"PAOLO CINANNI (foto sotto): EMIGRAZIONE, OGGI COME ALLORA".

A distanza di mezzo secolo vengono riproposte le due fondamentali opere sull’emigrazione scritte da Paolo Cinanni, la prima, Emigrazione e Imperialismo, del 1968 e la seconda, Emigrazione e Unità Operaia, del 1974.

L’occasione è costituita dalla pubblicazione del libro della Mincione Edizioni, editore italo-belga, attivo anche nel recupero di opere scientifiche e letterarie difficilmente reperibili, che raccoglie i due importanti saggi di Cinanni, i quali riscossero a suo tempo un notevole successo e che furono tradotti in diverse lingue. La Filef e la FIEI hanno collaborato al recupero e alla redazione delle due opere attingendo agli archivi interni, in parte già usati, nel 2016, per la pubblicazione “Che cos’è l’emigrazione” curata da Rodolfo Ricci e presentata in una iniziativa del Comitato italiani all’estero del Senato, in occasione dei 100 anni dalla nascita di Paolo Cinanni, che fu fondatore e dirigente, insieme a Carlo Levi e ad altri intellettuali, sindacalisti, e politici, della Federazione Italiana dei Lavoratori Emigranti e Famiglie. Le analisi e l’interpretazione dei movimenti migratori fornite da Paolo Cinanni in questi due storici libri si inseriscono nel filone di interpretazione marxista e sono ancora in grado di fornire importanti spunti di riflessione in un momento caratterizzato dal grande sviluppo della mobilità internazionale a seguito di guerre, catastrofi ambientali, ma soprattutto, come anche negli ultimi due secoli, a seguito degli imponenti movimenti di capitale che si spostano a velocità sempre più rapida negli avanzati processi di globalizzazione in cui siamo immersi e che vedremo se gli eventi in corso ridurranno o accresceranno. (Al momento li stanno accrescendo di diversi milioni, oltre i 280 milioni in movimento già stimati prima della guerra in Ucraina). L’altra particolare singolarità delle due opere ricomprese nella pubblicazione delle Edizioni Mincione è che esse muovono dalla prospettiva di un paese di emigrazione, piuttosto che di immigrazione, da uno dei grandi paesi di partenza, il nostro, l’Italia. Un paese che ha visto concretamente gli effetti della partenza di circa 30 milioni di persone dal proprio territorio nel corso di un secolo e mezzo e che li rivive da 15 anni a questa parte a seguito dei flussi imponenti di nuova emigrazione verso il nord Europa e altri paesi, paralleli all’arrivo dei migranti dall’Africa, dal medio ed estremo Oriente . Al contrario della narrazione prevalente degli ultimi 30 anni in Italia e negli altri paesi europei, dove vengono giustamente sottolineati gli aspetti dell’accoglienza e dell’integrazione, in questi libri viene proposta la visione delle migrazioni dalla prospettiva, e secondo gli effetti negativi, che essi producono nelle aree di partenza e complessivamente nei paesi erogatori; mentre al contempo, accelerano lo sviluppo dei paesi di arrivo, pur all’interno di un quadro complesso e contraddittorio anche tra lavoratori autoctoni e stranieri, e che implicano in generale mutamenti nella composizione di classe, nelle strutture civili, urbanistiche, territoriali, e perfino negli effetti ecologici. Sintetizzando all’estremo, le tesi centrali di Cinanni sono due:

a) – la prima – sviluppata in “Emigrazione e Imperialismo” – è che i movimenti migratori sono prodotti delle politiche imperialistiche dei paesi più forti rispetto a quelli meno forti in una scala che comprende i vari gradi di potenza/ricchezza e che allo stesso tempo aggravano ulteriormente gli squilibri esistenti tra paesi più ricchi e più deboli, in una spirale che si autoalimenta ed amplifica, per forza di cose, questi movimenti. In questo ambito c’è una differenziazione tra i paesi che necessitano di forza lavoro a tempo determinato legato ai cicli economici (paesi nord europei) e quelli che ne hanno bisogno a prescindere dai cicli finché non hanno colonizzato i grandi territori di pertinenza (paesi nord e sud americani). In generale, i movimenti avvengono, anche all’interno delle medesime aree nazionali, nella stessa direzione in cui confluiscono i grandi capitali che vi vengono concentrati.

b) – l’altra tesi centrale – sviluppata in Emigrazione e Unità Operaia – è che la lotta contro le politiche imperialiste e finalizzate alla riconquista di uno sviluppo equilibrato tra paesi ed aree, necessita di un forte investimento politico: al centro di esso vi è l’obiettivo dell’unità delle forze del lavoro in ogni paese, in grado di contrastare la segmentazione sociale e di classe che si alimenta dall’arrivo dei lavoratori stranieri e che mette continuamente in una situazione di frizione interna e di debolezza la classe operaia dei diversi paesi; in questa chiave, le politiche volte alla conquista all’eguaglianza dei diritti civili, sociali, del lavoro dei migranti e alla ricomposizione interetnica del movimento dei lavoratori, costituiscono l’arma più significativa per rendere meno redditizio per il capitale multinazionale lo sfruttamento dei lavoratori immigrati e dunque per ri-orientare in modo progressista e verso uno sviluppo sostenibile socialmente, il movimento dei capitali in un contesto di libero mercato; dunque di ridurre i flussi emigratori.

In entrambi i libri vengono portati a sostegno delle due tesi innumerevoli dati statistici dell'epoca e comparazioni tra paesi e anche tra il sud e il nord Italia, vista come un esempio paradigmatico della logica, in questo caso interna dei movimenti migratori, e delle sue implicazioni politiche, di sviluppo/sottosviluppo che tuttora, si può dire, perdurino. Il libro si avvale in prefazione, di un lungo e interessante saggio di Osvaldo Costantini, docente di Antropologia all’Università di Messina, che partendo dalla rilettura di Cinanni, in particolare di Emigrazione e Imperialismo, si concentra sulla gestione securitaria e marginalizzante delle immigrazioni terzomondiali attuata in Italia e in Europa, come tentativo di annichilirne la loro soggettività critica e dell’introduzione di Edith Pichler, docente di sociologia all’Università del Magdenburgo (Berlino), a Emigrazione e Unità Operaia, libro che ebbe largo seguito in Germania tra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli anni ’80. Significativi e particolarmente interessanti gli scorci umani di Paolo Cinanni presenti nella Lettera a mio nonno raccontati dal nipote, Emiliano Brannetti e la Biografia essenziale curata dal figlio Andrea Cinanni, che aprono e chiudono il volume di oltre 400 pagine.

Il Libro

“Emigrazione e Imperialismo” ed “Emigrazione e Unità Operaia”, i due libri di Paolo Cinanni uniti in questa pubblicazione, sono ancora oggi punti di riferimento per l’analisi dell’emigrazione italiana intesa come grande “questione nazionale”. Secondo Cinanni, i fenomeni migratori di massa non sono altro che effetti e occasioni di riproduzione dell’imperialismo e la trasformazione di contadini emigrati in operai delle grandi metropoli porta con sé la possibilità di riscatto solo se si raggiunge l’unità. Tra questi due poli si sviluppa la sua indagine. L’unità operaia come strategia affinché la conquista di diritti paritari rendano i lavoratori immigrati meno redditizi per il capitale industriale-finanziario dei paesi e delle aree di arrivo, così che si possa anche ridurre il deflusso di capitale umano, lo spopolamento delle aree di esodo, e recuperare condizioni di riequilibrio tra centri e periferie nazionali e globali.

Paolo Cinanni

Allievo di Cesare Pavese, è stato un combattente della guerra di liberazione e uomo politico dell’Italia del XX secolo. Ebbe un ruolo di primo piano negli anni dell’immediato dopoguerra 1948-1956 nelle lotte contadine del Mezzogiorno. Successivamente dedicò le sue attività nell’ambito dell’emigrazione verso la Svizzera e la Germania fondando insieme a Carlo Levi la Federazione Italiana dei Lavoratori Emigrati e Famiglie (FILEF). Tra il 1948-1956 e il 1960-1964 egli ebbe un ruolo dirigente centrale in Calabria con l’incarico di rafforzare la struttura politica del movimento contadino legando le masse contadine del sud Italia alla classe operaia del Nord. Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli ’80, chiamato da Carlo Bo’, insegnò Storia del movimento operaio all’Università di Urbino.