La sua morte ancor avvolta dal mistero
Foto Pantani Un campione indiscusso Marco Pantanti. Nato a Cesena il 13 gennaio 1970, oggi avrebbe compiuto 50 anni. Soprannominato “il Pirata” per il suo inconfondibile look è oggi considerato
il miglior scalatore di sempre e tra i più grandi scattisti che il ciclismo abbia mai “partorito”. 11 anni di carriera ai massimi livelli (dal 1992 al 1996 con Carrera Jeans e dal 1996 fino al termine con Mercatone Uno) con 46 vittorie (principalmente nelle corse a tappe), un bronzo ai mondiali in linea di Duitama del 1995 e l’indimenticabile exploit del ’98, conquistando i due traguardi più ambiti; Giro d’Italia e Tour de France. Maglie rosa e gialla lo stesso anno, “Giro-Tour” alla stregua di Fausto Coppi, Eddy Merckx, Miguel Indurain e pochi altri. Si aggiudica il “tricolore” dopo un’avvincente battaglia sulle Alpi lombarde con il russo Tonkov e la “Bastiglia” recuperando ben 7 tappe al tedesco Juan Ullrich. Alla “quindicesima” del Tour (Grenoble – Les Deux Alpes) sul colle del Galibier stacca Ullrich per nove minuti e si indossa, fino alla capitale francese, la prestigiosa Gialla. L’ultimo italiano a “conquistare” Parigi fu Felice Gimondi, 33 anni prima. L’anno successivo, il ’99, ormai inarrestabile e sulla vetta dell’Olimpio insieme ai grandi campioni della storia di questo sport, Pantani tenta l’impresa. Cerca di ripetersi con la “doppietta” partendo proprio dal Giro. Tuttavia è a Madonna di Campiglio che cominciano i veri guai. Dalle analisi emergono dei valori di ematocrito (alta concentrazione di globuli rossi) oltre la soglia consentita. E’ la fine! Sospensione per 15 giorni e fine dei sogni. Nonostante il violento attacco mediatico dei principali network d’Europa egli non si arrende e tenta, nel 2000, di ritornare sia a per il Tour che per il Giro, ma le condizioni fisiche unitamente alle numerose divergenze con i suoi compagni non gli permettono di ottenere i risultati sperati. Ormai per Marco l’ombra dell’addio anticipato al professionismo sembra sempre più vicina. Il periodo che precede la sua misteriosa morte datata 14 febbraio 2004 è costellato di sofferenze e forti stati depressivi. Qualcuno dirà: “lo sportivo è stato annientato, l’uomo distrutto!”. Da Madonna di Campiglio in poi sono anni difficili (gli ultimi), come lo sarebbero stati per qualsiasi altro campione di quel calibro. Ma si sa, chi cade in disgrazia perde tutti. E così venne abbandonato ignobilmente da quegli stessi amici e seguaci che prima lo osannavano e denigrato da quella stessa stampa che fino a poco prima lo glorificava. Un calvario devastane, difficile da sopportare anche per un uomo forte, ma molto sensibile come ce lo ricorda l’instancabile mamma Tonina. Rifugiatosi nella droga, il giovane cesenate si spegne in maniera tutt’altro che “limpida” il giorno di San Valentino di 16 anni fa. Viene trovato esanime in una pozza di sangue nella camera D5 del residence “Le Rose” di Rimini. Nessuno entra o esce dalla stanza e le inchieste giudiziarie si concludono con la morte per edema polmonare e celebrale conseguente ad una overdose di cocaina e psicofarmaci. Su queste conclusioni c’è ancora non poco scetticismo da parte della famiglia. Molte, infatti, le anomalie che non convincono i legali dei familiari, l’amico giornalista Davide De Zan e parte dell’opinione pubblica, alcune di esse evidenziate magistralmente dal programma “Le Iene”. Le telecamere di sicurezza non funzionanti, la possibilità di raggiungere il piano (e non essere visti) anche dai garage; la pallina di pane e cocaina prima assente e poi “misteriosamente” ricomparsa a pochi centimetri dal volto di Marco; l’elevatissima quantità di stupefacente trovata nel suo corpo (10 volte la dose letale); l’emorragia all’interno del polmone sbagliato; la camera messa a soqquadro con metodo scientifico (senza nulla di rotto); le versioni discordanti e tutt’altro che “illuminanti” dei receptionist dell’hotel; i 20 mila euro prelevati a Milano e mai ritrovati; la bottiglia sul piano del mobile non sottoposta ad analisi delle impronte; le testimonianze dei futuri accusati (ovvero i fornitori del cessionario) che non collimano con “l’attaccamento alla vita” di Pantani; le evidenti contusioni sulla testa (non certo auto-inflitte); il fragilissimo vetro sul pavimento del bagno ancora intatto; la televisione e gran parte del mobilio “letteralmente” appoggiato e non scaraventato in un probabile atto di ira. E ancora, non un filo di sangue sulle pareti o in qualsiasi altra parte dell’appartamento, eventualmente frutto di inevitabili ferite in fase di raptus suicida; i giubbotti (presenti nella D5) mai portati da Milano a Rimini (come conferma il tassinaro che ha eseguito il trasferimento) e la confusione sia sugli orari che sull’intervento degli operatori sanitari e di pubblica sicurezza. Due volte era stato chiesto alla hall del residence l’intervento dei Carabinieri, ma l’appello (inascoltato) di Marco non ha avuto seguito. E poi c’è la Camorra come alcuni hanno sostenuto, tirata in “ballo” dall’ex capo della banda della Comasina Renato Vallanzasca. Tanti, forse troppi lati oscuri di una vicenda che è arrivata fino ai piani alti della politica nazionale, poiché materia di lavoro anche per la Commissione parlamentare Antimafia. Ma oggi sarebbe stato un giorno di festa per lui e in quanto tale non possiamo far altro che ricordarlo con quel sorriso che lo ha sempre contraddistinto anche nei momenti più dolorosi della sua, seppur breve, esistenza. Marco Pantani non ha lasciato un vuoto soltanto ai tanti appassionati di ciclismo ma a tutti indistintamente, giovani e non. In attesa, speranzosi, che un giorno si faccia luce sulla sua prematura dipartita, ce lo vorremmo immaginare in sella alla sua amata “bici”, a scalare, denti stretti, davanti agli avversari, in testa, la vetta più alta, l’ultima, quella che porta ad una sola maglia, non rosa, non gialla….ma del colore della verità!!!! AUGURI CAMPIONE (Mirko Crocoli)