di Rodrigo Rivas - Scrivere sulla situazione latinoamericana oggi cercando di evitare luoghi comuni e diffusi fideismi non è semplice. Comunque ci provo, pur sapendo che il punto di partenza e l’analisi sono sempre discutibili.
Due chiarimenti metodologici:
- l’analisi congiunturale ha sempre una valenza breve. In questo caso l’ottobre 2019;
- salvo cenno diverso, queste osservazioni si limitano al Sudamerica. Rimando il Messico e l’America centrale e caraibica, le cui dinamiche coincidono solo occasionalmente, ad un’altra occasione.
1) Il ciclo progressista latinoamericano è nato da 2 processi: la trasformazione economica e sociale indotta dal neoliberismo e la ricomparsa di un tipo d’insorgenza, classico nel senso delle tradizioni, inedito nei soggetti e modalità della mobilitazione, la cui conseguenza principale è stata la modifica dei rapporti di forza regionali. Chiamo queste insorgenze “ribellioni popolari” per distinguerle dalle classiche rivoluzioni dell’America Latina.
2) Storicamente, la regione ha visto 4 grandi rivoluzioni: Messico, Bolivia, Cuba e Nicaragua e, negli Anni ’90, 4 grandi ribellioni popolari: Bolivia, Ecuador, Venezuela e Argentina, protagonizzate da nuovi soggetti, tra cui giovani precari informali e ceti medi impoveriti, che hanno generato nuove alleanze e creato un clima di radicalità profonda che tuttavia non contemplava una sfida frontale allo Stato, non prevedeva la costruzione di un potere popolare autonomo e non ha avuto una via d’uscita militare. Queste ribellioni non sono sboccate in rivoluzioni ma hanno dato luogo al ciclo progressista.
3) I nuovi rapporti di forza hanno messo fuori combattimento i progetti neoliberisti originali. Ciò, aggiunto ad uno scenario economico internazionale favorevole per l’apprezzamento delle materie prime, ha migliorato il contesto economico e sociale trasformando il Sudamerica in un polo di attrazione per il progressismo internazionale: mentre il ciclo degli aggiustamenti strutturali era in corso negli USA, in Europa e in Oriente, il Sudamerica viveva un processo diverso che migliorava i redditi popolari e approfondiva le conquiste democratiche, trovando persino un ambito simbolico con l’elezione di un presidente indigeno in Bolivia e la formulazione di costituzioni molto avanzate in Venezuela, Ecuador e Bolivia.
4) Il ciclo progressista ha recuperato tradizioni precedenti, ritrovato la Rivoluzione Cubana e la tradizione anti-imperialista. Ha incarnato un reale cambiamento derivato da un processo politico. E sebbene tutti i Paesi continuassero a dipendere della esportazione delle commodities, ciò non significa che destra e sinistra siano – o siano state – la stessa cosa. Ovvero, la Bolivia e la Colombia vendono gas, ma ciò non le rende uguali.
Il ciclo progressista si osserva facilmente confrontando l’attività dei suoi governi con quella dei governi che hanno mantenuto il timone a destra, come la Colombia, il Cile, il Perù, il Messico… e solo un intellettuale senza agganci con la realtà può affermare che Piñera o Santos siano lo stesso che Chávez.
Tuttavia, il ciclo progressista non è stato un ciclo post-neoliberista, che avrebbe implicato trasformazioni tanto importanti da lasciare definitivamente indietro la tappa precedente. Ovvero, i governi di centrosinistra hanno ampliato i diritti ma non hanno introdotto cambiamenti rilevanti nel sistema politico e si sono impauriti ogniqualvolta è comparsa una mobilitazione popolare significativa. È accaduto, ad esempio, ai governi Kirchner nell’Argentina e Rousseff nel Brasile.
5) Sul piano economico, questi governi neo-sviluppisti hanno cercato di ricomporre l’industria e di restaurare le regolazioni statali senza modificare il senso introdotto dal neoliberismo che aveva riorientato le economie mettendo al centro l’agro-business e l’export di prodotti di base. Il neo-sviluppismo ha cercato di limitare queste linee guida ma non ha provato mai a modificarle significativamente. Quindi, sono migliorati i consumi, non la struttura produttiva. Perciò, nel Brasile il PT è il principale responsabile della calata di Bolsonaro, poiché, specie nel periodo di Dilma, ha deluso completamente i suoi seguaci tra i ceti medi ed i lavoratori. Con Temer vicepresidente e un ministro dell’economia estremista neoliberista, si è generata una demoralizzazione che ha raggiunto l’apice quando Dilma ha abbandonato il governo senza lottare, accettando il colpo di Stato propedeutico all’arrivo della destra.
Il caso argentino è diverso poiché, malgrado un profondo malessere, Cristina si è ritirata con un’ampia simpatia popolare. Quindi, nel Brasile la parola d’ordine era “tutti a casa”, nell’Argentina “mobilitiamoci”. Infatti, nel Brasile il sistema politico è crollato mentre nell’Argentina si è ricomposto in un clima che ricorda l’Europa degli Anni ’70-’80 (insorgere delle rivendicazioni delle donne, risorgimento dei sindacati con 4 scioperi generali solo sotto Macri …). Ovvero, l’Argentina è un Paese terremotato ma il Brasile è un Paese sedato.
6) Nell’Ecuador, Correa può essere messo nello stesso contesto di Lula e di Kirchner, pur con elementi di maggiore autoritarismo da cui è derivato un superiore livello di scontro con i movimenti sociali. Lenin Moreno, il suo successore, ha vinto le elezioni contro la destra per poi generare il governo più a destra della regione.
7) Tra i governi radicali (Venezuela, Bolivia, in parte Cuba), il più complesso è il chavismo. Penso che non sia confrontabile con Lula, Kirchner o Evo Morales perché il risveglio politico è stato incomparabilmente superiore (Empowerment popolare, Rete di organizzazioni popolari, Livello degli interventi degli organi di potere popolare ecc.).
Non avendo processi nazionali precedenti significativi, il chavismo ha concentrato in un breve periodo ciò che molti Paesi hanno fatto in decenni, rendendosi più inviso e generando una reazione delle classi dominanti venezuelane con caratteristiche più tipiche degli Anni ’30-’40 che del Terzo millennio. Visto dall’esterno, queste classi dominanti sembrano essersi accorte solo ora che nel Venezuela esiste un popolo e non solo un’oligarchia.
Chávez ha incarnato la traiettoria antimperialista latinoamericana in modo molto simile alla Rivoluzione Cubana, ma col petrolio. Essendo il Paese di maggiore rilevanza strategica per gli USA, è diventato il punto di esplosione regionale. Per dirla con una battuta: il fatto che CITGO, l’impresa venezuelana di petrolio, operi nel mercato interno degli USA e incida sul prezzo del petrolio negli USA, ha trasformato il chavismo in una cosa qualitativamente diversa del resto del ciclo progressista.
Perciò, il Venezuela continua a trovarsi al centro della conflittualità latinoamericana malgrado il ciclo progressista sia scomparso. Certamente la morte di Chávez ha cambiato molte cose, e la guerra economica ha degradato il Paese. Tanto che, di fatto, la crisi economica del Venezuela può compararsi solo alla crisi del ’29 negli USA: stessa percentuale di crollo del PIL, massiccia emigrazione, collasso economico… Uno scenario che combinando la guerra economica e l’ostilità delle classi dominanti ad un alto livello d’improvvisazione, d’irresponsabilità e di corruzione interno al governo venezuelano, ha generato un cocktail esplosivo.
8) Perché il ciclo progressista non c’è più ma il Venezuela c’è, il Venezuela definisce il futuro dell’America Latina e la conclusione definitiva del ciclo progressista. Se il Venezuela fosse già scomparso dovremmo limitarci al bilancio del ciclo, ma il Venezuela è tanto rilevante da far sì che quanto è successo non sia ancora finito poiché resta da risolvere un asse portante del periodo precedente. Anzi, l’asse più radicale e irrisolvibile del periodo precedente, chiamato a confrontarsi con due piani diversi e temporalmente non sovrapposti: la lotta contro il golpe, che è una lotta contro gli USA, e la lotta interna al chavismo legata al recupero delle sue caratteristiche originali.
Personalmente, condivido tutte le osservazioni del settore critico del chavismo. Penso, ad esempio, che gli errori commessi in campo economico siano inammissibili. Ma, allo stesso tempo, constato una resistenza popolare di livello sorprendente. Nessun altro Paese potrebbe resistere come fanno i venezuelani… Diversamente, sarebbe inspiegabile che Maduro sia ancora lì, e le forze armate non spiegano affatto tutto: in due mesi sono fallite l’autonomina di Guaidó, il tentativo di usare la crisi umanitaria per far entrare camion e armi, due o tre tentati colpi di Stato, la guerra elettrica…
9) È interessante anche il contrasto tra il Venezuela e la Bolivia, la cui radicalità discorsiva e ideologica è simile. I discorsi di Evo Morales sono simili a quelli di Chávez, ma i boliviani hanno raggiunto una stabilità macroeconomica e una ricomposizione della distribuzione dei redditi invidiate persino dai governi di destra. Per me, ciò deriva da un dato obiettivo e da una leadership. Il dato obiettivo è che la Bolivia non è una minaccia, per cui si tende ad ignorarla.
Per ora il Dipartimento di Stato USA non guarda la Bolivia, e ciò le concede uno spazio che il Venezuela non ha. Parte da uno stato di sottosviluppo superiore ai Paesi vicini, e ciò rende significativo qualsiasi miglioramento. Ha saputo gestire in modo conservatore, probabilmente grazie anche alla tradizione di Evo Morales, contadina, localizzata, chiusa, dell’altipiano. E, infine, i percorsi storici sono molto differenziati poiché la Bolivia non è mai stata un riferimento per tutta l’America Latina, il Venezuela sì.
10) Cuba è un caso a sé. Come osservato, rimando gli approfondimenti ma per ora mi preme sottolineare che ha qualcosa della Bolivia stabilizzata, nel senso che per quei miracoli che la destra non può capire, un Paese che non ha nulla eccetto turismo e qualche minerale, ha i maggiori livelli di scolarità, di alimentazione e di salute della regione. E ha, un dato che da queste parti dovrebbe osservarsi con più attenzione, un livello irrilevante di delinquenza, impensabile nel resto dell’America Latina. In un Paese dove arriva un milione di turisti all’anno, il turismo non inquina. Eppure, è lo stesso turismo che provoca disastri a Porto Rico, nei Caraibi messicani e nel Belize. Ecco, a mio parere, gli effetti della costruzione a lunga scadenza, della coscienza della popolazione, dei valori di una società…
11) Nel complesso, la regione sembra indirizzata ad un restauro conservatore guidato da un neoliberismo zombie con esiti ancora aperti. Il progetto del ciclo progressista non è andato avanti, ma non c’è un progetto neoliberista che vada oltre il golpe in Venezuela, che non è un progetto. Quindi, non esiste un ciclo neoliberista.
Il grande test della destra è Jair Bolsonaro. Ci dirà cosa siano oggi i regimi di destra nell’America Latina.
Bolsonaro è la rappresentazione grafica della nuova destra, la faccia latinoamericana dei fenomeni in corso in Europa: portatore sano di una politica economica neoliberista coperta da un discorso contro le conquiste democratiche e allineato acriticamente e direttamente agli USA.
Bolsonaro ha ingredienti fascisti, ma il fascismo è un processo e l’eventuale processo di fascistizzazione del Brasile è un’incognita di cui Bolsonaro sarebbe solo il punto di partenza.
12) Perché ci sia un regime fascista in Brasile devono prima consolidarsi la repressione e una leadership molto nitida.
Ci sono due precedenti di ciò che sarebbe il fascismo.
Il primo è Pinochet. Bolsonaro dovrebbe raggiungere prima il livello di repressione e di autoritarismo di Pinochet.
Il secondo è che l’ideologia anticomunista e la solidità di regime dovrebbero raggiungere le basi sociali di cui dispone Uribe in Colombia. Non può limitarsi ad una struttura paramilitare ma deve acquisire in modo costante un voto tra la classe media che insegua la tradizione dell’oligarchia colombiana.
Bolsonaro è molto lontano del raggiungimento di questi due obiettivi.
13) Il problema è che il governo di Bolsonaro è una pagliacciata, uno scherzo, un record di stupidaggini messe una dietro l’altra. Come dal carnevale di Rio, è uno sceneggiato continuo, il delirio di un governo pienamente inattivo, nullafacente, delirante come quello di Trump ma senza i tweet e la cavalleria di Trump. Neppure il piano base, la riforma della previdenza, è stato messo in cantiere.
Ovvero, quello di Bolsonaro è un dis-governo incapace di gestire il Paese, persino riguardo le avventure internazionali: andare a Gerusalemme, proclamandola capitale d’Israele, è un problema poiché il Brasile dipende molto dalla Cina e non poco dai Paesi arabi. Bolsonaro gioca con l’export brasiliano ma difficilmente ciò le sarà permesso dalle classi dirigenti brasiliane. E poiché il governo del Brasile risiede oggi nell’esercito, l’esercito potrebbe rimpiazzarlo presto.
Ergo, se la nuova destra politica latinoamericana è Bolsonaro, non c’è nuova destra, beninteso politica. Tuttavia, è corretto aggiungere che dopo solo tre mesi di governo, è prematuro azzardare un giudizio conclusivo.
14) Non ci sono altri Bolsonaro in America Latina. C’è una destra reazionaria, come quella di Uribe, c’è una destra tradizionale, come quella di Piñera, ma non ci sono altri Bolsonaro… Anzi, non vorrei illudermi ma mi pare che le ultime elezioni della Colombia e del Cile indichino una crescita importante del centrosinistra poiché in queste due roccaforti della destra continentale a crescere sono Petro in Colombia e le nuove formazioni di centrosinistra in Cile.
15) Poiché non voglio limitarmi all’analisi ma m’interessa trovare strade per incidere sullo stato delle cose, penso che la prima necessità continui ad essere la lotta popolare. È vero che oggi l’iniziativa è in mano alla destra, ma lo è anche che l’America Latina continua ad essere una delle regioni con maggiore mobilitazione popolare e livelli di azione politica superiori al resto del mondo.
Credo sia necessario evitare due errori: il primo è pensare che nulla è cambiato; il secondo che la situazione sia simile a quella del decennio scorso:
- gli effetti delle 4 ribellioni che generarono il ciclo progressista sono esauriti e nulla di simile è finora comparso sullo scenario;
- ci sono resistenze, ma non ci sono state 4 ribellioni come quelle;
- c’è un cambiamento ma il periodo precedente non è sepolto. Non si è vissuto, ad esempio, un processo simile a quello degli Anni ‘70, con Pinochet e Videla, ossia non si sono finora concretati processi di controrivoluzione aperti.
Ossia ci sono, contemporaneamente, progressi della destra e una resistenza popolare cappeggiata da una nuova generazione. I nuovi soggetti hanno processato l’esperienza del ciclo progressista. Non so quale ne sarà la traduzione politica, ma so che, viceversa, la generazione che ha condotto il ciclo precedente non aveva esperienze essendo arrivata dal neoliberismo puro. Il futuro dirà il risultato di questa diversità che per ora è un’incognita.
16) Sul piano elettorale esiste solo un Paese importante a breve scadenza: l’Argentina.
Ciò che avverrà in Argentina sarà decisivo sul piano elettorale come lo sarà quanto avvenga in Venezuela sullo scenario geopolitico e sociale e le elezioni dell’ottobre prossimo saranno determinanti per tutta la regione.
Oggi Macri si trova in grandi difficoltà e il Paese sembra incamminarsi diritto verso il default, malgrado Trump continui a giocarsi tutte le carte sulla sua rielezione ed il FMI a concedergli prestiti insoliti che minacciano il suo stesso equilibrio finanziario. Nell’Argentina, quindi, si scrive anche la storia dell’avventura del FMI per salvare un complice.
Penso che non ci riusciranno. E che l’eventuale cambiamento di ciclo in Argentina modificherà tutti i dati della regione. In questo senso, pur se Cristina ha un atteggiamento molto conservatore, il suo ritorno implicherebbe un cambiamento molto significativo al di là di ciò che dice e di ciò che farà.
La mia conclusione è che i prossimi mesi dell’Argentina sono essenziali, poiché lo scenario elettorale e la probabile crisi economica avranno un impatto grosso su tutta la regione. È proprio questo paese, insieme al Venezuela, che si deve osservare con più attenzione.
FONTE: http://rodrigoandrearivas.com/2019/06/09/il-paesaggio-sudamericano-durante-la-tormenta/#more-500
giugno 2019