(Antonina Cascio) - Ché cos’é la storia ? Possiamo, come sempre siamo stati abituati a fare, staccare un pezzo della realtá e studiarlo, analizzarlo,rifletterci e cercare le conseguenze ed i motivi senza sbagliare? Non c’é dubbio , impossibile, tutto in questo mondo, in questa nostra esistenza sul mondo, é relativo a tutto. Non ci sono fatti, storie lineari e paralelle.

Leggevo oggi sul giornale che il Giappone é il secondo compratore del mosto che produciamo a Mendoza, e che gli esperti chiedono ai mendozini di aver pazienza per un paio di anni, il tempo che si calcola che l’industria giapponese dovrá lottare per ricuperare l’antica situazione, cioé il suo status al giorno del terremoto. Come italiani, come nazione italiana, siamo arrivati ai 150 anni di vita- una minorenne come direbbe Benigni, facendo allusioni ad altre minorenni che sono state stuprate ed ingannate com’é stata l’Italia negli ultimi anni, credendosi invece giá adulta- ed il nostro console del Cuyo (San Juan, Mendoza e San Luis), che ha la sua sede a Mendoza, ha fatto riferemento nel suo discorso del 17 marzo,alla cittá dove siamo, una bella e grande cittá, che il 2 marzo ha compiuto 450 anni di esistenza, ma che oggi , 20 marzo compie 150anni della sua distruzione totale per un terremoto di grado 9 o 10 nella scala Mercalli. E una forte immagine questa di un paese, appena piú grande che la nostra provincia, ma con tanti secoli di gloria e cultura dietro, nascendo come nazione, come unitá politica e legale, di fronte ad una cittá, capoluogo di provincia, importante dall’epoca coloniale spagnola, con 300 anni alle spalle, che viene distrutta da un terremoto. Ma totalmente distrutta, cadute le belle ville , morti quasi 5000 abitanti, distrutte le chiese, i monasteri, il “cabildo “ e la piazza principale, gli ospedali , rimasta senza servizi, depredata dalla disonesta azione dei ladri e del fuoco. Portati fuori radio i sopravissuti, quelli che avevano una buona posizione, nelle proprie case di campagna, i piú poveri in capanne a Maipú, una cittadina lontana una ventina di kilometri che da quel momento é cresciuta in importanza. Mendoza é rinata dalle ceneri e da quel tempo si é incominciato a costruire in migliori condizioni, avendo conto delle regole di architettura che provava giá il vecchio mondo (Europa). Qual’é la relazione tra Mendoza e l’Italia? Sono stati gli immigranti europei, architetti francesi ed italiani sopratutto, a dare vita alla nuova genesi della cittá, che sebbene si tornó a costruire al modo arabo (imparato dai colonizzatori spagnoli), con forma di damero, una “manzana”, cioé un pezzo di terreno di cento metri per cento, e di seguito una strada, ampia,( a dar posto per scappare dalle macerie in caso di terremoto), le sue nuove costruzione presentarono e presentano ancora lo stile europeo. Cantine, cooperative di soci italiani o spagnoli, piccole ditte di fabricazione d’olio di oliva, grandi magazzini, depositi e commerci, ed anche le case di famiglia, copiarono lo stile delle cittá francesi ed italiane. Il grande flusso dell’emigrazione portó anche ingegneri idraulici, ingegneri stradali, etc. Mendoza é oggi una bella cittá, europeizzante nel suo aspetto, ma che mantiene alcune caratteristiche originali, come le “acequias”, piccoli canali, stretti, che percorrono tutte le sue strade accanto ai marciapiedi e portano l’acqua a tutti gli alberi che fanno possibile la nostra vita in un antico deserto; i grandi canali che circondano la cittá e che evaquano l’acqua delle tempeste che scende dai monti ed evitano l’inondazione . Strategie queste pensati dai “huarpes”, i nostri popoli indigeni. Ma potrei io parlare di Mendoza raccontando la storia dei huarpes senza parlare degli italiani, e della storia dell’unificazione italiana che provocó in grande ondate, l’emigrazione di tante persone in cerca di lavoro e di benessere? Potrei non avere conto di questo grande terremoto che ha distrutto parte del Giappone e tutta l’immagine di grandezza, sicurezza e ricchezza che aveva di fronte al mondo, senza capire che le loro disgrazie colpiranno anche tutti noi prima o poi, in un modo o l’altro? Posso ricordare la mia terra, Sicilia, senza pensare alla Libia? In Sicilia ci sono tante persone che amo, che in questo momento sono in pericolo serio, e non posso non occuparmi di loro. In Libia, Aurora, la mia cara amica siculo-libanese, mi fá : stanno bombardando i posti dove sono cresciuta, dove giocavo da bambina, dove ricordo aver caminato su ruderi di antiche cittá. Posso non dire che l’atteggiamento delle potenze europee, che hanno mantenuto stretta amicizia con un dittatore per convenienza dei propri paesi, ci ha portati adesso a questo intervento certamente necessario in difesa dei diritti dell’uomo e della democrazia, ma pur sempre in una guerra che nessuno di noi voleva? Chissá un giorno impareremo che la storia non é possibile tagliarla a pezzi. Che la storia dell’umanitá è stata sempre una, anche quando le comunicazioni erano piú lontane ed i messaggi ci voleva un lungo tempo per farli arrivare.