(Antonina Cascio) - In questi giorni, come di solito, non mancano a Mendoza attività che riguardano la collettività italiana. Ci troviamo in ogni posto, ogni volta, “quasi sempre le stesse persone” dice Marianna, dell’USEF che mi accompagna sovente.

In verità non siamo sempre gli stessi ma si, lo siamo quelli della mia generazione e quelli più grandi, i nati in Italia, quelli arrivati dopo la guerra da giovani o da bambini. Ci sono tra noi tanti che non superarono mai la tappa della discriminazione e continuano ad avere nel suo animo un rancore profondo per quelli che ci segnalarono come diversi e manifestano oggi questo animo negativo contro i diversi che arrivano in Italia. Per fortuna tra i giovani di terza e quarta generazione questo non esiste più. Ma in questi giorni, anche giorni nei quali si aspetta la visita delle nostre autorità USEF e quella dei cuochi siciliani tra noi dell’USEF, c’è stato modo di riflettere sull’emigrazione e le conseguenze dell’emigrazione italiana nel mondo, argomento della conferenza che prepara il segretario generale USEF per portare nelle nostre città. Ho spiegato, parlando di come si dovrebbe fare la pubblicità di questa conferenza, che ci sono tre posizioni per analizzare l’emigrazione. -quella dei paesi e dei popoli che la ricevono, argomento che qui in Argentina è stato sempre presente nella storia e nei corsi di storia che tutti abbiamo seguito a scuola, ma anche nella platica giornaliera e nei mezzi di comunicazione. La conclusione in Argentina, dopo sommare e scontare è che è stato un processo lunghissimo e che nel bene e nel male è già parte dell’essere argentini, è una propria idiosincrazia. -c’è la visone degli emigrati che da ben 30 anni ci siamo risvegliati e ne abbiamo parlato e scritto sebbene ancora c’è tanto da dire e capire. -e c’è la posizione o la visione di quelli che rimasero in Italia subendo l’amputazione di una parte del suo corpo, fresco corpo di nazione, per poter dar posto alla crescita del resto. Questa spiegavo a una delle giovane, è senza dubbio ,la visione del nostro secretario generale, arricchita certamente dei suoi lunghi viaggi in tutti il mondo e del suo contatto da 40 anni con gli emigrati italiani dispersi qua e là. Quando la mia famiglia emigrò in Argentina, sebbene io non ricordo i primi tempi, ricordo che avendo già sei o sette anni-ero arrivata a poco più di un anno-ci visitavano ancora paesani venuti prima della guerra che avevano lasciato là la famiglia, la madre, il padre, i fratelli, ma anche la moglie ed alcún figlio. Volevano sapere di loro, ma qua, soli, e senza sapere scrivere avevano perso contatto e avevano formato un’altra famiglia, e allora non avevano più il coraggio di farsi scrivere una lettera, e se lo trovavano certe volte ricevevano una risposta piena di rancore e di oblio(logica, risultante del dolore e della disperazione della perdita). Di questi casi ne conobbi tanti, a Mendoza, a Buenos Aires, e ne sentivo parlare da bambina, mio padre stesso è arrivato a cercare delle persone che dal paese volevano sapere se erano vive o morte. Non è difficile capire che per gli italiani che rimasero, l’emigrazione fu una grande mutilazione, un cambiamento duro di risolvere nelle loro vite, non è difficile capire che le ferite che non guariscono si tengono nascoste sotto l’indifferenza ed il falso oblio. E non è difficile capire, che ora che è stato tanto il tempo passato, dobbiamo scoprirle queste ferite, farle conoscere ai giovani italiani, alla discendenza di quelle generazione, ed aiutare a guarire, che sarà la luce a farlo, la luce della verità , della conoscensa della nostra storia completa e vista da tutti gli angoli. Credo sia questo l’apporto che possiamo fare da vicino e da lontano quelli che lavoriamo all’emigrazione.Come lo fà già l’USEF nella misura delle sue possibilità.