Aurora Bomprezzi è una professoressa di Lingua italiana che dopo avere studiato all'Universidad Nacional de Cuyo il Profesorado de Italiano andò in Italia a perfezionare la lingua. Fece anche lì le sue esperienze universitarie e lavora continuamente da piu da trenta anni a Mendoza, aggiornando continuamente le proprie conoscenze. Da 4 anni collabora e la vora con l'USEF per conto della quale ha tenuto un Corso di Lingua Italiana per adulti agile e aggiornato. L’ha incontrata per noi Antonina Cascio, presidente di Trinacria Oggi – USEF di Mendosa.

Prof.ssa Aurora Bomprezzi La piazza sul modello dell’antico foro romano, raggruppa i principali edifici della vita comunitaria.

 È il luogo deputato dove si concludono gli affari, si prendono le decisioni politiche, si svolgono le ceremonie sacre della comunità; al centro spesso sorge una fontana e vi si tengono mercati e pubbliche assemblee. É nelle piazze che si seguiva l’evoluzione dei costumi delle proprie città: dalle prime adunate del popolo che ascoltava la voce dei predicatori della fede di Cristo, alle quattrocentesche giostre dei cavalieri, alle cinquecentesche dispute del gioco del calcio a cui partecipava con spirito di parte, ogni popolo. Per questa ragione le piazze sempre furono i centri dei diversi paesi e paesetti dove si trasmetteva la lingua parlata che poi diventò lingua scritta. L’importanza della lingua dal medioevo fino ad oggi è stata sempre il veicolo per la trasmisione della cultura del paese. Ma cos’è successo con queste piazze e con la lingua per gli emigrati? Le piazze in genere sono sparite nei paesi di accoglienza per un concetto diverso di architettura urbana e per la necessità di abbellire lo spazio con giardini, alberi, panche e giochi per i bambini, con questo già c’è una mancanza notevole per gli emigrati, che non ritrovano i costumi e le abitudini dei suoi paesi. Se si parla di lingua non si può tralasciare il fatto dell’emigrazione che qui in Argentina è stata molto numerosa, specialmente dal dopoguerra. La lingua per gli emigrati è stato un grosso problema, che ha provocato una comunicazione linguistica di emergenza, una specie di “pidgin”. Gli emigrati definitivi, stabilitisi con la famiglia all’estero, tendono ad assicurare ai figli un’istruzione basata sulla lingua del paese d’accoglienza e sulla lingua italiana. La prima diventa veicolo di scolarizzazione e di inserimento sociale; la seconda un mezzo per mantenere i contatti con la madrepatria dei genitori, le comunità italiane presenti nel paese e la famiglia.(prima e seconda generazione). Il legame di affetti e di intese che lega la prima e la terza generazione si traduce per quest’ultima in curiosità per la patria dei nonni, la quale è suscettibile di diventare per essi la propria patria adottiva. Nei nipoti non si riscontrano in genere i turbamenti, i conflitti e i problemi d’identità rilevati nei genitori e lo stesso quadro sociolinguistico risulta profondamente modificato. Per la terza generazione, infatti: la lingua locale è la madrelingua che copre la totalità delle situazione comunicative; il dialetto d’origine della famiglia è posseduto a livello ricettivo nell’interazione famigliare, specie con i nonni; l’italiano, quando è studiato, è una lingua straniera “sui generis” che può diventare lo strumento per la scoperta delle proprie radici e la voce della patria d’adozione. Si profila ormai praticabile l’insegnamento di un italiano “standard”, cioè la lingua degli affetti profondi, rappresentati fisicamente dai nonni e dai genitori. Da un’inchiesta fatta anni fa voluta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche sull’insegnamento dell’italiano nel mondo è risultato chiaro che lo spazio per la nostra lingua è oggettivamente limitato fuori d’Italia. Il numero ristretto di studiosi, di artisti e di universitari che vi si accostano allo scopo di poter accedere alla cultura; gli emigrati di seconda e soprattutto di terza generazione e un buon numero di stranieri che sentono il richiamo del patrimonio artistico-culturale e paesaggistico dell’Italia, per i quali la motivazione per lo studio dell’Italiano è costituita da un amalgama di culturale e di turistico. Il futuro dell’italiano all’estero si gioca in tempi brevi. Se non migliora la qualità del suo insegnamento prima che l’onda lunga dell’emigrazione si esaurisca, si perderà il grosso contingente della terza generazione, ancora esistente in alcuni paesi come l’Argentina, il Brasile, gli Stati Uniti, il Canada, la Germania e l’Australia. Dei turisti che annualmente visitano l’Italia, una parte apprezzabile è costituita da figli o nipoti di emigrati. Il futuro dell’Italiano come lingua straniera è legato all’immagine che l’Italia saprà proiettare di sè all’estero. In definitiva le sorti della lingua italiana sono legate alla cultura, alla vita e alla società italiane e a come queste saranno percepite dall’esterno.Aurora Bomprezzi.