L’anno 1853 si firmò la Costituzione Argentina. Il suo articolo 25 dice: “Il governo federale fomenterà l’immigrazione europea e non si dovrà gravare con limitazioni né tasse l’entrata al territorio argentino degli stranieri che portino l’obbiettivo di lavorare la terra, migliorare l’industria e introdurre l’insegnamento delle scienze e l’arte”.

Dal 1862 al 1880, i presidenti Mitre e Sarmiento fomentarono l’immigrazione, riuscirono a impiantare un ordine costituzionale unificando la repubblica e cambiando completamente la struttura sociale ed economica della nazione. Fu così che l’immigrazione aumentò ed il flusso verso l’Argentina, un paese che offriva tanti benefici, tra i quali sopratutto la terra, l’illimitata e fruttifera terra che la natura aveva dotato di tutte le benedizioni, si fece ogni anno più intenso. Nei primi tempi arrivarono quelli del sud: Calabresi, siciliani, pugliesi, anche i toscani che popolarono “il gallinero” del teatro Colón, a Buenos Aires, mentre gli, altri, i terroni ,trasformavano la lingua in un “cocoliche”, una mescolanza tra i loro dialetti e lo spagnolo che in un certo periodo arrivò a spaventare politici e governanti del paese per la quantità di gente, molto superiore alla popolazione di origine locale, che lo parlava. Per chiudere questa breve introduzione ed andare al tema centrale di questo articolo, possiamo dire che l’Argentina, grazie al flusso migratorio, passò da 1.737.676 di abitanti nel 1869 a 3.954.961, nel 1895 e nel 1914 ne aveva 7.885.237.

QUELLI CHE ARRIVARONO ALLE PROVINCE

Purtroppo l’immigrazione in Argentina fu un movimento disorganizzato e piagato di furberie e di promesse incompiute. Si faceva propaganda in Europa sulle agevolazioni che avrebbero gli emigrati una volta discesi dei vapori, terre, risorse materiali, semi, imprestiti per avere i semi, etc. Ma in realtà, sebbene queste cose avrebbero dovuto trovarle, perchè gli imprestiti del Governo c’erano e le terre le trovavano, la maggior parte degli immigrati si trovò col fatto compiuto, una volta arrivati a Buenos Aires, che le persone che le dovevano aspettare ed accompagnare fino al loro destino, non si presentassero ( certamente altri italiani furbi che d’accordo con gente del paese se ne approfittava delle agevolazioni nel proprio interesse), che dovevano o rimanere a Buenos Aires in un “inquilinato” dove le famiglie abitavano tutte ognuna in una sola stanza con un bagno comune a tutti gli inquilini.O partire da soli. C’erano quelli che accettavano di partire dietro il sogno della terra propria in veri viaggi di novella epica, triste avventure che tante volte si portavano la vita di alcuni membri delle famiglie per gli incidenti e per le malattie. Ma molti arrivarono e col proprio sudore costruirono un futuro per le loro famiglie in questa terra che in quel tempo era una vera promessa di tempi migliori, c’era tutto per fare, tutto da costruire, tutto da seminare.E gli emigrati, come ben sappiamo, hanno dovuto subire tante prove prima di partire della prorpia terra ,che “li sputò” e non li protesse, avevano sopportato un lungo e difficile viaggio, allora partivano decisi.

AL CHACO

Per arrivare alla zona del Chaco, ci voleva ancora essere caricati su un altro vaporetto che andava verso il Paraguay, dove alcuni andarono a finire. Le prime 70 famiglie di friulani, racconta Mempo Giardinelli, arrivarono prima in uno di questi vaporetti, attraverso il fiume Paranà e cambiarono a una “balsa”, arrivati all’afluente attraverso il quale dovevano raggiungere il posto dove si trova adesso Resistencia, la capitale della provincia. In quel momento capirono che sarebbe impossibile per loro adentrarsi in quella terra immediatamente.Rimasero fermi lì e tra loro ed alcuni del luogo fondarono un paese che fu dopo l’attuale città di Resistencia, il 2 febbraio del 1878. “Yacarés”, lunghe serpenti, uccelli colorati e chiacchieroni, “indios” che per molto tempo furono ostili alla loro presenza, cavallette invasore che danneggiavano le piantagioni e migliai d’insetti, furono i primi compagni di questi friulani che con la zappa e l’ascia sulle spalle, trovarono gli strumenti indispensabili per il lavoro, e ci deve essere qualcosa di stimolante e d’incoraggiante in questo tipo di avventure, pensate:fondare tutto, essere un pò dei in una terra desolata¡, dico perchè la gente in quei tempi cantava dal mattino presto e si godeva il poco di buono che otteneva della vita. La nostalgia ? sì, certamente c’era e tornava nelle canzoni. Ma come far la difficile strada del ritorno?.Il ritorno fù più facile per quelli che rimasero a Buenos Aires, avendo il porto tanto vicino¡ Da quelle prime 70 famiglie, nacque una popolazione vigorosa ed energica, che acquistò l’amicizia dei naturali e si mischiò divenendo in una bella discendenza ítalo-argentina, che ancora oggi in quella zona, si trova a lottare continuamente per mantenere le piantagioni e la produzione delle loro terre.