*EMIGRAZIONE SARDA, UN FENOMENO IN CRESCITA CHE NON SI ARRESTA: LO STUDIO A IGLESIAS

Il rapporto redatto dal Centro Regionale Emigrazione-Immigrazione delle ACLI contiene anche alcune proposte concrete per favorire il rientro in Sardegna Il flusso migratorio da parte dei sardi non si arresta, ma cambia volto.

Non si tratta soltanto di spostamenti dall’interno verso le coste o le città principali, bensì di un vero e proprio movimento per abbandonare l’Isola. Quello che prima era chiamato il fenomeno “a ciambella” non esiste più. “Era una definizione data alcuni anni fa da sociologi e ricercatori, secondo i quali i paesi dell’area interna della Sardegna si spopolavano poiché i residenti tendevano ad andare a vivere lungo le coste – spiega a L’Unione Sarda Mauro Carta, 48enne di Gesico presidente del Centro regionale emigrazione immigrazione Acli Sardegna -. Quei centri costieri fungevano da attrattori con le loro opportunità, ad esempio occupazionali. Oggi invece l’Isola ha molti Comuni che anche sulle coste fanno i conti con l’emigrazione”. È questo uno degli effetti che verranno spiegati e approfonditi domani 28 maggio a Iglesias (alle 9.30 al centro culturale comunale in via Cattaneo 82) in occasione della presentazione del “Rapporto annuale emigrazione” redatto dal Centro Regionale Emigrazione-Immigrazione delle ACLI. Interverranno Stefano Corda della Società Operaia Industriale Mutuo Soccorso; Giuseppe Dessì della Federazione Associazioni Emigrazione Sarda (Faes); Mauro Carta e Marco Sideri del Crei-Acli Sardegna; Nicola Corda, Alberto Sechi (Società Operaia Industriale Mutuo Soccorso), Pierpaolo Cicalò (Istituto Fernando Santi) e i sindaci di Carbonia e Iglesias Pietro Morittu e Mauro Usai. In videoconferenza saranno collegati alcuni emigrati sardi dall’Europa, dalle Americhe e dall’Australia. Tra spopolamento del territorio e vera e propria emigrazione ci sono punti in comune ma anche differenze: “Sono due eventi – dice Mauro Carta – che si verificano in contemporanea”.

Quali sono le loro caratteristiche?

“I piccoli Comuni si spopolano perché hanno perso nel tempo servizi fondamentali per quello che possiamo definire un buon tenore di vita, come quelli sanitari, le poste, le banche, le scuole, o il medico di famiglia che per una popolazione sempre più anziana che ha bisogno di servizi di prossimità è una figura fondamentale. E ancora i piccoli negozi che vendono pane o generi alimentari, e gli stessi bar che spesso sono stati dei veri e propri centri di aggregazione nei paesi”.

E le famiglie?

“I nuclei, ma non solo perché parliamo anche di giovani, scelgono di andare in Comuni in cui tutte queste opportunità ci sono, comprese quelle dedicate all’infanzia, dove insomma ci sia una vera e propria programmazione”.

Chi abbandona oggi la Sardegna e dove va?

“Soprattutto i ragazzi, abbiamo constatato dallo studio che presenteremo domani come siano sempre più numerosi quelli che decidono di iscriversi a scuole (università o di specializzazione) nella penisola o all’estero e poi rimangono in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, e in Germania, in Francia, in Inghilterra. Lì trovano un immediato inserimento lavorativo”.

Ora gli emigrati sono sempre più i laureati?

“Siamo ancora nella fase in cui i giovani qualificati se ne vanno, nel periodo 2020-2021 sono stati oltre 1.500 i sardi che si sono iscritti ad altre università e la percentuale, come si vedrà, è aumentata nel corso degli anni: nel 2011-2012 erano poco più di mille”.

Il Sulcis è tra le zone più colpite dal fenomeno?

“Purtroppo sì, tutta la microregione del sud Sardegna è uno dei territori più coinvolti. A Iglesias e Carbonia c’è un forte calo demografico da oltre 10 anni, ma ci sono altri centri che risentono dei saldi natali negativi e dei flussi migratori in uscita”.

Si può parlare di emigrazione quando si rimane in Italia?

“Gli emigrati veri e propri sono quelli che vanno all’estero, ma per motivi molto pratici. Chi resta sul territorio nazionale ha tutta una serie di benefici che chi va in un altro Stato può non avere. Una facilità di rete di servizi che non è presente ad esempio in un Paese extra Ue. Il giovane che arriva in quelle comunità trova un mondo completamente diverso, un altro mercato del lavoro con regole e legislazione di altro tipo, insomma deve avere un grande spirito di adattamento e la forza di integrarsi”.

Su cosa puntano le proposte del Crei-Acli che presenterete a Iglesias?

“Uno dei temi è quello che vede una proposta che facciamo da diversi anni alle istituzioni per favorire il rientro dei giovani emigrati: un incentivo, un programma che faciliti il ritorno e li premi se decidono di investire anche in veste imprenditoriale. Poi un percorso per altri emigrati che vivono all’estero ma vorrebbero tornare in Sardegna magari dopo aver avuto successo o aver fatto carriera in altre zone del mondo. Stiamo conducendo un’indagine proprio per documentare questi casi di eccellenza perché potrebbero dare un grande contributo alla loro terra. E, ancora, vorremmo supportare la creazione di co-working in piccole comunità per favorire il trasferimento di lavoratori che possono operare online a distanza e avrebbero come sogno quello di vivere qui in Sardegna tutto l’anno”.

Ci sarà una grandissima richiesta.

“Altissima, ma non solo da parte di italiani che conoscono bene l’Isola perché ci vengono in vacanza, parliamo anche di persone straniere”.

Come avete coinvolto i circoli sardi all’estero?

“Abbiamo l’opportunità di incontrarci periodicamente per le riunioni della Consulta per l’emigrazione e siamo sempre in contatto. Realizziamo progetti insieme, proponiamo attività culturali tra le associazioni di tutela e le federazioni delle associazioni all’estero, organizziamo eventi a carattere musicale o artistico. Abbiamo insomma la possibilità di scambiarci idee e proposte che sono utili per i sardi all’estero ma che rappresentano insieme un ponte per la Sardegna e un arricchimento reciproco rispetto alle varie e locali culture”. Sabrina Schiesaro l'Unione sarda.it

* foto presa da internet