia poteva rappresentare una buona sistemazione. Chi non aveva ancora aperto bocca era Giannina, confusa per la proposta e per il fatto che aveva visto Giuseppe in tutto un paio di volte, ma senza scambiare con lui nemmeno una parola. Però, come voleva l’usanza del tempo acconsentì a conoscere il giovane. Gerlando espresse soddisfazione per l’unanimità che aveva accolto la sua decisione di rispondere positivamente alla richiesta dell’amico Diego. Rivolgendosi alla figlia, disse che avrebbe dato a Diego il consenso a venire per conoscere la fidanzata, come si usava dire allora. L’indomani, si incontravano come al solito sulla strada che conduceva nei campi sempre per lavorare, Gerlando comunicò a Diego la risposta ed assieme stabilirono che la famiglia di Diego la domenica successiva avrebbe fatto visita alla famiglia di Gerlando per conoscere la futura fidanzata. La sera Gerlando informò la famiglia della futura visita programmata, notizia che nise in subbuglio tutta la famiglia. C’era da pulire la casa da cima a fondo. Una casa come tante di contadini. Due stanzette a piano terra: una adibita a cucina tinello come si chiamerebbe ora, dove la famiglia passava la maggior lo maggior parte della giornata sfaccendando, rammentando i vestiti, preparando la minestra per la sera, mentre le signorine ricamavano la dote che avrebbero portato con se il giorno del matrimonio. Nel secondo pianterreno c’era la stalla per la mula dove veniva allocata anche una capra e la gabbia per le galline che la mattina veniva messa per strada accanto alla porta. In cucina la sera in un angolo la sera veniva preparato il letto per l’unico figlio maschio che così poteva anche tenere d’occhio la stalla attraverso la porta di comunicazione. Due stanzette al primo piano completavano l’alloggio. In una c’era il letto matrimoniale, mentre nella seconda dormivano le quattro figlie della coppia. Giunse finalmente la domenica pomeriggio e tutto era pronto per il grande evento. Sul tavolo era pronto un vassoio pieno di dolci di mandorla confezionati in casa, la immancabile bottiglia di vino ed una bottiglia di rosolio sempre fatto in casa. Le sedie erano appoggiate ai margini delle quattro mura anche davanti al poco mobilio che faceva mostra di sé nella casa. I fidanzati ai quali era dedicata la festa, erano seduti lei in mezzo ai genitori in un lato della casa, mentre Giuseppe era seduto nel lato opposto della casa anche lui in mezzo ai genitori. Gli altri sedevano senza un ordine preciso mescolandosi tra di loro. Si cominciò facendo circolare i dolcini di mandorla che il figlio maschi di Gerlando prese dalla tavola per offrirli agli ospiti. Sulla tavola intanto, faceva bella mostra di se un mazzo di fiori dedicati alla futura fidanzata. Finito il giro di dolci e quello con il rosolio, mentre i due capifamiglia bevevano un bicchiere di vino Per cominciare a parlare, dopo i primi convenevoli, si aspettava che il padre del futuro fidanzato avanzasse la richiesta, cosa che dopo avere bevuto puntualmente avvenne. (continua)
NOTE:
(1) La putia di vinu: la trattoria, la bottega dove si andava a bere del vino ed a mangiare qualche cosa in compagnia
(2) Mizzana: intermediaria, procuratrice di matrimoni
(3) Fave a castagnedda: fave secche messe prima a mollo e poi fritte con il sale
(4) Cubbaita: torrone di mandorle